CONVEGNO, LEGITTIMA DIFESA

 

I

IL DELINQUENTE COME NEMICO SOCIALE

Francisco Mele

La scelta del nemico di tutti fa parte dell’intelligenza del politico – affermava Carl Schmitt -. Ogni governo sceglie quella figura che giustifica parte dell’impossibilità di raggiungere gli obbiettivi proposti durante le campagne elettorali.

Una lettura della legittima difesa sposta l’attenzione verso un problema che impedisce di vedere la complessità della governabilità.

Quando una società si sente minacciata a livello esterno o rischia la frammentazione della propria identità a causa di lotte interne, escogita il dispositivo che serve a riunificare una società in crisi: il meccanismo è la scelta del sacrificio di una figura considerata nemica. In sintesi, la scelta del sacrificio di uno serve a salvare tutti, perché una violenza nella guerra interna indiscriminata può portare all’autodistruzione della comunità.

René Girard individua nel capro espiatorio il dispositivo che serve quindi a proteggere il sistema.

Perché nel caso della legittima difesa lo Stato rinuncia alla sua funzione di terzietà?

C’è la tendenza nei governi di eliminare o ridurre il funzionamento della mediazione istituzionale, in questo caso dell’ordinamento giuridico.

Il sovrano alla base di quello che oggi viene chiamato il sovranismo tende a stabilire un rapporto simbiotico tra popolo e sovrano: questi si sente portatore della voce e dei sentimenti del popolo venendo a questo punto a sentirsi legittimato a modificare talvolta con l’intenzione di addomesticare la struttura giudiziaria.

Per arrivare alla costituzione di un sistema politico della tripartizione dei poteri ci sono voluti secoli.

Passare dalla monarchia assolutistica a un regime democratico è stata una lotta che ha attraversato  l’Europa, lasciando sul campo di battaglia milioni di morti.

Il travasamento dal modello imperiale romano a quello della Chiesa e poi da questa al sistema giuridico moderno ha comportato un’impostazione terminologica chiara che si evidenziava nella rappresentazione del potere ecclesiastico prima e politico attuale.

Nel sistema giuridico troviamo parole come “la pena”, “la penitenza”, “la cella”, “la grazia”, “il perdono”, ecc. , come il sistema  medico è intriso di parole che rimandano alla struttura militare: arsenale medico, campo operatorio, lotta contro le malattie, le difese dell’organismo, ecc.

La terminologia politica nazista ha cercato di utilizzare il modello medico per eliminare il cancro della società, i nemici della razza che vogliono contaminarla.

L’utilizzo di termini come “vermi”, “scarafaggi”, “topi” servono a giustificare l’ideologia della difesa della società.

In questo modo il capro espiatorio, il delinquente, la minoranza etnica considerata nemica, merita di essere eliminata senza nessun problema morale, perché il sovrano si sente nella funzione del chirurgo che deve estirpare il male che può danneggiare il suo popolo.

Se il Grande Padre protegge i suoi figli con tanto amore, questi non devono temere.

La funzione del terzo tende a creare la distanza necessaria perché non avvenga la fusione e si consolidi una simbiosi in cui popolo e capo sono un tutt’uno.

La struttura terza protegge sia il popolo sia il suo capo perché la simbiosi paradossalmente può portare alla rottura traumatica in quanto l’estrema dipendenza genera una profonda aggressività e violenza.

Questi sentimenti estremi, se non vengono incanalati verso un nemico esterno oppure uno interno alla comunità politica, rischiano di accendere il fuoco della rabbia e della distruzione.

Come si può definire una società giusta? – si domanda Agnes Heller -: una società è giusta se rispetta tre principi etici universali: il comandamento biblico del non uccidere, la libertà, e la responsabilità. Una società che mantiene la pena di morte è una società ingiusta. La violenza terrorista ha portato all’interrogativo se per avere più sicurezza si devono perdere spazi di libertà.
Lo stesso interrogativo si è posto sin dagli inizi della crisi economica riguardo alle politiche sociali del welfare. Dietro la questione economica e la minaccia di perdere i posti di lavoro, i lavoratori hanno rinunciato ai propri diritti mettendo in crisi il sistema di protezione dato dai sindacati. La paura ha portato a vivere una situazione di precarietà continua dell’esistenza, che viene ipocritamente definita

“processo di liberalizzazione” dai lacci giuridici che impediscono, secondo i teorici di queste politiche, di riattivare l’economia e rendere tutti più competitivi.  La competizione ossessiva è alla base del conflitto sociale e porta ad incrementare la violenza sociale all’estremo e all’aumento della paura che si presenta come esagerata e irrazionale.

 

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