La casa esercizio della memoria

Rivisitazione delle case nel  “tempo senza tempo”

Francisco Mele

Una rivisitazione delle nostre case  o dei nostri amici, e dei luoghi dove ciascuno ha vissuto è un esercizio della memoria che incide positivamente nella costruzione dell’identità.

Raccordare gli spazi e i tempi trascorsi nella casa dell’infanzia o riappropriarsi di quei momenti dell’asilo o della scuola è aprire una galleria di figure significative come i genitori dell’infanzia, la voce della maestra o dei volti dei compagni di allora.

Questo percorso delle case prosegue con i luoghi dell’adolescenza. I viaggi con i familiari o con gli amici, soprattutto di quelli he tornano a ricordarci che ciascuno ha continuato a vivere.  Familiari e amici possono essere chiamati a testimoniare e a fornire quei documenti che a modo di lapide segnalano i luoghi dove si è passati. Un dialogo immaginario con quelle figure che tanto hanno inciso nella propria storia. Quanti di essi fanno parte della nostra più intima personalità e quanto di ciascuno fa parte della storia dell’altro. La rivisitazione dei luoghi della memoria, che sono alla base del Sé intersoggettivo, costituisce il filo conduttore di un viaggio di andata e ritorno ai luoghi dove si è  forgiata la nostra vita. In questo periodo sono in molti ad aver attivato i contatti con tante persone che sono state parte del loro universo; questo universo personale non si aveva mai il tempo di visitarlo. Forse adesso che si ha tempo senza dover essere costretti a “passare il tempo” – o addirittura qualcuno non pensa ad altro che uccidere il tempo, senza sapere che uccidendo il tempo uccide se stesso -, si può cominciare a re-immaginare un processo di ricostruzione del Sé intersoggettivo.

Questo esercizio è necessario per mantenere attiva l’immaginazione creativa in quanto il passato offre dei segnali e delle linee tracciate nella propria storia che ricordando anche momenti molto difficili riapre all’idea e al sentimento di poter superare questa fase di stallo obbligatoria.

Il nemico di tutti ha inciso sulle sovrastrutture che, in forma di maschere indossate insieme a ruoli esercitati, colpisce la struttura da dentro e ciascuno scopre la nuda vita.

Il Leviatano è stato colpito da dentro; emerge la maschera del potere, dello Stato vissuto come una figura nemica del singolo. Attualmente, presso di noi, lo Stato viene invocato a salvare gli individui che ne fanno parte.

Se lo Stato crolla, ed è quello da tanti sentito come ostile, c’è il rischio della scomparsa dell’uomo. Da questa situazione l’immagine dello Stato nazionale o di quello sovranazionale viene messa a dura prova. I governanti si rendono conto che sono stati chiamati a un compito del quale non immaginavano la portata come impegno assunto. Si sono trovati a dover far fronte a una situazione per la quale non erano preparati. Sono quindi obbligati ad ascoltare quanto suggerisce il popolo.

Essere nudo davanti al nemico comune permette di sentirsi parte di una umanità che non è più legata a razze, etnie, sistemi politici e culturali che separano e rendono conflittuale la convivenza dei popoli.

Questa sensazione di essere in pericolo deve portare a un disarmo del meccanismo che soggiace alla ricerca del capro espiatorio, che serve a incanalare la violenza del gruppo.

La ricerca del colpevole calma momentaneamente la paura, ma poi si rende insufficiente a ristabilire un ordine in cui ciascuno si sente più sicuro insieme agli altri in una comunità di riconoscimento, il riconoscimento-base non è più l’essere il professore, il capo o il figlio prediletto, bensì un riconoscimento che riguarda l’essere uomo al di là delle differenze imposte dalle culture.

Lo stare in casa è una possibilità di attivare anche la contemplazione, il guardare ogni istante, ogni cosa con gli occhi, con l’intelligenza cognitiva e quella emotiva.

La contemplazione è un guardare con gli occhi e percepire con i sentimenti in cui si mette in movimento un processo di immedesimazione con il mondo, e di distanziazione.

Si tratta di esercitare la distanza come esercizio dello Spirito per non rimanere schiacciati dagli eventi o rimanere in uno stato di distacco totale come il diventare uno spettatore anonimo.

La casa diventa uno spazio-tempo di rielaborazione dei progetti della propria vita, tenendo conto che questi dovranno essere vagliati dal progetto di ricostruzione che si dovrà affrontare da ogni paese, e soprattutto dalla comunità internazionale.

L’angoscia più profonda non è soltanto quella di sperare di superare il momento di crisi rimanendo in vita, bensì quella che dovremo superare quando ci troveremo davanti alle difficoltà dell’economia e della complessiva situazione sociale.

Questa pandemia globale ha un effetto sulla struttura del desiderio.

Ciascuno è chiamato a ridimensionare progetti, aspettative nel mondo del lavoro, dello studio, dello sport. Ognuno dovrà fare i conti con le proprie dipendenze, non soltanto quelli che soffrono le dipendenze da sostanze, ma tutti quelli dipendenti dal lavoro, da legami affettivi, da appartenenza a gruppi sportivi. È da verificare come i soggetti dovranno fare i conti con i sentimenti di invidia e rivalità nei confronti del collega, di un capo,  di un direttore, perché c’è il rischio che non esista più l’azienda, lo stesso che prima provava un sentimento negativo.

In questo periodo ciascuno dovrà superare le crisi d’astinenza, tranne quelli che dipendono dalle nuove tecnologie, a cui forse si sono aggiunti altri campi nell’ambito online.

Forse una delle sfide che si dovranno affrontare quando si sia attraversato questo periodo sarà di affrontare l’astinenza tecnologica.

 

L’INTELLIGENZA SPIRITUALE COME RISPOSTA ALLA PAURA

INTELLIGENZA SPIRITUALE COME RISPOSTA ALLA PAURA

Francisco Mele

In questo periodo si scontrano due principi. Il principio di “uccidibilità” e il principio di “solidarietà”.

Il principio di uccidibilità è inteso come ciascuno di noi sia veicolo di morte, o può essere ucciso dall’altro attraverso il virus che rende ciascuno un possibile assassino inconsapevole.

L’assassino inconsapevole non ha in sé le caratteristiche della personalità del criminale, per cui i sensi di colpa che lo assalgono quando ha contagiato l’altro senza averne intenzione lo possono portare a uno stato di depressione che paradossalmente lo rende ancora più vulnerabile.

Il principio di solidarietà va inteso come il desiderio di augurarsi che l’altro stia bene, anche per un proprio egoismo; addirittura si desidera che il peggior nemico non sia malato.

Il desiderio che l’altro stia bene non riguarda soltanto il prossimo vicino, amico, parente, collaboratore, collega, ma si estende anche al prossimo lontano. Questo principio può far breccia su quelle persone che hanno come fine l’odio verso l’altro vissuto da ostacolo per la propria realizzazione.

Il principio dell’odio si è riscontrato tra i malati di tubercolosi della fine dell’Ottocento o in alcuni malati di aids; pochi decenni fa si era posto come la vendetta con cui si voleva colpire tutti gli altri indistintamente.

In questo momento invaso dalla paura e dall’incertezza veniamo sollecitati a reagire non solo con la forza della nostra salute fisica, ma soprattutto imponendoci di sviluppare un tipo di intelligenza che ci consenta di alzare la testa e di guardarci intorno per comprendere il valore della terra, dell’ambiente e soprattutto delle persone che la abitano.

Aldi là di una religione particolare, l’intelligenza spirituale è da intendere come la risposta che mi pongo ad alcune domande che riguardano il tema della morte, della vita e del tempo.

In questi anni, il principio dell’odio verso l’altro, considerato il nemico da battere, ha portato a una spesa smisurata in favore di una esagerata corsa all’armamento e di una costruzione di muri: coloro che hanno sostenuto questa tesi si sono trovati prigionieri del proprio sistema di difesa, e sono rimasti intrappolati credendo di essere al sicuro.

La medicina come scienza si è sviluppata con le guerre. Per questo, il sistema medico ha un’organizzazione simile a quella militare, quindi utile ad agire velocemente quando scoppiano delle epidemie, come nel caso presente. Si sono chiusi dei reparti e degli ospedali a favore di una medicina privata, sguarnendo le postazioni migliori per affrontare le diverse epidemie che abbiamo sofferto in questi ultimi decenni.

Il virus non tiene conto della sovrastruttura che fa sì che ciascuno indossi la maschera del potere, del funzionario o dell’operaio. Non tiene conto del sistema gerarchico, ma sta imponendo a tutti, di usare la mascherina, con l’illusione che possiamo in questo modo non essere riconosciuti dal nemico senza volto.

In questa guerra siamo tutti in battaglia. Senz’altro il personale sanitario si trova a combattere senza tutto quell’arsenale necessario per affrontare la crisi.

A niente servono quei carri armati e quei missili postati in punti-chiave del pianeta, perché c’è il rischio che non si possa sparare il primo colpo,  dal momento che non esiste più nessuno, e forse questa situazione paradossale ci può far riflettere sul valore della vita.

In questo periodo alcune persone credono di scongiurare il pericolo decidendo da sé la propria morte,

come tanti tossicomani che usano la dose, come i perseguitati durante il nazismo usavano la pasticca di cianuro per non essere catturati. Oppure come l’ex carabiniere che, per la paura del futuro, uccide con la pistola dell’Arma moglie e figlio, per poi spararsi dopo aver avvertito la Polizia.

Ognuno di noi che viviamo la paura della minaccia, siamo chiamati a sostenere l’angoscia di tanti malati, familiari, amici, colleghi che si trovano nella nostra stessa situazione.

Nella disgrazia del momento presente emergono le capacità dei dirigenti, e molti di questi davanti alla crisi, in quanto impreparati ma avidi di potere, si sono dimostrati inadeguati.

il sonnambulismo collettivo che ci ha colpito in questi ultimi anni ci ha portato a scegliere dei dirigenti, soprattutto politici, che entrano nella categoria “del Pifferaio Magico”, in analogia con quello che si può definire un “collettivo incosciente”, a differenza dell’incosciente collettivo junghiano, dove, attraverso un codice di lettura adatto, si legge una grammatica saggia in quanto si scopre quel sapere dell’uomo che riguarda il mito.

La mitologia interrogata con la ragione porta a una conoscenza del Sé e della Comunità. Il collettivo incosciente è l’azione dell’individuo e del gruppo senza senso, da cui non si può trarre alcuna sapienza. Senza questa sapienza non si impara mai dall’esperienza e a livello compulsavo si ripetono gli stessi errori.