NOSTALGIA DI FAMIGLIA
“Amarsi male. Quello che resta della famiglia in una società post-nevrotica”
di Francisco Mele
PUBBLICATO in In-dipendenza: un percorso ver l’autonomia.
a cura di Teresa Albano e Lolita Gulimanoska. Premessa di Silvia Mazzoni.
Volume II- Manuale per la cura e la prevenzione delle dipendenze
FrancoAngeli, Roma 2007.
1.1.Psicoterapia familiare
Introduzione
Nei primi anni del Novecento Freud elabora il concetto di complesso di Edipo, mettendo in risalto il conflitto padre-figlio e l’attaccamento/differenziazione con la madre. Il padre viene vissuto da parte del figlio come il rivale che occupa un potere che lui, figlio, vorrebbe avere; questo conflitto, se non viene superato, rappresenta la genesi di tante nevrosi e addirittura di alcune forme di psicosi. Nella società post-nevrotica1, dopo la caduta della parola del padre2, in un contesto di incertezza il padre scompare come rivale-potere per diventare il fratello-amico-rivale, e quindi non è più colui che impedisce al figlio di godersi i beni appartenenti a lui padre-padrone, ma è lui stesso che incita al godimento mostrando il suo attaccamento alle cose accessibili al figlio, e che al figlio e non a lui, sono adatte.
Il concetto di complesso di Edipo risponde alla struttura familiare borghese che si era affermata tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Nella società che ho definito post-nevrotica, il conflitto edipico viene rovesciato, non è più il figlio a vivere il conflitto con il padre, bensì è il padre che vive il figlio come rivale; inoltre, secondo René Girard3, il conflitto di rivalità-mimetica che si innesca fra padre e figlio è simile a quello che accade fuori dal sistema familiare.
Nella società post-nevrotica 4 ,
a) i ragazzi rimangono fino a tarda età in casa dei genitori, non solo per questioni economiche;
b) i figli non entrano in pieno nel sistema produttivo; vivono in costante precarietà dal punto di vista del lavoro e/o degli affetti; questo stato di precarietà e insicurezza non li aiuta a sviluppare la stima di sé né a difendere i propri diritti e meno che mai i diritti degli altri e si traduce in una indifferenza sociale nei riguardi delle persone svantaggiate;
c) l’incertezza e lo stato di precarietà creano continui rimandi rispetto alle decisioni fondamentali per costruire un percorso di vita autonomo;
d)un bambino nasce in una famiglia e cresce in una seconda o in una terza famiglia; in queste situazioni di famiglie multiple ricomposte, risulta difficile che egli possa capire a chi debba essere leale, se al padre biologico o al nuovo compagno di sua madre o alla terza compagna del padre e così via. Risulta anche difficile che questo bambino sappia quali siano i suoi nonni, fratelli o fratellastri. E il terapeuta deve riflettere e valutare circa i componenti della famiglia da convocare;
e)un terapeuta deve essere attento ad ascoltare le sofferenze, il vissuto di un figlio che viene trascurato da suo padre il quale si occupa con più interesse dei figli della sua compagna piuttosto che dei suoi figli;
f) si incrementa l’egoismo dei genitori, che dai figli viene vissuto come “mio padre preferisce la seconda moglie che noi suoi figli”;
g)si delinea, quasi contro natura, la rapacità dei genitori dei figli malati di aids la cui pensione di invalidità essi usano per giocare o per divertirsi; molti altri esempi di avidità ed egoismo si verificano in sempre maggior numero da parte di genitori nei confronti dei figli;
h) in un contesto di precarietà, anche gli affetti sono precari e quindi l’unica cosa sicura rimane il rapporto figlio-madre o figlio-padre;
i) si verificano le patologie della dipendenza e la grande paura del futuro da parte dei ragazzi; la sensazione di rimanere sempre in bilico fra adolescenza e maturità, condivisione e abbandono, ragione e follia, ha portato ad accrescere i casi di organizzazione di personalità al limite o personalità borderline;
j) nelle stesse persone convivono atteggiamenti contradditori, la scissione fra mondo privato e sfera pubblica, atteggiamenti che non provocano conflitti morali; situazione che si possono definire come la “doppia vita” di ognuno;
k) è aumentato il livello di violenza all’interno della famiglia, si verifica un incremento dei “delitti in famiglia”; la tossicodipendenza, l’anoressia, la violenza verbale o fisica, costituiscono forme diverse di azioni auto e/o eteroaggressive.
Nel contesto della società post-nevrotica ci si può interrogare se sia ancora valida la terapia familiare, in quanto risulta sempre più difficile mettere assieme genitori e figli, e tantomeno riunire le tre generazioni, nonni, genitori, figli: viene meno allora lo schema trigenerazionale usato da certe correnti di terapia familiare. Questa difficoltà nel mettere insieme un intero nucleo familiare ha dato origine alla terapia individuale sistemico-relazionale.
Il concetto fondamentale riguarda la triade individuo-famiglia-società, perché anche se si è modificata la struttura familiare, comunque è valido lavorare con la famiglia nelle diverse conformazioni che essa è andata assumendo, soprattutto quando si deve affrontare la terapia delle dipendenze patologiche in tutte le loro variazioni.
La teoria che ha consentito di raggiungere un maggior successo e anche di comprendere il fenomeno studiato è quella sistemico-relazionale.
Considerare la famiglia come un sistema ha significato spostare l’attenzione dall’individuo singolo al sistema familiare o sociale; in questa concezione il sintomo acquista un diverso significato, non è più un problema individuale, bensì il risultato di un conflitto intersoggettivo.
Nei casi di dipendenze patologiche, se non si lavora con il sistema familiare la terapia individuale o in comunità terapeutica rischia di essere vanificata quando il soggetto torna ad interagire con la propria famiglia.
A. La cornice teorica della terapia familiare
Il filosofo e sociologo Jurgen Habermas distingue tre tipi di scienze:
– le discipline empirico-analitiche, caratterizzate dall’interesse per l’efficacia e orientate all’agire strumentale (manipolazione dell’oggetto di studio);
– le scienze storico-ermeneutiche, interessate alla comprensione del senso e rivolte all’intesa comunicativa;
– le scienze critiche, orientate all’emancipazione del soggetto.
La psicologia, a quale scienza appartiene?
La teoria sistemico-relazionale ha cercato di integrare le due prime prospettive; la teoria sistemica deve molto allo sviluppo della biologia, nonché alle scoperte nel campo della fisica. Jean Piaget è stato uno dei precursori della ricerca finalizzata a conciliare i due tipi di scienze. Edgar Morin si propone in tutta la sua opera di evidenziare la totalità del sociale che è presente nelle scienze empirico-analitiche e quanto di queste è presente nelle scienze umane.
Nello stesso periodo in cui stavano sviluppandosi questi studi, la Scuola di Francoforte, a partire dai suoi iniziatori Marcuse, Fromm, Adorno, fino ad Habermas e a Honneth, ha cercato di costruire una scienza sociale critica, integrando le discipline storico-ermeneutiche come la psicanalisi, alla sociologia critica; quest’ultima tende a mettere in evidenza i fattori costrittivi a livello sociale e a livello individuale che impediscono che la persona si emancipi dai condizionamenti materiali e simbolici.
La grande rivoluzione scientifica del Novecento è costituita dalla svolta linguistica, che ha attraversato tutti i campi del sapere. Lo studio del linguaggio ha permesso di integrare sfere apparentemente svincolate fra loro.