IL CLIMA CULTURALE DI PAPA FRANCESCO


IL PROF. DI PSICOLOGIA, PADRE BERGOGLIO, Papa Francesco o Papa Francisco

Intervista a
A Francisco MELE
Da Anna Grotta
Rivista Caos-informa N 63

D. – Con il nuovo Papa lei condivide le stesse origini italiane e l’appartenenza successiva all’Argentina, a causa dell’emigrazione dei vostri genitori.

R. – Sì, io sono nato in Italia, ma quando avevo pochi anni i miei sono andati in Argentina perché la famiglia aveva delle terre laggiù. Padre Bergoglio era di genitori italiani, ma è nato già in Argentina.
Il rapporto di Papa Francesco con quel Paese riguarda prima di tutto il suo legame con i Gesuiti argentini. Il Collegio del Salvador di Buenos Aires è uno dei collegi più antichi del paese; nasce intorno alla metà dell’Ottocento, quando i Gesuiti, dopo l’espulsione dell’Ordine, hanno potuto tornare in Argentina e hanno dato vita a una scuola di eccellenza per formare la classe dirigente del Paese, consentendo anche a non abbienti meritevoli di frequentare i corsi. Verso la metà degli anni Sessanta Papa Francesco – allora padre Jorge Mario Bergoglio – vi ha tenuto la cattedra di psicologia, lasciando poi l’insegnamento per la sua nomina a Provinciale dell’Ordine, ma ritornandovi dopo un certo tempo a ricoprire il ruolo di Rettore e Responsabile Spirituale della Comunità del Collegio del Salvador.
Agli inizi degli anni Sessanta nel complesso del Collegio del Salvador nasce la Universidad del Salvador, dove io ho conseguito la laurea in psicologia. Rettore era il famoso pensatore Ismael Quiles, che è stato maestro del noviziato di padre Bergoglio e suo professore di filosofia. Fin dalla mia adolescenza avevo seguito le lezioni di questo studioso illuminato, e attraverso i suoi insegnamenti avevo scelto di frequentare l’università dei Gesuiti.
Anni dopo che Papa Francesco aveva insegnato psicologia al Collegio del Salvador, la stessa cattedra è stata assegnata a me, e l’ho poi mantenuta per dieci anni, fino a quando cioè sono venuto in Italia, mandato dal Ministero della Sanità, per seguire al Ce.I.S. – Centro italiano di Solidarietà un corso sul’uscita dalla tossicodipendenza – di cui già mi occupavo a Buenos Aires – e sono poi rimasto in questo Centro a dirigere il Settore di Terapia Familiare

D. – Può descriverci il rapporto del nuovo Papa con l’Argentina?

R. – Durante il periodo della dittatura, il Collegio e l’Università del Salvador sono rimasti una specie di “enclave” culturale importante; essi sono stati una riserva di forze culturali e un rifugio del sapere difeso dalle censure. Padre Bergoglio è stato un personaggio determinante, insieme al padre Quiles e ad altri insegnanti eroici, alcuni dei quali furono torturati e uccisi per aver voluto tener fede alle loro idee. Io mi sono formato secondo questa linea di pensiero e di azione: dare ai giovani l’esempio con il coraggio delle proprie idee, senza dimenticare il contributo verso i più poveri. Anche noi, dietro l’insegnamento del padre Bergoglio e di altri professori, visitavamo e soccorrevamo le persone disagiate nelle periferie di Buenos Aires. Questo modo di intendere il proprio contributo nella società è stato l’apporto determinante che padre Bergoglio, divenuto vescovo di Buenos Aires ha dato allora in Argentina e che come Papa sta comunicando al mondo intero.

D.- Mi parli di padre Quiles, che è stato importante nella formazione del padre Bergoglio.

R. – Padre Quiles era uno degli esperti più importanti di lingua spagnola in filosofia orientale; aveva studiato il buddismo zen in Giappone, ha vissuto in India; a Buenos Aires ha fondato la prima facoltà di scienze orientali dove era previsto l’insegnamento dello yoga, proponendo una sorta di yoga cristiano: trovava dei punti in comune, con le dovute distanze, tra il mondo del cristianesimo e il mondo buddista, in quanto nel buddismo l’io scompare in quanto la persona è considerata un’illusione: l’io fa parte di un tutto ma non c’è un’individualità del soggetto in quanto unità irripetibile e unica. Quiles invece, partendo dal personalismo di Emanuel Mounier, proponeva il concetto di “centro ontico”, cioè il centro spirituale della persona, che riguarda cioè l’essenza del Sé. In contrapposizione, senza negare l’importanza dell’esistenzialismo, Quiles elaborò il concetto di “in-sé-esistenzialismo”: significa che la persona ha un centro in se stessa che parte dal fondamento in Dio, la persona è se stessa, non un mero riflesso dell’altro o degli altri.
Dio, io, l’altro costituiscono una triade indissolubile. Il pensiero triadico – o la triade – lo ritroviamo – secondo una mia interpretazione – nel primo saluto del Papa Francesco rivolto alla folla riunita in piazza San Pietro: “Pregate per me”, come dire: “Vi chiedo che voi preghiate Dio, Dio mi dà l’autorità per poter mostrare a voi la via che vi porterà a Cristo”. In questo modo, la folla diventa popolo, fa parte di un’unità intrinseca con il suo Pastore e con Dio visto come Persona. Nel passato, nell’immagine che si aveva del potere politico, Dio concedeva direttamente al monarca il suo potere; in questa visione il popolo era solo uno spettatore e doveva subire le decisioni incontrastate del re. Alcuni fra i filosofi cristiani mettono in discussione questa visione del potere, specie fra gli autori che anticipano il pensiero illuminista. Mi riferisco soprattutto a un grande gesuita, il padre Suarez che nel Seicento aveva scritto contro il potere assoluto dei monarchi, e per questo motivo i Gesuiti erano stati espulsi. I gesuiti non si presentano quindi come dei conquistatori; essi non intendono conquistare con la forza un territorio e imporre la propria religione: “Il cristiano deve dare testimonianza della propria fede, sarà la sua opera a attirare l’altro alla fede”. Questo rispetto per le altre culture il Papa lo mette in pratica quando incontra i capi religiosi non cattolici e i non credenti: Egli dimostra di essere capace di mettersi al posto dell’altro, rispettandone le convinzioni.

D. – Qual è stata l’impronta culturale che il Papa ha lasciato al popolo argentino?
R. – La scelta spirituale di Papa Francesco fin da quando era padre Bergoglio è l’umiltà francescana, non come segno di inferiorità ma come atteggiamento di una persona capace di accogliere sia il grande sia il piccolo. Il saggio è sempre alla ricerca di imparare anche dagli altri e si fa umile rispetto agli altri. In questa linea va inteso il gesto di lavare i piedi, ad esempio: non si tratta soltanto di lavare i piedi, c’è anche un gesto d’amore che porta a baciare quei piedi, ed è quindi uno stare vicino alle persone, con affetto e attenzione. Questo genere di comportamenti ci porta all’immagine di Dio come Persona, che si incarna come persona umana nell’altro.
Una riflessione da fare a proposito di umiltà riguarda alcuni ordini religiosi, come i francescani e i benedettini circa la gestione del potere. Questi avevano elaborato una struttura di potere democratico, in quanto un membro della comunità poteva essere il Superiore per un periodo di tempo e alla scadenza tornava semplice Monaco, potendo finire a fare anche un lavoro umile. Questi frati riconoscevano in tal modo che il potere non lo acquisivano per sempre e dovevano esercitarlo come servizio. È aspetto della spiritualità francescana ma soprattutto, prima, dei benedettini. Altro elemento importante è la collegialità propria degli ordini religiosi, dove intorno al superiore ci sono dei consiglieri: così ha già fatto il Papa nominando otto cardinali come suoi consiglieri. Il Papa Francesco non intende gestire la sua autorità in modo verticale, ma renderla condivisa, riprendendo in questo senso anche le indicazioni del Concilio Vaticano II.

D. – Come convivono nel Papa le due anime gesuitica e francescana?

R. – Credo che Bergoglio sia riuscito a far convivere in realtà tre anime: la gesuitica, la francescana e la domenicana.
La prima richiama il sapere che riguarda la filosofia, la teologia e la scienza, e padre Bergoglio ha in sé questi saperi.
La seconda porta questi saperi all’umiltà della condivisione della condizione umana, riportando il più alto al più povero.
La terza, nel riferimento all’immagine, richiama la veste domenicana, in una semplificazione del corpo simbolico del Pontefice, liberato dagli ori e dagli elementi della tradizione per un più diretto avvicinamento alla comunità.

D. – Che cosa possiamo aspettarci dal nuovo Papa?

R. – Molti dei miei amici che lo hanno frequentato hanno avuto forti apprezzamenti per la nomina del padre Bergoglio a Papa; i loro commenti sono stati fortemente positivi. E molti che non seguivano più la Chiesa vi sono tornati nella speranza di una nuova conduzione. Per tutti loro il Papa Francesco non ha bisogno di “avere” per “essere”, lui distingue fra quello che si deve avere per poter essere, spogliarsi cioè del superfluo, come ha fatto nel suo operato a Buenos Aires e come ha fatto fin dalle prime scelte di tipo personale, in cui ha voluto rinunciare agli agi del ruolo per mantenere il modo di vivere semplice ed essenziale che caratterizza la sua cifra esistenziale.
Tale atteggiamento di semplicità e di essenzialità ha influito sull’intera chiesa, sul comportamento dei preti, e perfino la politica italiana, già in questa direzione a causa della precaria situazione economica del Paese, ha seguito tale forma austera di comportamento.

D. – Il numero attuale di “Caosinforma” è dedicato alla spiritualità. In che modo la spiritualità è presente nella vita e nel pensiero di Francisco Mele?

R. – Nei miei scritti vengono toccati vari aspetti della spiritualità, la psicologia sicuramente, ma anche l’aspetto sociologico, filosofico e teologico. Questo bagaglio culturale che ricavo dalle mie letture sono il risultato di scelte personali e di modalità di comportamento privato. Ho sempre cercato di considerare i vari aspetti della realtà domandandomi “Quando io sono davvero io?”, “Come posso sentire di dialogare con Dio?”. I modelli sono Pascal, Teilhard de Chardin… In essi convivono lo scienziato, il filosofo e il teologo. Come psicoanalista, ai miei pazienti non posso dire che devono pregare o diventare cristiani, ma cerco di proporre delle letture profonde che possano aiutarli a migliorare la loro vita; gli studenti li incoraggio con la scelta di libri che ne mettano a fuoco la dimensione spirituale, e con loro cerco anche di farli ragionare circa il comportamento che terrebbero in determinate situazioni, in cui è importante la scelta morale e questo emerge con evidenza quando si tratta di trattare temi come l’ingiustizia sociale. Il mio modo di rapportarmi alla realtà tiene conto non solo degli studi con i quali ho formato la base della mia personalità nell’ambito del lavoro – che è una parte essenziale della mia esistenza – , ma si rivolge alla letteratura, alla musica, soprattutto al teatro, forma fondamentale della vita intesa in chiave metaforica, spazio di coscienza critica della società. Posso dire di aver trovato nella dimensione del teatro la rappresentazione più alta dell’umanità.

D. –Nei suoi studi sulla famiglia emerge se conti la dimensione spirituale nei rapporti familiari?

R. – La spiritualità può e non può attraversare i contesti familiari. Oggi assistiamo a un ribaltamento del rapporto genitori-figli. Nella società attuale, che ho definito “società post-nevrotica”, i figli comandano sui genitori imponendogli di sottomettersi alla loro volontà spesso viziata da mode illusorie.

D. – Qual è il rischio maggiore che devono affrontare oggi gli educatori che si occupano di giovani?

R. – Il rischio maggiore è quello del “burn out”, cioè del crollo dell’educatore sotto il peso sempre più complesso e stressante del suo lavoro, di fronte a delle generazioni di giovani che presentano patologie sempre più difficili e cariche di violenza. Credo che essi debbano avere in sé una dimensione spirituale solidamente acquisita, ma che, anche avendo tale carica per affrontare un lavoro che richiede una sorta di vocazione, essi debbano ricevere una supervisione rigorosa del loro lavoro, e questa è una risorsa fondamentale e irrinunciabile per gli educatori.
La funzione dell’educatore richiama la linea del Maestro di Bergoglio – il padre Quiles – che sosteneva una pedagogia personalizzante. Questa pedagogia presuppone che un educatore sia capace di considerare e proteggere la propria persona. Non si può diventare ostaggio dell’educando né assoggettare al progetto educativo coloro che educano rendendoli succubi. Ho definito “psicoetica” la disciplina che analizza l’atto di prendersi cura dell’altro. Occorre stabilire rapporti a livello orizzontale – nessuno come uomo è superiore a un altro – e rapporti a livello verticale – rispettare la gerarchia strutturante. Quando si cancella la gerarchia si entra nell’anarchia, che lascia spazio alla guerra di tutti contro tutti. Ma la gerarchia è servizio se ogni uomo si sente fratello di tutti.

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