CONVEGNO, LEGITTIMA DIFESA

 

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IL DELINQUENTE COME NEMICO SOCIALE

Francisco Mele

La scelta del nemico di tutti fa parte dell’intelligenza del politico – affermava Carl Schmitt -. Ogni governo sceglie quella figura che giustifica parte dell’impossibilità di raggiungere gli obbiettivi proposti durante le campagne elettorali.

Una lettura della legittima difesa sposta l’attenzione verso un problema che impedisce di vedere la complessità della governabilità.

Quando una società si sente minacciata a livello esterno o rischia la frammentazione della propria identità a causa di lotte interne, escogita il dispositivo che serve a riunificare una società in crisi: il meccanismo è la scelta del sacrificio di una figura considerata nemica. In sintesi, la scelta del sacrificio di uno serve a salvare tutti, perché una violenza nella guerra interna indiscriminata può portare all’autodistruzione della comunità.

René Girard individua nel capro espiatorio il dispositivo che serve quindi a proteggere il sistema.

Perché nel caso della legittima difesa lo Stato rinuncia alla sua funzione di terzietà?

C’è la tendenza nei governi di eliminare o ridurre il funzionamento della mediazione istituzionale, in questo caso dell’ordinamento giuridico.

Il sovrano alla base di quello che oggi viene chiamato il sovranismo tende a stabilire un rapporto simbiotico tra popolo e sovrano: questi si sente portatore della voce e dei sentimenti del popolo venendo a questo punto a sentirsi legittimato a modificare talvolta con l’intenzione di addomesticare la struttura giudiziaria.

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LA MODERNA STRUTTURA DELL’ASSOGGETTAMENTO

La moderna struttura di assoggettamento

Una volta i cristiani ascoltavano la volontà di Dio e la seguivano. Oggi siamo in grado di ascoltare un’illusione, il proprio Io, che si crede autonomo ma che è incapace di individuare gli ordini che gli arrivano, non dall’inconscio spirituale ma da quello digitale.

Francisco Mele

 La mia lettura del libro parte dal pensiero di Michel Foucault relativo al “governo delle anime” modello significativo per comprendere la funzione del “pastorato cristiano”.

Attraverso il dispositivo e le tecniche proprie della conoscenza del Sé il Pastore e soprattutto il direttore spirituale riescono a penetrare nei profondi pensieri, sentimenti e immagini che si nascondono nell’animo umano.

È stato sant’Agostino a scavare attraverso le sue Confessiones quello spazio interiore dove avviene il dibattito tra bene e male e il dialogo fra l’Io e Dio.

Più si entra dentro di sé, più ci si avvicina a Dio.

Credo che con sant’Agostino si inaugurano i principi che reggono la moderna psicologia intesa come discorso del Sé in rapporto all’incontro con l’Altro.

Lacan considera sant’Agostino come il precursore della moderna linguistica.

Il dialogo con Dio in Agostino è mediato dalla istituzione Chiesa. Si ha quindi Io, Dio, Chiesa.

Secoli dopo l’Agostiniano Lutero rompe con questa triade, venendosi a creare un rapporto diretto tra Io e Dio, mettendo in discussione la mediazione della Chiesa.

In questo modo si inaugura un processo di decomposizione del Sacro Impero Romano custodito dalla Chiesa romana che avrebbe decretato, secondo Foucault, la sua fine nel 1648 con la pace di Westfalia:

attraverso di essa l’Europa lascia spazio ai futuri stati di religione protestante.

Il libro cerca di spiegare il processo storico del travasamento del potere imperiale alla Chiesa. Il linguaggio e il lessico imperiale, i simboli e i rituali vengono rielaborati dalla struttura ecclesiastica.

In poche decadi, da Costantino che ha l’illuminazione del Cristo, nel 313, passando per il Concilio di Nicea del 325, convocato dallo stesso Costantino, e poi con Teodosio, nel 380, la religione cristiana diventa religione di Stato.

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San Gennaro e la Teologia del Popolo, al Quirino

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Francisco Mele, psicoterapeuta, saggista e docente, invita a considerare la ricerca che parte da un esame del popolo di San Gennaro, a Napoli, come garante della costruzione sempre in divenire dell’identità napoletana, secondo la Teologia del Popolo sviluppata dai teologi e filosofi argentini Lucio Gera, Justin O’Farrell e Juan Carlos Scannone.

Il popolo possiede una conoscenza, una razionalità, anche se non teorico-scientifica – rileva Mele –  che si esprime mediante le celebrazioni liturgiche, le feste religiose, le processioni. Facendo riferimento alla prospettiva mnemostorica (Jan Assmann), San Gennaro è una figura della memoria e non della storia. La Teologia del popolo utilizza il metodo storico-culturale, partendo dalla considerazione di due teorie: la teoria dell’azione — che si ispira al filosofo Maurice Blondel, particolarmente seguita da papa Bergoglio—, e la teoria del testo, sviluppata da Paul Ricoeur. La teoria dell’azione valorizza il gesto come se fosse un testo da leggere. Il gesto e il testo scritto hanno una qualità che li unisce: diventano indipendenti dall’autore, hanno una loro autonomia e quindi possono essere letti come un testo scritto secondo le ermeneutiche che il lettore utilizza. San Gennaro non ha lasciato degli scritti, ma sono state tramandate le sue azioni e gli avvenimenti di cui è stato protagonista. Le sue gesta vengono interpretate come miracoli, che proseguono nel tempo fino ad arrivare ad oggi. Il Santo, raffigurato nella statua posta davanti al Vesuvio con il braccio alzato nell’atto di fermare l’eruzione, conferma la sua funzione di protettore della città. Lo scioglimento del sangue è interpretato come un gesto di rassicurazione portatore di vita nella forma della reliquia del sangue del Santo raccolta nell’ampolla. Queste manifestazioni vengono a inserirsi nel complesso dei simboli primordiali che appartengono a un’archeologia del soggetto elaborata da Ricoeur, estensibile a un’archeologia dei popoli e, qui in particolare, del popolo napoletano.

(La sintesidell’intervento è tratta dall’articolo di Jacopo Bezzi per la rivista Ridotto gennaio-marzo 2019)

AGNES HELLER ALL’AUDITORIUM DI ROMA

LIBRI COME FESTA DEL LIBRO E DELLA LETTURA

ÁGNES HELLER

ORBANISMI – EUROPA E LIBERTÀ

SAB 16 MAR | 17:00 | SPAZIO RISONANZE

Dalla dittatura alla democrazia liberale e da questa alla tirannia, questo è in estrema sintesi il percorso dell’Ungheria secondo Ágnes Heller, la filosofa più importante e lucida non solo di quel paese ma uno dei riferimenti mondiali sui rapporti tra Europa e Libertà. Perché la giovane democrazia ungherese, nata dalle ceneri del comunismo sovietico tra il 1989 e il 1991, ha fatto presto a consegnarsi in (quasi) libere elezioni nelle mani di Viktor Orbán? L’allieva di György Lukás non usa mezzi termini: “non era scritto nelle stelle che l’Ungheria avrebbe fatto peggio di tutti gli Stati post-sovietici, che sarebbe stata la più radicale nell’eliminare la libertà di stampa, la divisione dei tre poteri, per introdurre infine un sistema che io chiamo “tirannia”. L’intellettuale ungherese, di cui esce in questi giorni il suo Orbanismi, conversa a Libri Come con Pietro Del Soldà.