I GIOVANI, MAESTRI DEL SOSPETTO

JESÙS CASTELLANO CERVERA
Carmelitano

Martedì 27 gennaio 2004, nel mio studio

FRANCISCO MELE – Spesso ti ho sentito parlare dell’importanza dell’ascesi vivificante. In che modo. l’aspetto vivo della religiosità può essere trasmesso ai giovani alla ricerca di qualcosa che non sia morte e che sia vita? Questi concetti tuoi sono anche pedagogici.

PADRE JESUS – Io ho l’impressione che i giovani oggi siano alla ricerca di grandi ideali, però tutti questi grandi ideali che sono dentro al loro cuore e anche alla loro mente spesso sono come appiattiti da quello che loro vedono, quello che loro sentono, le cose che sono loro date, che poi non sono grandissimi ideali. Spesso oggi sono cose che li tirano fuori dalla realtà, e i giovani soffrono molto, anche se non sembra, perché quelle cose che vengono date loro non soddisfano questi grandi ideali che portano dentro.
La grande difficoltà è legare un po’ questi giovani per far capire loro che c’è una religiosità, c’è una ricerca di Dio, c’è un codice di vita umana che è il Vangelo, che io direi è l’interpretazione più alta di quelli che sono gli ideali umani di tutte le generazioni, di tutte le razze e anche di tutte le culture, perché anche se la cultura è diversa, la natura è la stessa: cinese, giapponese, svedese, eschimese, spagnola, siciliana, certo la cultura è tanto diversa, però la natura è la stessa. Forse oggi quello che si pensa anche a livello di teologia e di filosofia è che la chiave di comprensione della religione è l’antropologia, il vero senso dell’uomo. Una persona che è alla ricerca della realizzazione piena di quella che è la sua struttura, che è una struttura mentale, una struttura sentimentale, una struttura psichica, una struttura di rapporti, di relazioni, che poi è difficile che questo avvenga, perché mancano un po’ come i parametri su cui misurarsi, e mancano i pedagoghi che siano capaci di proporre tutto questo. Manca alle volte la serietà di un progetto veramente autentico perché una persona si possa realizzare.
Ecco, io comincerei col dire, attraverso le cose di cui tu hai parlato, che non si dovrebbe aver paura di tutto quello che potrebbe sembrare un po’ negativo, anche nella visione cristiana delle cose. C’è per esempio la parola “ascesi” che poi significa sforzo; io non gli do un significato negativo per la persona umana, per la sensibilità, ma gli do un autentico senso positivo, è la realizzazione di se stesso, ma per realizzare se stesso uno deve anche avere un equilibrio dentro la propria personalità, dove ci sono anche tante forze negative interne ed esterne.
L’acquisto della propria libertà è come il primo regno da conquistare: la propria libertà, che è libertà di essere se stesso, davanti agli altri, e anche davanti a Dio. Se io parlo dello sforzo, che poi si dice ascesi che è diventata una parola non di buon nome, che poi è lo sforzo; ascesi vuol dire che io mi privo di certe cose; ma questo significa proprio liberare me stesso da certe piccole schiavitù, dalla schiavitù del consumismo, da tanti surrogati che io mi sono preso.
Se sono capace di dire un no a queste cose, vuol dire che dico un sì all’espressione della mia libertà. E quando parlo di una educazione verso la libertà, parlo anche di un’educazione che è liberatrice, cioè libera nel senso positivo della parola tante energie che sono dentro di noi, libera la creatività, libera la gratuità; a me piace molto questo, dicono gli psicologi – tu ne sai qualcosa, Francisco – che due delle parole più belle della maturità sono la creatività e la gratuità. La creatività è proprio pensare il bene, il bello, quello che è gioioso, quel desiderio di fare delle cose grandi, belle, per se stessi e per gli altri; e la gratuità è proprio il senso di farlo senza interesse, nel senso che non siamo dominati da un capitalismo, ma proprio amo perché amo, amore gratuito; e quando uno comincia a vivere così, in questa situazione, la creatività e la gratuità, certamente vive realizzando se stesso, non è come corroso dagli egoismi, non è neanche frenato dai giudizi, ma essendo libero davanti a Dio, davanti a sé, davanti agli altri, è capace di pensare il bene, di fare il bene, di continuare ad immaginare il bene anche da fare per questa società, per quelli che sono accanto a noi, e poi lo fa naturalmente con un senso di gratuità, perché l’unica ragione del “perché faccio questo?”, è “lo faccio perché voglio farlo, perché sono felice di farlo”. Allora vedi come la persona si realizza: tre parole belle, libertà, creatività e gratuità. Mi sembra che sono questi i grandi programmi che oggi potrebbero essere proposti se avessimo anche dei pedagoghi capaci di far emergere queste personalità e dare anche questa testimonianza – non dico consigli perché mi sembrerebbe un po’ falso -, invece testimonianza di persone gioiose, creative, gratuite, che vivono, che si vede che non sono frenate, sono libere.

F. M. – il pedagogo dovrebbe anche lui essere libero, dovrebbe dare in forma gratuita ed essere creativo.

P. J. – Io penso che tutti parlano anche nella civiltà di oggi del sospetto e dei grandi maestri del sospetto, ma io penso che i grandi maestri del sospetto sono i giovani, i quali quando sentono un discorso contro corrente, ma anche quando sentono un altro discorso, vogliono subito vedere se c’è un risvolto autentico, vogliono vedere se veramente quello che viene detto, sono parole di verità. Se quello che viene detto corrisponde ad un comportamento, se quello è l’espressione della persona che pensa così e agisce così, e magari stanno anche a vedere quali sono i comportamenti dopo un certo discorso per verificare se davvero quella persona che ha detto tutte quelle cose, nella realtà riesce a fare questo, perché allora dicono “Questo è vero”.
Maestri del sospetto sono coloro che pensano che fra quello che tu dici e quello che tu fai c’è un’altra intenzione; di solito si parla di Nietzsche, di Marx, di Freud maestri del sospetto, perché hanno sospettato, che dietro quello che appare non è quello che appare. I giovani parafrasando, si possono definire così; e proprio certo cinismo che c’è fra i giovani proviene proprio da tante falsità che loro vedono a diversi livelli, politico prima di tutto, sociale e possiamo dire anche ecclesiastico. Quindi per risanare anche i giovani biosgna avere la grande capacità di immetterli in un ambiente di grandissima serenità, di grandissima verità, di grandissima capacità di ascolto, di un primo scontro magari che viene, però con la grande capacità che si ha di capire che al di là di quello che si dice come prime parole ci sono le ultimissime parole che ciascuno porta dentro di sé e che vuole che siano risolte da un interlocutore che non si metta la maschera ma sia anche capace di capire l’altro e di trattare con assoluta parità l’altro, da persona libera a persona libera. Io ricordo sempre una terribile frase di uno dei primi Padri della Chiesa, San Clemente, il quale dice: “Quando i pagani sentono le parole del Vangelo sono come emozionati e vanno proprio in visibilio, perché dicono: ‘Qui c’è una realtà bellissima, magari le cose fossero così!’. Quando vedono come noi ci comportiamo contrariamente al Vangelo, rimangono ancora più delusi e dicono che questa non è una verità, ma una favola o addirittura una farsa”. Io penso che i giovani hanno questo sentore, vogliono sapere, ma vogliono vedere se c’è un legame fra quello che si dice e quello che si fa; sono molto esigenti, sono loro i veri maestri del sospetto, oggi.

F. M. – Il concetto del dono come gratuità è stato sviluppato da Paul Ricoeur in un convegno in cui sul tema del dono una serie di professori descriveva i vari tipi di doni che si scambiano fra gruppi di persone, in cerimoniali pubblici o a livello privato. Ricoeur invece ha portato il tema del dono come gratuità

P. J. – Mi ricordo, lo conosco.

F. M. – E proprio perché non ci si aspetta nullla in cambio, si verifica uno scambio; bisognerebbe leggere quello che il filosofo ha scritto a questo proposito, ma ricordo l’impressione del rapporto fra il dono e il nulla in cambio, che al contrario stabiliva una corrispettività.

P. J. – Mi sembra che sia proprio questo il senso, che puoi andare fino in fondo alla più pura antropologia dell’amore, come è stata cantata dai grandi, penso soprattutto a tantissime frasi di Agostino, quel famoso “Amo quia amo”, “Amo perché amo”, non cercate altra ragione, non cercate altro interesse, ma proprio il realizzarsi così. Anche perché io ricordo una bella parola di un Padre del Deserto: un monaco del Deserto dice: “Padre spirituale, cosa dovrei fare io? Perché sono disposto ad obbedirti, ma vorrei fare qualche cosa che veramente mi faccia del bene”. Allora il Padre del Deserto gli dice: “Guarda, tu mi vuoi obbedire in tutto? Allora, siamo alle nove del mattino, fino all’ora della preghiera, che sarà a mezzogiorno, lì c’è un orticello e qui c’è un po’ d’acqua, una sorgente, allora tu prendi questo cesto di vimini e porta l’acqua da questa sorgente e fai innaffiare l’orticello”. Lui vedendo che si trattava di una cosa molto assurda, un paradosso, dice: “Mi vorrà provare nell’obbedienza, ma io sono ben disposto”. Certo, poveretto, poi ha visto che l’acqua cadeva durante il cammino, e alla fine ha detto: “Padre, io ho cercato di obbedirti, ma mi sembra che non ho fatto niente”. “Come non hai fatto niente? Hai fatto tanto – dice il Padre -. Guarda, il cesto di vimini è pulito, a forza di buttarlo dove c’era la sorgente. Io non ti chiedevo di per sé di innaffiare l’orticello, ma di pulire questo cesto di vimini”. E il cesto dopo tanti lavaggi con l’acqua, era diventato ben pulito. Morale della favola: quando uno ama, il primo a beneficiarsi dell’amore è la persona; quando uno ama, anche il cuore è rassicurato, è gioioso, purificato, si è illuminato. Anche al di là del bene che tu potrai fare, il primo a beneficiare dell’amore che tu hai sviluppato sei tu stesso, perché amando ti realizzi, ti purifichi, sei gioioso, tu riacquisti la libertà. E’ il cesto di vimini che riceve questa purificazione. Penso che questa sia una cosa molto importante, perché tutti ci domandiamo: “Ma quando io amo, quando io faccio del bene, che profitto ne traggo?”. Al di là di tutto quello che puoi fare agli altri, ed è vero, tu stesso ti realizzi, come il contrario, quando tu fai il male, fai male all’altro, fai male a te stesso, il tuo cuore si indurisce, c’è quello che i Padri del Deserto chiamavano – queste sono parole molto belle, perchè sono pedagogighe – la “sclerosi” del cuore, addirittura la “necrosi” del cuore: c’è una specie di necrosi del cuore che non ama, una sclerosi, che è la durezza del cuore. Invece quando uno ama, altro che sclerosi!, c’è proprio il cuore in carne viva, magari si soffre, però anche nella sofferenza c’è un senso molto bello di realizzazione, e si assapora il vero amore umano che non può non essere esente anche da qualche – possiamo dire – sofferenza, però è la sofferenza dell’egoismo, che l’egoismo soffre; ci sono anche i sentimenti ovviamente, ma la persona si realizza su un amore che non è idilliaco, non è un amore divino, della divinità; c’è un amore di una madre, un amore di un amico, cioè si ha la capacità di essere se stessi, e io sento profondamente che anche uno dei rischi della nostra società, se non viene continuamente ricondotta a queste radici antropologiche è la perdita dell’umanesimo. Quindi, ritornando ai giovani, potremmo dire con una vera pedagogia, che a questi maestri del sospetto noi diamo una testimonianza vera, perché non è neanche dare testimonianza che si è così com’è, come si dice di essere.

F. M. – Hai anticipato una mia domanda, “Il patrimonio dei Padri del Deserto, dei Padri della Chiesa”.

P. J. – C’è un famoso libro, “L’alba della nostra spiritualità”, dove si recuperano un po’ questi detti dei Padri; è un’antropologia molto viva, molto concreta; ma in certe cose – devo dirlo – sono un pochettino negativi, a volte ci si trova con dei detti…Quando io sento la bellissima frase di Evadrio Pontico, che dice: ” A una parola si risponde con un’altra parola; ad una teoria si risponde con un’altra teoria, ma nessuno può contestare la vita e l’esperienza”, questa è una grandissima saggezza; certo, l’esperienza deve essere positiva, però qui non siamo al battibecco al quale noi continuamente assistiamo: uno dice una parola, l’altro dice un’altra parola…uno dice una teoria, l’altro un’altra…Chi può contestare la vita? Se noi – penso – facessimo un investimento molto più grande, di opere invece che di parole, probabilmente questa sarebbe quella esperienza che non si può contestare, e sarebbe un passare continuamente a provocare nell’altro la voglia dell’esperienza positiva, perché l’ultima sapienza è l’esperienza. Noi tante volte apprendiamo tante cose dai nostri maestri, dai nostri padri…Sono teorie, però l’ultima sapienza è l’esperienza; ora, dovremmo far sì che le esperienze siano veramente positive, siano comunitarie, siano anche libere, esperienze anche rigeneratrici, ma al limite epserienze dalle quali – come dice San Giovanni della Croce, tanto per citare un nostro maestro – “Anche dal male si può trarre il bene”. Allora non c’è limite che non possa essere superato.

F. M. – A proposito di San Giovanni della Croce, tu mi avevi parlato della pneumoterapia. Che cos’è? Come possiamo ascoltarla oggi?

P. J. – San Giovanni della Croce è un grande maestro. E’ considerato anche un grande teologo, ma tutti ammirano in lui la grande intuizione antropologica. Papa Giovanni Paolo II, che ha fatto la sua tesi di laurea su San Giovanni della Croce quando era un giovane sacerdote, quando ha visitato il Teresianum – la facoltà di teologia del Carmelitani -, una delle prime visite che ha fatto – era il mese di aprile del 1979, all’inizio del suo pontificato – è andato all’Aula Magna e dicendo che aveva fatto la tesi su San Giovanni della croce ha detto queste parole molto belle, di quelle improvvisate, quindi sue al cento per cento: “Quando si legge San Giovanni della Croce, quando si è passati una volta per le sue opere, allora davvero vuol dire che si conosce in profondità la persona umana”, perché si conosce, della persona, e il limite e le possibilità. Giovanni della Croce è molto esperienziale; forse una premessa che dobbiamo fare è che lui da piccolo ha sofferto molto, è stato orfano, ha fatto mille mestieri, ha fatto anche l’operaio, ha fatto l’infermiere in un ospedale dove c’erano le malattie contagiose, anche veneree, quindi da bambino ha visto questo mondo della sofferenza e ha saputo superare continuamente questo, la sua povertà e tutto quanto. Poi ha avuto una grande ispirazione spirituale, ha trovato Santa Teresa di Gesù, ha sofferto anche molto perchè ha avuto una prova che è stata come un parto doloroso da cui è nata una nuova creatura, quando per diverse circostanze è stato imprigionato nel carcere conventuale, e per nove mesi a Toledo è rimasto in una piccola stanzetta, praticamente un ripostiglio, quando già era sacerdote. Nel 1577, nel mese di dicembre, il giorno dell’Assunta. Si trattava di beghe fra i frati, dicevano che lui era disobbediente… Giovanni della Croce è stato per nove mesi in questo buio ripostiglio senza celebrare la messa – non ne aveva il permesso -, senza ricevere la comunione; eppure in questa notte scura di nove mesi – quanto ci vuole per fare una nuova creatura – lui ha composto le poesie più belle; quindi è stata una notte illuminata. In quel buio lui ha capito la rigenerazione della poesia. Ora quando Giovanni della Croce ha voluto mettere a profitto dei suoi discepoli alcune cose, ha cominciato vedendo anche la normalità della persona, che ha una vocazione immensa. Un uomo che ti dice: “Un solo pensiero della persona umana vale più di tutto il mondo, e per questo solo Dio è degno di questo pensiero”, quindi è uno che punta forte; però considerando la persona e vedendo che la persona se non si mette totalmente verso Dio è come mangiata da quelli che lui chiama “gli appetiti”, cioè i bisogni, le tentazioni…E lui con un linguaggio molto bello ,parla di pneumopatologie e pneumoterapie, dice che “tutti questi appetiti, questi desideri disordinati producono nella persona umana queste cose; diciamo come effetto che fanno in essa con molte maniere, e che questi appetiti stancano, tormentano, oscurano, sporcano e infiacchiscono”: sei parole molto interessanti. Tu ti lasci prendere dalle passioni, ma se non riempi positivamente queste cose, stancano; alla fine uno si stanca di tutto. Poi tormentano, oscurano, sporcano e infiacchiscono. ora tu vedi, se questo noi lo applichiamo, Francisco, tu ti trovi a vedere delle persone che sono così…

F. M. _ Sì, e si tratta di gente giovane.

P. J. – Ecco, tutto questo per dire: se tu ti metti – se ti sembra un poco troppo forte tutto questo -, ma fai il contrario; allora questa vita, anche se è una vita normale – ma nell’adesione totale, nell’amore, perché è l’amore soltanto che costruisce, – tu ti trovi con i sei elementi che sono contrari, quindi non ti stancano, capisci come è bella la frase di Giovanni della Croce?, te la dico in spagnolo: “Alma que anda in amor ni cansa ni se cansa”, l’anima che vive nell’amore non stanca e non si stanca. Però bisogna arrivare a questo. Queste persone non sono tormentate, perché sono i fantasmi che tormentano le persone, quanti fantasmi percorrono le persone?, i loro desideri? Tanti fantasmi, nella notte. Allora, proprio fugare i fantasmi, nel positivo. Non oscurano: la persona che ama è luminosa, capisce, è intuitiva, si lascia anche guidare dalle cose belle, da tutti i linguaggi del positivo, dalla natura, tutto lo vede bene, è illuminato. Ovviamente, non è persona come sudicia, del sudiciume delle cose, ma è pulita, anche perché vede gli altri puliti, e pulisce gli altri: se io ho una persona che mi ama, e mi ama male, con un certo egoismo, se invece di fuggirla, cerco di dare un amore che è capace di neutralizzare quel negativo che è nell’altra persona, se c’è una persona che è attaccata, giovane – tante persone sono così – io non la respingo, ma la accolgo con un amore più forte capace di assorbire anche quel male che è in lei, sto realizzando un’opera molto positiva, è un amore pulito che pulisce. Quando Gesù si lascia lavare i piedi dalla peccatrice, c’è tanto amore in quella peccatrice; ma perché Gesù non si è spaventato, non le ha dato una pedata, non le ha detto “Ma chi sei tu?”, è stato un amore così grande che quello che poteva essere eventualmente da neutralizzare, l’ha neutralizzato ma con normalità, per l’accoglienza, per l’amore, “Perché molto hai amato”. Vedi, tutte queste cose a me sembrano di grande realismo. Noi siamo in una società terribilmente fiaccata, non una società forte; davanti a qualche elemento negativo, quando le cose non vanno bene, le persone crollano. Ora, vedi questo nuovo terapeuta, in queste piccole o grandi patologie, che sono lì, insidiosamente messe nella nostra vita, e che hanno bisogno diciamo di questa terapia spirituale, cioè dell’amore dentro di noi, perché noi le cose le possiamo dire a livello soprannaturale, diciamo Dio, diciamo Spirito Santo, a livello naturale è l’amore dentro di noi che è lo spirito che è Dio, che è il linguaggio.
La realtà è questa, che da una parte noi non viviamo semplicemente una situazione solo personale, ma collettiva. Noi viviamo in una società in cui tutte queste cose accadono a livello collettivo, e quindi bisogna un po’ come premunirsi, ma non per diventare dei puri, che siamo come straniati da tutto questo, perché come dice il mio amico Nicola Cavasilas, un autore greco di Tessalonica del secolo quattordicesimo: “Beati i pacifici, gli operatori di pace”, e dice anche: “Per essere operatore di pace uno deve mettersi nella mischia, altrimenti che operatore di pace è?”. E allora tutto questo bene che si deve fare è un po’ come mettersi nella mischia delle situazioni, come tu ti metti, Francisco, anche dove trovi questi giovani in cui ci sono tutte queste contraddizioni, dove ci sono tutte queste realtà morbose, ma vai lì, con la tua parola, con la tua serenità, con il tuo sguardo, con la tua scienza, con la tua esperienza, cerchi di vivificare tutto questo: questo mi sembra che sia il segreto; queste sono alcune delle malattie. Però Giovanni della Croce è ancora molto più sottile. Lui dice: “Anche con tutti i nostri sforzi, personalmente e a livello sociale, comunitario, siamo impregnati di tante malattie, di tante patologie, ma queste patologie sono patologie dello spirito. Volere o non volere, queste esperienze le facciamo continuamente. Lui dice: “In noi sono vivi i sette vizi capitali”. Ma si tratta dei vizi capitali a livello spirituale. C’è una superbia spirituale, una gelosia spirituale, una lussuria spirituale di cercare gradimenti e tutto quanto… Tutti i vizi. E Giovanni della Croce dice: “Perché le persone arrivino a riacquistare tutta la loro libertà, anche a livello spirituale – quindi non è che stia parlando della persona immersa in chissà quali vizi, ma quel prete, quella suora, quel laico, quella persona, che ha un giudizio terribile su di un altro, che ha una gelosia, un’invidia, un’ira… – queste persone devono passare sotto il crogiolo di una purificazione che loro non riescono a fare da se stessi, ma che è fatta da Dio attraverso le circostanze, una malattia che ti arriva, una contraddizione, un’umiliazione… tante cose che non vanno bene, e però anche lo sforzo di donarti continuamente in maniera positiva. Lui chiama questo, come tutta questa parte di cui abbiamo parlato che lui chiamerebbe la notte attiva, dove noi siamo attivi per non cadere in questi tranelli, questo lui chiama “la notte passiva” del senso, “la notte attiva” del senso, i nostri sentimenti sono purificati attraverso tutte queste cose. Lui dice che è necessario tutto questo, perché se non siamo purificati da Dio attraverso tutte queste cose, non siamo veramente persone libere; abbiamo bisogno di essere liberati da Dio, Dio ha bisogno di liberare in noi anche queste energie che in qualche modo sono trattenute dal nostro egoismo E ci sono dei capitoli molto belli nel libro della “Notte oscura”, dove dice: “ Ma guarda, quando tu passi attraverso tutte queste cose, anzitutto hai un senso profondo e sincero di chi è Dio, hai un senso profondo di chi sei tu, la verità di te stesso, non per umiliarti, ma per dire: ‘Io sono quello che sono’, cominci a capire il senso dell’altro, in te scatta un senso profondo di misericordia e di comprensione, di amicizia, di valorizzare il bene dell’altro…”, incominci ad avere un amore grande per gli altri perché come tu hai sofferto dentro te stesso – Giovanni dice una cosa bellissima: “Anche il sangue del loro cuore darebbero per gli altri”, ecco che spunta il santo purificato da Dio così. Poi queste persone – dice una cosa molto bella – amano la sobrietà spirituale. La sobrietà è la normalità, il senso delle piccole cose, non persone che stanno sempre in una grande esaltazione o in una grande depressione; quindi riacquistano in sé un equilibrio di tutto, perché sono come oppressi da tutti questi vizi spirituali, si credono spirituali e non lo sono, ma diventano persone direi normalmente sane, evangelicamente equilibrate e nuovamente capaci di intavolare dei discorsi di simpatia, di lavorare… Queste sono le cose che lui dice. E dice ancora che bisogna vivere a livello soprannaturale, della Chiesa: Dio, questo tipo di persona la vuole usare per fare delle grandi opere nella Chiesa, questa persona prima deve essere molto molto purificata; noi l’abbiamo saputo anche ultimamente, di madre Teresa di Calcutta che in mezzo a tutte le sue attività soffriva una specie di silenzio di Dio. E questo a me sembra molto bello: se noi avessimo dei grandi mistici che fossero come delle persone aristocratiche, che sono sempre una specie di Olimpo della santità, che non hanno a che fare con questi poveri poveracci…, invece i mistici sono quelli che non soltanto varcano la soglia dell’Altissimo ma sono condotti da Dio a varcare la soglia dell’abisso. Allora sanno essere alla tavola dei peccatori, sanno capire tutti, un povero, un ubriaco, una prostituta, un malato, e quindi hanno una compassione per tutti, un amore per tutti, perché loro si sentono anche lì: questi sono i mistici che mi piacciono. Portati a questo livello, questi mistici sono talmente presi da Dio con tutta la loro energia, la loro creatività, che non c’è pericolo che metteranno Dio come una specie di sgabellino e si metteranno sopra questo sgabello che è Dio, no, ma saranno veramente pura trasparenza di Dio, e faranno tutto quello che Dio vuole che facciano, saranno veramente guariti totalmente da Dio, questa è la profonda pneumoterapia, per cui dove c’è una pneumopatologia bisogna che ci sia una terapia dello spirito che va fino in fondo a sfaticare il male profondo che c’è in noi, ma per liberare. Dio non costruisce la sua gloria sule nostre rovine umane, Dio si compiace di quello che noi siamo e di quello che noi possiamo fare e quando Giovanni della Croce dice la parola terribile e bellissima, all’inizio del Cantico: “O anima bellissima, in te si compiace Dio in tutto”, ma poi dice “Dio è glorificatore dell’uomo”, un po’ quello che ha detto sant’Ireneo, “La gloria di Dio è l’uomo vivente”, non un uomo schiacciato, un uomo depresso, ma l’uomo vivente: si compiace, la sua gloria è di vedere uno che è un figlio che porta tutto questo. Capisci quindi, Francisco, che cosa vuol dire a che livello terapeutico, apostolico, quello che si può fare quando riesci a guarire le persone, a ridare fiducia, a ridonare la fiducia, la libertà, l’equilibrio, stai veramente facendo che queste persone siano la gloria di Dio, per glorificare la persona, avendo fiducia anche al di là di tutto quello che puoi percepire in una persona che c’è sempre quella immagine a somiglianza di Dio che è in loro, che nessuno può distruggere.

F. M. – Anche se loro non lo sanno.

P. J. – Anche se loro non lo sanno. Ma bisogna che la persona riesca anche a capire la propria dignità. Non so se questo discorso è troppo spirituale, ma mi sembra che ci sono degli elementi…

F. M. – Quello che tu stai dicendo è fondamentale anche per quello che mi interessa rispetto alla malattia che talvolta esiste nell’ambito di quelle organizzazioni che ho chiamato “del bene”. Nel senso che può capitare che queste organizzazioni “si ammalino” nello spirito, perché si legano al potere.

P. J. – Certo. Il principio è sempre questo, Francisco. Il bene va fatto bene. E non soltanto bisogna compiere le opere dell’amore, ma farle con amore, altrimenti c’è come qualcosa che non va. Non soltanto compiere delle opere che apparentemente sono opere di amore, perché tu dai da mangiare all’affamato, vesti l’ignudo, però se tu lo fai con paternalismo, con disprezzo, non va. Ecco perché le parole di Giovanni della Croce. I mistici sono maestri del sospetto, perché loro dicono: “Guarda che quando Dio vuole una cosa da te, la vuole con purezza totale, tu non dire in nome di Dio faccio questo, stai attento, perché tu lo fai a nome tuo, non per la gloria di Dio che tu dici con le tue parole, ma per la tua gloria. Per questo c’è bisogno evidentemente di una grande capacità di dirci la verità, di comunicarci la verità, anche per togliere quei circuiti maligni che ci sono anche nelle opere del bene.

F. M. – Non so se quanto vorrei sapere è pertinente, ma credo che i legami ci sarebbero fra quanto detto e quanto vorrei chiedere. In Giovanni della Croce c’è anche in qualche modo la considerazione dell’arte?, perché l’arte è un’espressione dell’uomo, però rispetto a tutto quello che hai detto e che è sacrosanto riguardo alla pneumoterapia e alla considerazione dell’equilibrio che deve avere l’uomo, l’artista, che non ritengo debba essere un superuomo e vivere in una maniera differente dagli altri come talvolta in certi periodi di stampo romantico si è pensato, deve avere i suoi doveri ecc., però ha la necessità anche di esprimere le bellezze e le grandi contraddizioni della società, che richiedono – soprattutto queste ultime – un tipo di sentimento che può essere anche molto conturbante…

P. J. – Io penso che l’artista partecipa in una maniera straordinaria di questa realtà dell’amore che si esprime in qualche modo in un amore sofferente, perché ha una capacità di cogliere le cose anche fino ad essere un po’ come… ad averne un senso come di un dolore lancinante nell’esprimere la musica, nell’esprimere una certa realtà..

F. M. – Nell’esprimere anche il negativo.

P. J. – Anche il negativo, certo.

F. M. – Che non significa aderire, significa dimostrare e forse poi, in senso catartico, superare.

P. J. – Però superare. Perché io direi che Giovanni della Croce è un artista, un poeta, un pittore – c’è una bellissima immagine sua, del crocefisso -, figura che poi ha ispirato Dalì. E Giovanni della Croce nel libro “La salita al monte Carmelo” ha delle parole terribili contro i “cattivi artisti”, che non producono immagini belle. E lui è un cantore della “hermosura”, della bellezza. E’ straordinario che non sapendo come dire le cose, quando descrive nel Cantico spirituale la parola “bellezza”….- “Andavamo a guardarci nella tua bellezza” -, ripete in maniera straordinaria questa parola, bellezza bellezza bellezza…

F. M. – A seconda della lingua la parola ti suscita sensazioni
differenti anche se analoghe. “Bellezza” ti dà il senso di una salita

verso l’alto, di un respiro, di uno scatto… “Hermosura” ti offre qualcosa di morbido, di sinuoso.

“Gozèmonos, Amado,
y vàmonos a ver en tu hermosura
al monte y al collado,
do mana el agua pura;
entremos màs adentro en la espesura”

P. J. – E’ un suono arabo. Probabilmente non c’è nessuno che abbia scritto tante volte la parola “hermosura”… E poi c’è la “sabiduria”, la saggezza…

F. M. – Anche qui il suono rispetto all’italiano produce una sensazione differente. Sapienza ti dà il senso di uno scatto, di un atteggiamento ardito anche se maestoso, mentre sabiduria è un suono più insinuante…

P. J. – Anche questo suono è più arabo. E vedi come Giovanni ha trasformato tutto questo…Io ho una teoria, anche abbastanza convalidata da degli autori, a proposito di tante poesie che ha fatto San Giovanni della Croce, ed è che lui ha vissuto un ciclo liturgico dall’Avvento fino all’Assunta, componendo le poesie della liturgia della Chiesa. Arriva il tempo di Avvento, e lui ha queste sue poesie che commentano il Vangelo di Giovanni, “In principio era il Verbo”, e poi che cosa ha voluto fare Dio? Ha creato tutte le cose, tutte belle… e poi “Che cosa vuoi, figlio mio? Una sposa che ti ami…E allora ti faccio un’altra creatura…”, tutto in senso positivo, non nomina neanche una volta il peccato orginale. E poi tutto va a finire fino al Natale. Poi arriva la notte di Pasqua. Cosa farà San Giovanni nella notte di Pasqua? Nella notte di Pasqua noi sappiamo che c’è un famoso testo che è il testo del Precòn pasquale, così cantato..”Exultet”, e dice : “O notte, o notte, o notte, o vere beata nox!”. E che cosa fa San Giovanni della Croce? Nella notte di Pasqua lui si fa la notte oscura. Ma la notte oscura è proprio questo famoso cantico, di una bellezza…

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