IL POPOLO DI DOSTOEVSKIJ E DI BERGOGLIO

IL POPOLO DI DOSTOEVSKIJ E DI BERGOGLIO

IL POPOLO  “… si tratta di un soggetto collettivo, di una comunità, di una pluralità unificata da un elemento comune che la  determina e le dà forma. A seconda di come lo si concepisca, parliamo di un “popolo-nazione” o di settori al suo interno che sono determinati come “popolari”.

Questo primo concetto di popolo -preferito da Gera- non viene affrontato a partire dal territorio o dalla razza, bensì unificato da una stessa cultura o stile di vita comune, che, inoltre, si traduce in una determinata volontà e decisione politica di unirsi, autodeterminarsi e auto-organizzarsi per realizzare un bene comune. Esso nasce, quindi, da una cultura comune e da condizionamenti storici che offrono a una comunità la possibilità di concepire una solidarietà politica.”

Juan Carlos Scannone, postfazione al libro di Lucio Gera “La religione del popolo. Chiesa teologia e liberazione in America Latina”.

Quando il popolo che osanna Gesù con le palme diventa folla inferocita che lo condanna? si tratta dello stesso popolo?, se si, come è possibile la trasformazione repentina? Ma la domanda fondamentale è quando Gesù riesce a ragionare diversamente secondo la logica ebraica per convertirsi alla logica cristiana introducendo il perdono? Come si possono intendere le sue invocazioni rivolte a colui che lo avrebbe tradito: “Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Marco, 14, 21–22) , E poi, quando sulla Croce dirigendosi al ladro buono le dice ” oggi sarai con me in Paradiso”. Ma l’insegnamento più forte è “Perdona il tuo nemico”. L’altra questione riguarda noi stessi, è se fossimo stati noi in mezzo a quella folla che condanna l’innocente Gesù, avremo potuto sottrarci alla contaminazione mimetica e non urlare con la “massa” chiedendo a Pilato: “Crocifiggelo”, “Crocifiggelo”. (Luca 23, 21-22).

Il popolo secondo Bergoglio: soggetto teologico[1]

Francisco Mele[2]

«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10)

Passare dal concetto di popolo come massa indifferenziata a soggetto teologico è stata la linea teorica e pratica dei teologi latino-americani con i quali papa Bergoglio si è confrontato, fino dagli inizi degli anni Settanta. Il concetto di popolo come quello dell’io, della coscienza o della morale, è soggetto a mutamenti legati a contesti e periodi storici. Quando si teorizzava intorno a questi temi si aveva la speranza e la convinzione che il mondo sarebbe stato migliore. Dopo cinquant’anni, invece, la povertà e l’ingiustizia sociale sono aumentate.

In questo saggio cerco di utilizzare teorie che ho appreso all’università dei gesuiti quando Bergoglio era provinciale. E anche l’approfondimento delle neuroscienze possono aiutarci a comprendere il percorso di papa Francesco con il ruolo propositivo della Chiesa contemporanea.

L’analisi parte da un’impostazione di una psicologia che è in realtà una biopsicosociologia, non esiste l’individuo monade che interagisce con altre monadi.  Il concetto di mimesi per Jean-Michel Oughourlian, nella linea di René Girard, analizza una delle scoperte più importanti per comprendere il rapporto tra soggetti che si avvicinano, entrano in conflitto o si respingono.

Il principio mimetico sarebbe l’equivalente della legge gravitazionale scoperta da Newton che risponde alla domanda: cosa tiene uniti i corpi celesti, cosa impedisce che ciascuno parta ed esca dall’orbita, oppure cosa impedisce, ad esempio, che la terra non si scontri con la luna, e soprattutto risponde anche alla questione sul perché noi esseri umani non cadiamo o non ci stacchiamo dalla terra.

Il principio mimetico è alla base dell’apprendimento della costruzione del sé e del rapporto interpersonale, da cui deriva che l’Io è una costruzione in continuo mutamento. Facilmente l’io può perdere consistenza nell’incontro con un altro, all’interno di una istituzione oppure dissolversi nella massa. In questa prospettiva si delinea un tipo di relazione che non è inter-individuale, bensì inter-dividuale, perché nell’incontro dell’io con un altro io si viene a creare un movimento inter-influenzale per cui non si esce mai dal rapporto allo stesso modo di come si è entrati. La mimesi è l’energia che tiene unita la massa, il gruppo di persone che segue il leader ed è l’energia che esplode durante un conflitto che può portare anche alla distruzione di un’intera comunità.

La stessa mimesi, definita di ascrizione, permette di legare il popolo di Dio alla figura del sacerdote durante la messa. In quell’instante in cui il prete diventa Cristo, quando alza la coppa del vino che contiene il pane, in quell’istante avviene la transustanziazione, il pane, cioè, diventa corpo e il vino sangue di Cristo. Lo stesso sacerdote, inoltre, si trova a camminare tra la gente e a percepirsi un povero Cristo. Questi passaggi alternano la sua figura nel modello assoluto, il Cristo o San Francesco, ma egli poi torna ad essere un uomo tra gli uomini, e può mettere a rischio l’io fluttuante di ciascun ministro di Dio. Sostenere la trasformazione senza cadere nello sconforto è possibile se si è sviluppato un buon grado di intelligenza spirituale. La saggezza, quando si assume un ruolo importante, come quello del Papa, è non dimenticare che si è stati schiavi in Egitto. Le sofferenze di Bergoglio gli impediscono di credere di essere superiore a tutti gli altri e le sue richieste “Pregate per me” lo confermano.