SUICIDI DALL’ALTO
La salvezza dal balcone

di Francisco Mele

25-04-12

Oppresso dai debiti si lancia dall’ottavo piano – Tragedia nel quartiere del Vomero a Napoli. Un agente immobiliare padre di due figli – di 9 e 14 anni – si è suicidato perché angosciato dai problemi economici. Il giorno prima aveva già tentato il suicidio ma era stato salvato da poliziotti allertati dalla moglie. “Non ce la faccio più” aveva detto agli uomini che lo avevano fermato mentre tentava di lanciarsi da un ponte: era stato trovato su di un costone della collina di Posillipo, proteso verso il vuoto, con gli occhi chiusi.

Il caso deve essere letto secondo la teoria polemologica, ovvero della guerra quotidiana che ogni individuo affronta in un contesto di incertezza come l’attuale.
Siamo lontani da quella moda del “balconing” che poco tempo fa aveva invaso l’estate vacanziera dei giovani bene, i quali si lanciavano dai balconi e dalle terrazze delle loro camere d’albergo nella piscina sottostante: un motivo di tipo esibizionistico, narcisistico, di rischio estremo che andava alla pari con altre forme di sfida alla morte, come il salto da un balcone ad un altro di un edificio contiguo; il soffocamento attraverso un sacchetto di plastica, uno strangolamento calcolato, di tipo erotico; un imprigionamento di una coppia legata da corde tipo “bondage”; l’equilibrismo ad altezze vertiginose sopra impalcature o dirupi, tutte sfide alla morte che hanno superato l’ormai abusato rischio del lancio con elastici ecc.
Queste forme di sfida sembrano motivate più dalla noia del vivere senza scopi che da una qualche disperazione esistenziale, rappresentata da problemi di sopravvivenza economica, perdita del lavoro o mancanza di esso, questioni di salute, senso di responsabilità nei confronti di altri che dipendano dal soggetto ecc.

Il caso dell’agente immobiliare appartiene ad un genere diverso, in quanto il suo atto tende ad un risultato definito e sicuro, che in un contesto di incertezze è rappresentato dalla morte, mentre l’incertezza è rappresentata dalla possibilità di sopravvivenza: in questa situazione si tratta di un individuo che ha valutato l’impossibilità di continuare a rendere redditizio il proprio lavoro di agente immobiliare; in scelte analoghe, si può trattare di un imprenditore che non può più mantenere in fabbrica i suoi dipendenti per mancanza di richieste della sua produzione e si sente responsabile nei loro confronti; o di un datore di lavoro che, pur trovandosi con dei crediti nei confronti dello Stato – o Provincia o Comune -, non riesce a riscuoterli per mancanza di solvibilità dell’Ente Pubblico; oppure si può trattare di un individuo rimasto senza posto di lavoro o di un disoccupato che non trova un’occupazione che gli consenta di mantenere la famiglia ecc.

Perché, per uccidersi, la scelta del balcone di casa? Vari i motivi: ad esempio, perché la casa prende fuoco o si trova comunque in pericolo; perché il soggetto viene inseguito da ladri o persone che lo minacciano; come ultima azione di un soldato che si butta sui nemici usando il suo corpo come uno strumento di distruzione contro di loro: in quest’ultimo caso non si tratta soltanto di un’azione compiuta da un soggetto inerme, ma di un’azione di contrattacco verso un nemico individuato in una forza collettiva, una sorta di struttura senza volto, non identificabili a livello paritario. Il soggetto si trova di fronte a sé non un soldato a contrastarlo, ma l’intera struttura bellica nemica a cui, nella sua inadeguatezza individuale, si oppone attraverso un ultimo gesto dimostrativo.
In questo gesto coesistono due elementi: il meccanismo di attacco e il meccanismo di difesa: di attacco, perché si vuole colpire con un atto ideale il presunto nemico, che ne rimarrà confuso, disorientato e dubbioso; di difesa, per preservare dalla distruzione la famiglia e i propri valori di dignità nonché i propri beni attraverso il sacrificio di sé: il proprio corpo a difesa, come scudo.

L’agente immobiliare si lancia dal balcone dopo aver ricevuto una sollecitazione di pagamento da Equitalia, che percepisce come il nemico che incombe su di lui.
Equitalia non è altro che un Ente portatore di avvisi che sollecitano pagamenti in una società in crisi economica; non è essa la causa responsabile del disagio dell’agente immobiliare, ma nella configurazione dei rapporti diventa il capro espiatorio di un disagio generale e di una guerra di tutti contro tutti, dove davvero non si sa chi siano i responsabili della finanza che provocano le crisi della borsa, la necessità del restringimento delle pensioni, l’abbassamento dei salari, il rischio del posto di lavoro ecc.
Nel suo ultimo gesto “eroico”, il soldato si getta a corpo morto contro i soldati nemici che lo fronteggiano numerosi: non è nessuno di loro in particolare ad essere il vero nemico, ma tutti quanti lo diventano come l’esercito mandato dalle Autorità che governano la guerra attraverso disegni occulti.
L’agente immobiliare si getta contro la struttura economica che impedisce il suo proseguimento vitale, il cui nome astratto è Equitalia, personalizzata dalla firma di un dipendente della struttura che non ha deciso nulla in merito alla comunicazione al soggetto, ma ha soltanto obbedito ad un meccanismo a catena il cui ultimo anello è quella comunicazione scritta.
L’idea che Equitalia sia il nemico a cui opporsi in forme anche violente non è rara: in tanti hanno mandato avvertimenti minacciosi alle sedi della struttura, e addirittura proiettili dentro a buste recapitate.

E’ una notizia che può far riflettere sulla possibilità di deviare dall’inevitabilità dei comportamenti il caso di quell’esattore di Equitalia, avvocato, il quale scopre che un suo vecchio amico si è suicidato per non essere stato in grado di pagare il debito che Equitalia gli ha contestato. L’avvocato allora si dimette dall’incarico e offre alla famiglia dell’amico suicida quanto guadagnato con le parcelle delle sue prestazioni per ottenere dai debitori le cifre dovute. E’ evidente che il gesto dell’avvocato è conseguente ad una riflessione da lui elaborata circa le procedure messe in atto dall’ente. L’avvocato si è immedesimato nell’altro, superando le rigide forme giuridiche, per le quali c’era soltanto un debitore ed un esecutore di crediti.

Si potrebbe indagare sulle conseguenze dell’azione suicidaria dell’agente immobiliare: se cioè l’uomo abbia risolto con quel gesto i problemi nei quali era coinvolta la sua famiglia – e questo potrebbe essere avvenuto se il responsabile del debito era lui individualmente e quindi la famiglia ne risulta liberata -, o se il debito permane e deve essere saldato dai familiari. A seconda di questa valutazione il suo gesto può assumere la valenza dell’atto generoso ed eroico o quello dell’azione codarda realizzata per sfuggire ad una situazione gravosa di cui forse era responsabile, e che lascia da risolvere ai suoi.

Il gesto dell’uomo non è stato conseguente ad un colpo di testa, vissuto come decisione improvvisa ed emozionale, poiché già giorni prima egli era stato visto meditare il suicidio.
Ma in questi tempi di crisi i suicidi sono quasi sempre meditati, frutto di un ragionamento determinato da un travaglio interiore, dove l’azione prospettata si delinea come l’unica in grado di far superare un’impossibilità esistenziale.

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