PSICOTERAPIA DELLA FAMIGLIA
in un contesto
di società post-nevrotica

Francisco Mele

Saggio tratto da “In – dipendenza un percorso verso l’ autonomia” 
Volume II
FrancoAngeli, Roma Anno: 2006

Nei primi anni del Novecento Freud elabora il concetto di complesso di Edipo, mettendo in risalto il conflitto padre-figlio e l’attaccamento/differenziazione con la madre. Il padre viene vissuto da parte del figlio come il rivale che occupa un potere che lui, figlio, vorrebbe avere; questo conflitto, se non viene superato, rappresenta la genesi di tante nevrosi e addirittura di alcune forme di psicosi. Nella società post-nevrotica1, dopo la caduta della parola del padre2, in un contesto di incertezza il padre scompare come rivale-potere per diventare il fratello-amico-rivale, e quindi non è più colui che impedisce al figlio di godersi i beni appartenenti a lui padre-padrone, ma è lui stesso che incita al godimento mostrando il suo attaccamento alle cose accessibili al figlio, e che al figlio e non a lui, sono adatte.
Il concetto di complesso di Edipo risponde alla struttura familiare borghese che si era affermata tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.

Nella società che ho definito post-nevrotica, il conflitto edipico viene rovesciato, non è più il figlio a vivere il conflitto con il padre, bensì è il padre che vive il figlio come rivale; inoltre, secondo René Girard3, il conflitto di rivalità-mimetica che si innesca fra padre e figlio è simile a quello che accade fuori dal sistema familiare.

Nella società post-nevrotica 4 ,

a)i ragazzi rimangono fino a tarda età in casa dei genitori, non solo per questioni economiche;

b)i figli non entrano in pieno nel sistema produttivo; vivono in costante precarietà dal punto di vista del lavoro e/o degli affetti; questo stato di precarietà e insicurezza non li aiuta a sviluppare la stima di sé né a difendere i propri diritti e meno che mai i diritti degli altri e si traduce in una indifferenza sociale nei riguardi delle persone svantaggiate;

c)l’incertezza e lo stato di precarietà creano continui rimandi rispetto alle decisioni fondamentali per costruire un percorso di vita autonomo;

d)un bambino nasce in una famiglia e cresce in una seconda o in una terza famiglia; in queste situazioni di famiglie multiple ricomposte, risulta difficile che egli possa capire a chi debba essere leale, se al padre biologico o al nuovo compagno di sua madre o alla terza compagna del padre e così via. Risulta anche difficile che questo bambino sappia quali siano i suoi nonni, fratelli o fratellastri. E il terapeuta deve riflettere e valutare circa i componenti della famiglia da convocare;

e)un terapeuta deve essere attento ad ascoltare le sofferenze, il vissuto di un figlio che viene trascurato da suo padre il quale si occupa con più interesse dei figli della sua compagna piuttosto che dei suoi figli;

f)si incrementa l’egoismo dei genitori, che dai figli viene vissuto come “mio padre preferisce la seconda moglie che noi suoi figli”;

g)si delinea, quasi contro natura, la rapacità dei genitori dei figli malati di aids la cui pensione di invalidità essi usano per giocare o per divertirsi; molti altri esempi di avidità ed egoismo si verificano in sempre maggior numero da parte di genitori nei confronti dei figli;

h)in un contesto di precarietà, anche gli affetti sono precari e quindi l’unica cosa sicura rimane il rapporto figlio-madre o figlio-padre;

i) si verificano le patologie della dipendenza e la grande paura del futuro da parte dei ragazzi; la sensazione di rimanere sempre in bilico fra adolescenza e maturità, condivisione e abbandono, ragione e follia, ha portato ad accrescere i casi di organizzazione di personalità al limite o personalità borderline;

j) nelle stesse persone convivono atteggiamenti contradditori, la scissione fra mondo privato e sfera pubblica, atteggiamenti che non provocano conflitti morali; situazione che si possono definire come la “doppia vita” di ognuno;
k)è aumentato il livello di violenza all’interno della famiglia, si verifica un incremento dei “delitti in famiglia”; la tossicodipendenza, l’anoressia, la violenza verbale o fisica, costituiscono forme diverse di azioni auto e/o eteroaggressive.
Nel contesto della società post-nevrotica ci si può interrogare se sia ancora valida la terapia familiare, in quanto risulta sempre più difficile mettere assieme genitori e figli, e tantomeno riunire le tre generazioni, nonni, genitori, figli: viene meno allora lo schema trigenerazionale usato da certe correnti di terapia familiare. Questa difficoltà nel mettere insieme un intero nucleo familiare ha dato origine alla terapia individuale sistemico-relazionale.
Il concetto fondamentale riguarda la triade individuo-famiglia-società, perché anche se si è modificata la struttura familiare, comunque è valido lavorare con la famiglia nelle diverse conformazioni che essa è andata assumendo, soprattutto quando si deve affrontare la terapia delle dipendenze patologiche in tutte le loro variazioni.

La teoria che ha consentito di raggiungere un maggior successo e anche di comprendere il fenomeno studiato è quella sistemico-relazionale. Considerare la famiglia come un sistema ha significato spostare l’attenzione dall’individuo singolo al sistema familiare o sociale; in questa concezione il sintomo acquista un diverso significato, non è più un problema individuale, bensì il risultato di un conflitto intersoggettivo.
Nei casi di dipendenze patologiche, se non si lavora con il sistema familiare la terapia individuale o in comunità terapeutica rischia di essere vanificata quando il soggetto torna ad interagire con la propria famiglia.

A. La cornice teorica della terapia familiare

Il filosofo e sociologo Jurgen Habermas distingue tre tipi di scienze:
- le discipline empirico-analitiche, caratterizzate dall’interesse per l’efficacia e orientate all’agire strumentale (manipolazione dell’oggetto di studio); 
- le scienze storico-ermeneutiche, interessate alla comprensione del senso e rivolte all’intesa comunicativa; 
- le scienze critiche, orientate all’emancipazione del soggetto.

La psicologia, a quale scienza appartiene?
La teoria sistemico-relazionale ha cercato di integrare le due prime prospettive; la teoria sistemica deve molto allo sviluppo della biologia, nonché alle scoperte nel campo della fisica. Jean Piaget è stato uno dei precursori della ricerca finalizzata a conciliare i due tipi di scienze. Edgar Morin si propone in tutta la sua opera di evidenziare la totalità del sociale che è presente nelle scienze empirico-analitiche e quanto di queste è presente nelle scienze umane.

Nello stesso periodo in cui stavano sviluppandosi questi studi, la Scuola di Francoforte, a partire dai suoi iniziatori Marcuse, Fromm, Adorno, fino ad Habermas e a Honneth, ha cercato di costruire una scienza sociale critica, integrando le discipline storico-ermeneutiche come la psicanalisi, alla sociologia critica; quest’ultima tende a mettere in evidenza i fattori costrittivi a livello sociale e a livello individuale che impediscono che la persona si emancipi dai condizionamenti materiali e simbolici.

La grande rivoluzione scientifica del Novecento è costituita dalla svolta linguistica, che ha attraversato tutti i campi del sapere. Lo studio del linguaggio ha permesso di integrare sfere apparentemente svincolate fra loro. Ad esempio, la teoria della comunicazione applicata nel campo della biologia ha consentito di spiegare e di comprendere come avviene a livello genetico la trasmissione dell’informazione fra i cromosomi o fra le cellule. Lo studio dei confini, come quello della membrana che permette di separare interno ed esterno, ha poi offerto una nuova comprensione della teoria dei sistemi: chiusura e apertura dei sistemi non sono più concetti contrapposti, bensì complementari. Piaget ha cercato di superare il metodo analitico all’interno delle scienze, proponendo il metodo dialettico che ha modificato il rapporto tra analisi e sistema. Lo psicologo utilizza il concetto della dialettica all’interno della struttura: la dialettica non è un vago ampliamento della razionalità analitica, ma il metodo che rifugge dagli assoluti e procede per negazioni, opposizioni e sintesi. Tale metodo offre una visione costruzionista e non frammentaria della conoscenza.

La costruzione non è opera di un individuo o di un gruppo, ma piuttosto “un risultato di intime interazioni in cui convergono anche fattori sociali e storici”: 
“Il soggetto non è semplicemente il teatro sulla scena del quale si recitano opere indipendenti da lui e regolate in anticipo dalle leggi di un’equilibrazione fisica automatica – sostiene Piaget -; egli è l’attore e spesso anche l’autore di queste strutturazioni, che assesta a mano a mano che esse si svolgono, grazie ad una equilibrazione attiva fatta di compensazioni opposte alle perturbazioni esterne: grazie quindi a una continua autoregolazione”. 5

La svolta linguistica a partire dalle ricerche di Karl Wilhelm von Humboldt agli inizi dell’Ottocento, proseguita dall’epistemologo Charles Sanders Pierce (che ha anticipato la semiologia e addirittura la scienza computazionale) nell’ultima fase dell’Ottocento, si è compiuta agli inizi del Novecento quando Ferdinand de Saussure, prende come oggetto di studio il linguaggio stesso, estendendo la sua influenza poi nei diversi campi della filosofia analitica – conosciuta come la filosofia anglosassone, il cui massimo esponente è stato Wittgenstein con i suoi famosi giochi linguistici,6 e gli atti linguistici elaborati da John Austin e soprattutto da John Searle e della filosofia continentale, che si è sviluppata negli studi sul linguaggio a partire da Martin Heidegger, Hans G. Gadamer, Paul Ricoeur, conosciuta come l’ermeneutica o scienza dell’interpretazione.

Nel campo dell’ermeneutica sono da considerare gli studi della meta-ermeneutica di Habermas e il decostruttivismo di Jacques Derrida. Il linguaggio – considerato come un medium – permette di connettere il mondo interiore del soggetto con il sistema familiare e quello sociale. Jacques Lacan, partendo da Freud, sostiene che l’inconscio è organizzato come un linguaggio, nel senso che obbedisce a regole analoghe, essendo presenti in esso la metafora7 e la metonimia. 
La linguistica ha dato il via allo sviluppo della teoria della comunicazione, tanto importante nella terapia familiare sistemico-relazionale; da essa deriva anche il concetto di struttura e quello di sistema. Lo strutturalismo francese rappresenta una fase dello sviluppo di una prospettiva sistemica più vasta, che interessa la riflessione della scienza su se stessa. Secondo Piaget l’alleanza tra le scienze della natura e le scienze dello spirito dovrebbe confluire nella teoria della complessità.

I concetti della teoria sistemica saranno esposti nel prossimo paragrafo, per poi articolarsi nel campo della terapia familiare. In tale campo Luigi Cancrini ha elaborato l’applicazione dei concetti di Grammatica e Sintassi dando luogo a uno schema molto utile per la psicoterapia.8

B. Il cambio del paradigma:

la teoria sistemica
I primi lavori riguardanti l’applicazione della teoria sistemica nel campo delle relazioni umane furono sviluppati da Gregory Bateson, Jay Haley, J. Weakland e Don Jackson nel decennio 1952-62. Il progetto era finalizzato allo studio della comunicazione e in particolare verteva sul paradosso. Di qui nasce la teoria del doppio legame, esposta per la prima volta nel’56 dallo stesso Bateson. All’inizio questi studi si sono concentrati sulla schizofrenia, con particolare attenzione ai modelli comunicazionali all’interno della famiglia con un membro schizofrenico. Tale studio ha portato a un salto significativo nella comprensione della malattia psichica e delle dinamiche familiari, con l’apporto di un nuovo paradigma nel campo delle scienze umane. Questa “rivoluzione epistemologica”, che ha avuto la sua officina di elaborazione all’interno della Scuola di Palo Alto, scaturisce dall’applicazione alle scienze del comportamento di concetti sistemici nell’ambito delle scienze chimico-fisico-matematiche.
Attraverso tale applicazione si giunge all’adozione di un nuovo punto di vista basato sulla cibernetica, sulla teoria dei sistemi connessi al secondo principio della termodinamica. Questo ricorrere a concetti appartenenti al campo della fisica per spiegare alcuni fenomeni era già stato tentato da Freud, che per spiegare alcuni dei suoi schemi era ricorso alla fisica dell’Ottocento. Nella prospettiva freudiana l’individuo appare come un sistema chiuso; nell’idea della fisica da lui adottata predomina il primo principio della termodinamica, che si esprime nella legge della conservazione dell’energia. Il modello freudiano, secondo gli studiosi della scuola di Palo Alto, considera l’energia psichica come indistruttibile e di quantità limitata. Se l’energia psichica rimane legata a un conflitto intrapsichico, l’individuo rimane impoverito nei suoi rapporti sociali. L’apporto più significativo della scuola di Palo Alto è il passaggio dal paradigma che considera l’individuo non più come un sistema chiuso bensì come un sistema aperto, capace di autoregolarsi, e in relazione a un sistema più ampio – la famiglia – della quale diventa un sottosistema; la famiglia a sua volta interagisce con altri sistemi e con sistemi più ampi che costituiscono il contesto o l’ambiente all’interno del quale i sistemi interagiscono. Secondo Bateson, se la psicoanalisi dilata la mente verso l’interno, la teoria sistemica la proietta verso l’esterno.
Il concetto di energia sostituisce quello dell’informazione; l’attenzione viene spostata, quindi, dall’individuo alle interrelazioni che si sviluppano nei sistemi in cui l’individuo è inserito piuttosto che concentrarsi nel suo mondo interiore delle fantasie, pulsioni, conflitti fra le diverse istanze psichiche. In questa linea di pensiero l’angolo di osservazione tiene conto del contesto nel quale il comportamento del singolo diventa una funzione dell’ambiente. Ma il rischio di tale linea di pensiero nè quello di non tener conto del mondo interiore del paziente.

La teoria generale dei sistemi ha l’obiettivo di superare lo schema logico tradizionale analisi-sintesi e di integrare i metodi delle scienze naturali e sociali. 
Nell’ambito dei suoi studi sulle teorie pluridisciplinari Valentina De Angelis “Il sistema è il prodotto di una relazione osservatore-oggetto o anche, in chiave operazionale, il risultato di un’operazione che l’osservatore compie su una complessità disorganizzata o, infine, in termini costruttivistici, una ‘costruzione’ dell’osservatore”.9
Un concetto fondamentale nella teoria sistemica è il concetto di retroazione o feedback. La retroazione può essere negativa quando tende alla omeostasi, quindi all’annullamento di ogni spinta al cambiamento; è positiva quando innesca il processo di trasformazione.
Trasformazione e omeostasi sono alla base dei processi di apprendimento e di adattamento.

Il gruppo di Bateson ha assimilato il comportamento umano al concetto di comunicazione; ogni azione porta con sé una comunicazione, affermazione che si può sintetizzare nell’impossibilità di poter non comunicare; anche quando qualcuno decide di non voler comunicare sta comunicando che non vuole comunicare.
La caratteristica del linguaggio umano è la sua capacità di comunicare sulle cose, mentre gli animali comunicano sulla relazione (rapporti di dipendenza, di ostilità, di affettività). Anche negli uomini la comunicazione non verbale riguarda rapporti di relazione. Nella società umana si verificano distorsioni nel sistema di comunicazione; fra il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale può crearsi una contraddizione che porta a confondere i piani di interpretazione, dando origine a vere patologie o disturbi conflittuali.

Secondo Martin Buber il conflitto umano avviene perché le persone non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono; è vero anche che non si può dire tutto quello che si pensa, ma tale limitazione riguarda la sfera morale e delle convenienze. La saggezza consiste nel dire ciò che si deve dire al momento giusto e nel saper tacere quando ciò si rende necessario.
Il pensiero appartiene al sistema totale uomo-ambiente. All’interno dell’individuo e della società operano strutture bipolari che possono essere di tipo complementare o simmetrico.
Di tipo complementare sono i rapporti di autorità/ sottomissione, assistenza/ dipendenza; nelle strutture simmetriche gli individui reagiscono al comportamento degli altri facendo qualcosa di simile, come nelle situazione competitive.
Una componente del contesto è rappresentata dalla situazione relazionale, in quanto la qualità della relazione interpersonale e le regole che governano la relazione stessa influenzano ogni comportamento che possa rivestire di significato la comunicazione non verbale. Bateson ha osservato che il significato di un determinato segnale varia con il variare dello stato della relazione tra i comunicanti. I messaggi che vengono scambiati dai comunicanti sono in grado di influire sulle regole della relazione.

Ogni relazione interpersonale ha una storia, nel corso della quale si sono evolute le regole che governano la relazione stessa. Il luogo nel quale si trova un individuo può influenzare il suo comportamento anche perché tale luogo può essere legato a particolari aspetti della storia personale o familiare dell’individuo.
Ogni contesto possiede elementi di unicità, ogni situazione ha una sua particolare cornice. Il contesto non è statico, ma ha un carattere dinamico in quanto può essere modificato dalla comunicazione.

Nella teoria sistemica il livello più complesso spiega il livello più semplice: per comprendere il significato di un comportamento, è necessario guardare al contesto più ampio nel quale esso si manifesta e prendere in considerazione il sistema di cui fa parte l’individuo che tiene tale comportamento.

Secondo il filosofo Emanuel Lévinas il volto dell’altro non può essere contestualizzato, trascende cioè i contesti in cui appare.
“Il volto è autosignificante perché non è un segno che rinvia ad altro, ma una presenza viva che si autopresenta e autoimpone ‘di per sé’ (Kath’ autò), cioè indipendentemente da ogni soggettiva attribuzione di senso (Sinngebung) e da ogni contesto ambientale o sociologico. (…) E’ per se stesso e non in riferimento ad un sistema”10

C. Le caratteristiche fondamentali dei sistemi

La teoria generale dei sistemi è definita come una scienza generale della totalità

11.
Le caratteristiche fondamentali dei sistemi sono:

a) l’ordine gerarchico (presente sia nella struttura, come ordine delle parti, sia nella funzione, come ordine di processi);
b) la differenziazione progressiva degli elementi;
c) l’interazione dinamica;
d) il criterio di isomorfismo o similarità strutturale; esso può essere applicato a vari fenomeni secondo regole formali.

Il sistema autopoietico
L’organizzazione autopoietica è la specifica proprietà con cui un sistema autonomo non lineare rende inseparabili l’essere e l’agire, perché esso si riproduce continuamente e costruisce se stesso. Nel sistema autopoietico l’organizzazione resta invariante e ha bisogno di un ordine ciclico, mentre la struttura permette continue variazioni. Il principio di circolarità riguarda il rapporto del sistema con l’ambiente. 
Le caratteristiche invarianti di un sistema complesso dipendono dalla circolarità e dalla chiusura operativa, anche se il continuo cambiamento strutturale apre ogni sistema vivente alle trasformazioni e alle relazioni attive con l’esterno. 
La chiusura garantisce la capacità di un sistema di integrare il cambiamento e di conservare la propria autonomia, di trasformarsi senza distruggersi. Il sistema autopoietico riconosce all’osservatore un ruolo costitutivo. Lo stesso osservatore è un sistema vivente ed è soggetto a vincoli; gli errori che compie nelle sue analisi sono semplici cambiamenti di sfere cognitive, di cui può accorgersi solo a posteriori. 
Il fenomeno della comunicazione non dipende solo da quello che si trasmette, ma da ciò che accade nell’individuo che riceve. La comunicazione in senso biologico non è “trasmissione di informazione”, ma reciprocità di comportamenti significativi. 
Nell’ambito del sistema autopoietico risulta superfluo quasi accennare all’ambiente come capace di incidere all’interno di un sistema: il sistema autopoietico seleziona le caratteristiche ambientali adeguate alla propria organizzazione e utili a conservare la propria identità. 
De Angelis scrive: “Un sistema complesso come l’organismo non registra in modo automatico informazioni fornite dall’ambiente, anche perché una continua integrazione tra aspetti biologici e culturali regola le principali fasi di sviluppo: e cita F. Jacob12: ‘le informazioni sul mondo esterno raggiungono le regioni profonde del cervello non come dati bruti della percezione, ma sotto la forma di astrazioni già altamente elaborate, cioè di strutture (…). Il cervello non ha e non può avere accesso alla totalità dei dati del mondo esterno. Non può riflettere la realtà né ricostruirla. Per esso la realtà può essere solo il prodotto di processi inconsci che trasformano i dati primari raccolti dai sensi attraverso distruzioni selettive delle informazioni’”13. 
Esiste una compatibilità dinamica tra l’ambiente e il sistema che esclude ogni criterio oggettivo di adattamento, anche perché molte modificazioni derivano da cambiamenti interni piuttosto che da pressioni esterne. Secondo Humberto Maturana, uno degli autori fondamentali della teoria autopoietica insieme a Francisco Varela, nei sistemi viventi non c’è un interno né un esterno. Anche se ogni sviluppo implica un cambiamento, non tutti i cambiamenti rappresentano uno sviluppo, poiché esistono trasformazioni prive di sistematicità, disorganizzate e senza progressione. L’elaborazione, la differenziazione e l’apprendimento sono processi di crescita biologica che alterano gli stati iniziali di un sistema, aumentandone dimensioni e complessità. 
Molte volte nell’evoluzione mentale degli individui si altera l’equilibrio esistente: in tal modo gli individui diventano produttori del proprio sviluppo. La selezione individua azioni preferenziali, l’apprendimento sceglie da un insieme di tentativi provvisori. I processi cognitivi possono mantenere l’organizzazione esistente, conservarla o ripristinarla, ma possono eliminare la disorganizzazione creando organizzazioni nuove.

Il sistema autoreferenziale secondo la sociologia
Scrive Niklas Luhmann: “La teoria dei sistemi autoreferenziali supera, sopprimendola, la differenza tra sistemi chiusi e aperti”.14
Luhmann stima che la teoria autopoietica sia insufficiente in quanto non può spiegare il rapporto fra il cervello e le macchine, fra i sistemi psichici e i sistemi sociali. I sistemi viventi sono sistemi di tipo particolare.
La teoria dei sistemi autoreferenziali afferma che uno sviluppo dei sistemi mediante differenziazione viene posto in essere solo mediante autoriferimento. I sistemi, nella costituzione dei loro elementi e nelle loro operazioni fanno riferimento a loro stessi (vale a dire a elementi del sistema, a operazioni dello stesso sistema); essi devono essere in grado di differenziare tra sistema e ambiente come orientamento e come principio per la produzione di informazioni. Luhmann distingue sistemi viventi (cellule, cervelli, organismi), psichici e sociali e li considera differenti tipi di sistemi autopoietici.15
Il presupposto di Luhmann è la differenza tra sistema e ambiente necessaria per la produzione di informazioni. Le operazioni autonome del sistema comprendono la serie, la gerarchia, la distinzione centro-periferia. Un sistema riesce a strutturarsi soltanto attraverso la selezione di un ordine. I confini sono un vera conquista evolutiva. Nessun elemento di un sistema può esercitare un controllo sugli altri senza essere a sua volta controllato. I sistemi sociali e psichici si sono formati in una evoluzione reciproca, scegliendo come forma operativa rispettivamente la comunicazione e la coscienza. La dinamica di base del sistema autoreferenziale è la comunicazione. Comunicazione e azione sono distinte ma non separate. La comunicazione come evento emergente si realizza attraverso tre operazioni: selettività dell’informazione in quanto semplice repertorio di possibilità, selezione dell’atto che la comunica, attesa di una accettazione.
Nel processo comunicativo gli eventi codificati per mezzo di segni verbali e non verbali appaiono come informazione, quelli non codificati come perturbazione.
E’ necessario che l’individuo sia capace di reagire a nuovi messaggi, è indispensabile che il soggetto sappia distinguere informazione e comportamento comunicativo. Mentre i sistemi sociali si servono della comunicazione per riprodursi, i sistemi psichici determinano se stessi per mezzo della coscienza. La coscienza non si esaurisce nella comunicazione e la comunicazione non si limita alla sfera cosciente. I sistemi sociali influiscono sui sistemi psichici anche in modi meno mediati del linguaggio; esistono le aspettative e la loro storia; esistono i sentimenti, che non si riferiscono all’ambiente, ma sono adattamenti a situazioni problematiche interne; esistono gli obiettivi, che emergono soltanto dalla coscienza. I sistemi psichici per poter funzionare hanno bisogno della differenza e della limitazione.
In un sistema autoreferenziale la contraddizione è una funzione che separa e unisce, che coordina operazioni diverse. Il ruolo della contraddizione appare evolutivo. La contraddizione è il più potente segnale di cambiamento, introdotto da una ‘indeterminatezza secondaria’ che rimette in discussione caratteri di senso già determinati. Ogni situazione di latenza è una contraddizione. Le possibilità che sono state messe da parte si configurano come negazione del senso attuale, come forma di contraddizione. Nei sistemi sociali le contraddizioni coesistono e producono conflittualità attraverso la comunicazione di un rifiuto. La destabilizzazione creata non è disfunzionale al sistema; al contrario, l’instabilità è necessaria alla capacità di reazione, poiché suscita la consapevolezza che non può restare tutto così com’è.

C. La famiglia come sistema.

Le proprietà del sistema Famiglia
Dal punto di vista della scuola di Palo Alto la famiglia è un sistema autocorrettivo, che si autogoverna mediante regole che si sono costituite attraverso tentativi ed errori. La famiglia è un sistema vivente e quindi presenta le proprietà che riguardano tali sistemi secondo gli apporti della biologia.

a) La totalità – La famiglia non è un aggregato di persone bensì un “gruppo con storia”; quest’organizzazione non è la somma delle caratteristiche individuali di ogni membro della famiglia, è una totalità a sé stante. Gli integranti del sistema familiare vengono analizzati in funzione della loro posizione all’interno dell’organizzazione. Un cambiamento di un membro influisce arrivando a modificare il sistema familiare e quindi ha un effetto sugli altri componenti; secondo l’ipotesi circolare, il cambiamento degli altri componenti ha un effetto sul comportamento di colui che ha dato origine al primo movimento.

b) L’equifinalità – La famiglia è un sistema aperto, che scambia informazione con l’esterno; le condizioni iniziali non predeterminano i risultati finali; a partire da condizioni uguali non si arriva a risultati analoghi.
In un sistema chiuso lo stato finale è predeterminato dalle condizioni iniziali. Data questa proprietà dell’equifinalità, si ritiene che sia meglio intervenire qui e ora sul sistema familiare invece di ricercare i fattori traumatici del passato. Si interviene più sulle regole del sistema che sui fatti accaduti ai singoli componenti della famiglia.

c) L’autoregolazione – Il processo di interscambio è regolato dal meccanismo della retroazione che consente al sistema di autoregolarsi, trasformando o mantenendo i propri modelli organizzativi.
Il prevalere di processi trasformativi o il blocco rigido delle dinamiche familiari può disinnescare processi patologici. Uno dei fondatori della terapia familiare, Don Jackson, individua all’interno della famiglia di pazienti psicotici il meccanismo che soggiace al sintomo; in realtà il sintomo serve a mantenere lo status quo del sistema familiare, ossia l’omeostasi: il miglioramento di un paziente provoca, come retroazione, un disturbo nel sistema familiare, al punto che un altro o altri possono presentare disturbi psichiatrici apparentemente nascosti dalla malattia del paziente designato. L’intero sistema si oppone a qualsiasi cambiamento in quanto il sistema familiare si sente minacciato dalle trasformazioni del comportamento del paziente.

D. La teoria del doppio legame
Il concetto di doppio legame è stato preso da Bateson dalla teoria dei tipi logici elaborati da A. N. Whitehead e B. Russell; in essa si sostiene nell’ambito della comunicazione la presenza di una gerarchia di livelli logici: ogni messaggio viene sempre accompagnato da altri messaggi che segnalano in che modo deve essere inteso il messaggio stesso; questi altri messaggi si pongono ad un livello di astrazione superiore. In relazione, ad esempio, ad un’azione violenta, si può capire se chi la compie vuole scherzare oppure fa sul serio. Si deve sempre tener conto del fatto che l’azione sia congruente o incongruente. I messaggi incongruenti costituiscono il paradosso; il doppio legame è un tipo di comunicazione paradossale.
Uno degli esempi più chiari del doppio legame si ha quando si dà un’ordine e al tempo stesso tale ordine comporta la disobbedienza. La madre dice al figlio: “Vai a giocare, ma non ti devi sporcare, non devi sudare”. Esempi di messaggi di questo tipo li troviamo nella vita quotidiana, come quando il fotografo dice al soggetto che deve essere fotografato: “Sii spontaneo”. 
Quando un messaggio del tipo “doppio messaggio” diventa patologico? Mentre l’adulto riesce a uscire dalla contraddizione, un bambino in un rapporto simbiotico con la madre va in tilt. Nel messaggio del doppio legame gioca un ruolo importante il linguaggio non verbale. Ci sono tre tipi di soluzioni – segnala Bateson – all’interno della struttura di una famiglia con dinamiche schizofrenogene. La prima soluzione: l’individuo, di fronte all’assurdità della situazione, crede di non possedere tutte le informazioni per comprendere quello che accade; cerca quindi di trovare soluzioni sempre più lontane dalla realtà; questa forma la troviamo nella schizofrenia di tipo paranoide. Una delle regole del doppio legame è la proibizione ad essere consapevole della contraddizione implicita nella situazione.
La seconda soluzione è quella in cui il soggetto prende i messaggi alla lettera, non distinguendo tra quello che è importante e quello che è irrilevante; questo fenomeno si verifica soprattutto nella forma delle schizofrenie di tipo ebefreniche.
La terza soluzione individuata da Bateson consiste nell’isolarsi ai fini di bloccare la corrente di informazioni; questa forma la si trova nella catatonia stuporosa.
In sintesi, in una famiglia patologica si trova un’alta presenza di messaggi a doppio legame.

a) Il concetto di triangolazione
Uno dei padri della terapia familiare, Jay Haley, ha studiato con attenzione una situazione interattiva patogena, in cui un individuo appartenente ad una generazione entra in coalizione con un individuo di un’altra generazione contro un proprio pari, e questa coalizione per diventare patogena deve essere negata. Nel triangolo perverso si trasgredisce il confine fra le generazioni; l’esempio più chiaro è l’alleanza della madre insieme al figlio contro il marito.
Secondo Haley “un sistema familiare patologico è costituito da una struttura di triangoli perversi”. 
Nel processo terapeutico si cerca di liberare la famiglia dai giochi psicotici – come li ha definiti Mara Selvini Palazzoni, lo scopo della terapia è quello di modificare le regole che impediscono un cambiamento reale.
Esiste una copiosa letteratura riguardante le tecniche e le metodologie di interventi terapeutici che privilegiano alcune aree di conflitto piuttosto che altre; la Selvini Palazzoli, ad esempio, nei suoi primi interventi si era concentrata sul paradosso che viene usato in senso terapeutico annullando i suoi effetti negativi; in questa linea si inseriscono le prescrizioni paradossali come le prescrizioni dei rituali familiari.

La teoria del ciclo vitale
Il modello più conosciuto riguardo al ciclo vitale corrisponde a Milton Erikson, poi sviluppato da Jay Haley 16:
la nascita e l’educazione del bambino;
l’adolescenza del figlio;
il periodo di corteggiamento;
il matrimonio dei figli;
le difficoltà del periodo centrale del matrimonio;
l’emancipazione dei figli dai genitori;
il pensionamento; 
la vecchiaia.
Le teorie del ciclo vitale hanno avuto uno sviluppo notevole nei trent’anni successivi all’elaborazione di quelle che portano il nome di Erikson e Haley. Lo stesso Haley aveva previsto la necessità di riformulare tali teorie alla luce dei cambiamenti e delle trasformazioni che stavano avvenendo nella società.
Secondo Haley i sintomi compaiono quando c’è una deviazione o una interruzione del normale svolgimento del ciclo vitale di una famiglia o di un altro gruppo naturale; un sintomo è il segnale che una famiglia ha difficoltà a superare uno stadio di questo ciclo vitale”.
Secondo questa prospettiva teorica la terapia ha come scopo quello di risolvere i problemi familiari per permettere al ciclo vitale di raggiungere una riformulazione dello stesso ciclo vitale. La psicologa Umberta Telfener tiene conto non solo del ciclo vitale del singolo o della famiglia, bensì del “ciclo di vita professionale del clinico, in quanto i temi trattati, l’impatto emotivo, l’entusiasmo e la curiosità, la fiducia nelle proprie capacità dipendono dalla storia di ciascuno e dall’esperienza che si è formata sul campo”. 17 
Ritengo che sia più pertinente modificare il concetto del ciclo vitale della famiglia; parlare cioè di cicli simbolici della famiglia come organizzatori dei diversi momenti che ognuno deve attraversare nel tempo e dei passaggi che un individuo fa da un sistema all’altro. Perché i rapporti umani sono precari, cambiano, si vive in sistemi di famiglie diverse; si può diventare padre o madre a tarda età, si può essere padre o madre di qualcuno che ci è coetaneo. Il concetto del nido vuoto sembra tramontato, i figli rimangono nella casa paterna fino a tarda età. Tanti genitori vivono la terza età come una nuova adolescenza; sono i genitori ad avere quei comportamenti che ci si aspetterebbe di trovare nei figli, che invece ne hanno di più adatti a persone anziane: la fase dell’innamoramento e del corteggiamento comincia alle scuole medie, ma si può ripresentare in qualsiasi altra età; può essere che un genitore maschio lasci la famiglia per andare a vivere con il suo amico o una madre decida di lasciare figli e marito per una donna. Quando possiamo dire che cominci la terza età? Per alcuni inizia intorno alla metà dei cinquanta e per altri ai settanta; dipende dagli impegni, dalla capacità di ricreare nuove finalità di lavoro, di interessi, di curiosità e così via.

a) Quattro forme di svincolo
Luigi Cancrini18 scrive: “Il ciclo vitale della famiglia deve essere integrato per completezza, tenendo conto di situazioni psicopatologiche che ‘sviluppano’ all’interno di altri sistemi interpersonali”. 
Le forme di svincolo individuato sono quattro:
a) dello svincolo impossibile, che corrisponde alle situazioni di una famiglia nella quale si verifica la presenza di una forma schizofrenia di tipo ebefrenico; a livello familiare corrisponde secondo Bowen un tipo di famiglia secondo la capacità di differenziazione: esso riguarda la “massa indifferenziata dell’io”;
b) dello svincolo inaccettabile, con un membro appartenente alla classificazione di schizofrenia di tipo catatonica. Lo svincolo “non avviene o avviene per brevi periodi e in settori limitati”;
c) dello svincolo apparente: avviene in modo incompleto o parziale; a livello del soggetto troviamo le crisi di tipo schizoaffettivo: crisi maniacali e depressive: forme gravi di anoressia e di tossicomanie di tipo C;
d) dello svincolo del compromesso: essa si determina attraverso un progetto che appartiene alla famiglia. A livello del soggetto troviamo un disturbo psicotico di personalità: schizoide o borderline; si possono presentare con forme meno gravi di tossicomanie di tipo C o anoressia vera.

La famiglia e le dipendenze patologiche

A livello teorico sulla famiglia e le tossicodipendenze sono stati in Italia significativi gli sviluppi che si sono originati intorno a Luigi Cancrini19 e ai suoi collaboratori a Roma; in questo paragrafo terremo conto degli apporti della Scuola di Milano che ha fatto capo a una figura leggendaria nel campo della terapia familiare, Mara Selvini Palazzolo 20; con lei alcuni dei suoi collaboratori come Cirillo, Berrini e altri hanno applicato alcuni dei concetti fondamentali della Scuola nel campo delle tossicodipendenze; tali concetti sono presenti nel libro “La famiglia del tossicodipendente”21, diventato un classico della materia.
I giochi psicotici nella famiglia
Non si tratta di parlare di un modello del gioco nel senso di una teoria scientifica dei giochi umani. Il gioco consiste negli scambi di comportamenti concreti tra le persone; rimanda ad esempio al concetto chiave di strategia e a un conflitto caratterizzato dall’inganno.
A livello convenzionale il gioco è prodotto degli interventi alterni dei singoli giocatori, che, motivati a vincere come singoli e come gruppo, all’interno di regole esplicitate consensualmente accettate, eseguono di volta in volta la loro mossa conseguentemente alla mossa avversaria. La metafora del gioco facilita l’accesso a una visione che non separa i singoli dalle reciproche interdipendenze, né separa l’interdipendenza dai singoli, ma considera i singoli come interdipendenti e imprescindibili, abili a effettuare tutte le scelte possibili. A differenza delle teorie sistemico-olistiche o al funzionalismo, dove si considera il potere legato solo alle regole del gioco, qui il potere è legato anche alle differenze individuali (professione, intelligenza, bellezza, ecc.).
Le critiche alle teorie sistemico-olistiche hanno permesso agli autori di rivalutare la presenza del singolo e li ha indotti a costruire dei modelli diacronici, dove si inserisce il tempo, a differenza dei modelli sincronici del “qui ed ora”.

La ricerca di un modello generale per capire i processi all’interno della famiglia dove primeggiano i giochi psicotici ha portato gli autori a considerare sei stadi nel processo psicotico22:
- Primo stadio: lo stallo nella coppia genitoriale.
”Intendiamo per gioco di stallo quello in cui i due avversari, come due giocatori di una partita a scacchi, sembrano destinati a fronteggiarsi in eterno in una situazione senza uscita: il loro rapporto non conosce vere crisi né scenate catartiche, né separazioni liberatorie. Uno dei due a volte esibisce una serie appariscente di mosse d’attacco, di provocazioni, di apparenti trionfi: sembra che stia per avere la meglio, ma l’altro, quietamente, invariabilmente sfodera una mossa che ne azzera il punteggio”. 23
-

Secondo stadio: L’invischiamento del figlio nel gioco della coppia.
Terzo stadio: il comportamento inusitato del figlio.
Quarto stadio: il voltafaccia del presunto alleato.
Quinto stadio: l’esplosione della psicosi: “fallito nel suo proposito di sottomettere il genitore vincente, tradito dal suo compare segreto, il figlio si sente solo e abbandonato da tutti”.
Sesto stadio: le strategie basate sul sintomo. Quando si arriva alla cronicizzazione, spesso non solo il perdente, ma anche l’altro genitore si oppone sotterraneamente a un mutamento dello “status quo”.

L’applicazione del metodo fa emergere due elementi che sono divenuti chiave per capire i giochi in famiglia: 
a) L’imbroglio: è “un processo interattivo complesso che sembra strutturarsi ed evolversi attorno a una specifica tattica comportamentale messa in atto da un genitore, caratterizzata dall’ostentare come privilegiata una relazione diadica intergenerazionale (genitore-figlio) che di fatto non è tale: questo nel senso che il presunto privilegio non è effettivamente autentico, ma strumento di una strategia mirata contro qualcuno, di solito l’altro genitore”.24
b) L’istigazione: “non è per noi soltanto un atto o una serie di atti, ma un processo interattivo in divenire”.25 
I sei stadi elencati servono anche per capire la psicosi infantile: il bambino non è un malato passivo, ma un soggetto strategico all’interno del gioco di coppia dei genitori. 
Ogni sintomo è una strategia all’interno della famiglia. 
La teoria dei giochi psicotici in famiglia ha permesso di capire i processi che avvengono soprattutto nelle famiglie di anoressici; ad esempio, una crisi rappresenta la messa in atto di un’azione istigatrice da parte di qualcuno in famiglia, la scoperta dell’imbroglio o il voltafaccia di uno dei genitori. Non si deve vedere il sintomo a sé stante, ma il risultato di un’azione giocata prima della crisi sintomatica. Il processo terapeutico deve svelare il gioco all’interno della famiglia. 
Gli autori prendono in considerazione la necessità del congedo del paziente designato dalle sedute, per due scopi: palesare e scoraggiare l’intromissione del paziente designato nei problemi dei genitori e fondare un’alleanza terapeutica coi genitori.

La coppia patogena diventa coppia terapeutica. “Quei genitori che arrivano a lottare e a patire insieme per salvare il proprio figlio diventano, oltre che coterapisti del figlio, agenti di cambiamento del proprio rapporto” .26 
Ci sono modalità differenti fra il terapeuta paradossale che paragona i suoi interventi a un arpione per promuovere la crisi, e il terapeuta come allevatore, che vuol essere l’accompagnatore del processo di cura e guarigione della famiglia. Il cambiamento provocato attraverso il processo terapeutico deve essere considerato come la messa a punto di un meta-gioco (inaugura e invita a giocare un altro gioco).

Il terapeuta deve evitare di farsi assorbire del gioco familiare e invita la famiglia a giocare un gioco diverso. Il terapeuta deve tener conto non solo del conflitto manifesto, ma di quello nascosto; deve saper distinguere lo stallo di coppia dal conflitto di coppia. Alla luce del nuovo metodo, cambia il concetto di sintomo; a questo punto esso deve essere compresso a tre livelli: sociale, familiare ed individuale. Il concetto di calcolo preso da Edgar Morin ha permesso a questi autori di differenziare due modi di conoscenza, quello del cogito e quello del calcolo; quella del cogito è “una conoscenza dell’essere su se stesso”, quella del calcolo è una conoscenza non sempre riflessiva. In questo senso all’interno della famiglia ci sono mosse coscienti per giocatori (livello del cogito) e mosse di cui essi non sono coscienti, che appartengono al livello del calcolo. 
Ci sono quindi strategie che appartengono al livello del calcolo, e strategie che appartengono al livello del cogito. 
La Scuola di Milano, dopo anni di studio su famiglie di tossicomani ha elaborato altri stadi che permettono di costruire una genesi e un processo del fenomeno droga. Lo schema che segue può servire di base anche per altri tipi di dipendenze patologiche.
Secondo gli autori della Scuola di Milano il sintomo del giovane tossicomane da eroina deve essere letto secondo la teoria trigenerazionale; per capire il fenomeno della tossicodipendenza vengono esplorate non solo le componenti insoddisfacenti della relazione coniugale e le sue dirette risultanze nella relazione con i figli, ma anche le problematiche relative al rapporto di ciascuno dei genitori con la propria famiglia d’origine nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Gli autori hanno elaborato un quadro di riferimento nel quale si evidenziano sette stadi molto utili per la conoscenza e la pianificazione delle famiglie di pazienti con problemi di droga27:
1) Famiglia d’origine 
2) La coppia genitoriale
3) Il rapporto madre-figlio nell’infanzia.
4) L’adolescenza
5) Il passaggio al padre
6) L’incontro con la droga 
7) Strategie basate sul sintomo

La famiglia all’interno del Centro Italiano di Solidarietà

Una delle prime strutture nel campo delle tossicodipendenze – il CeIS, fondato e presieduto da don Mario Picchi – ha creato programmi che hanno superato il concetto di comunità residenziale, venendo incontro ai bisogni emergenti che riguardano gli adolescenti in generale (e non soltanto i tossicodipendenti) i quali presentano soprattutto conflittualità con la famiglia e con la scuola; ha ideato sistemi di accoglienza ed assistenza nei confronti degli “homeless”, i più emarginati della società attuale. 
Il cammino fatto dal CeIS in questo periodo, lungo pressoché un trentennio, è particolarmente articolato. Dei suoi inizi si descrive l’incidenza in un panorama ancora scarno di iniziative in due libri di Maricla Boggio. In “Farsi uomo – oltre la droga” si descrivono le finalità del CeIS e le tappe del programma terapeutico, riportando storie e modalità terapeutiche. Ne “La casa dei sentimenti – itinerario per uscire dalla droga” si rappresentano, seguendo la sceneggiatura dei cinque filmati realizzati dalla Boggio per la RAI, le fasi di uscita dalla tossicodipendenza, inserendovi il discorso relativo alla famiglia e il reiserimento nella società28. Rispetto alla partenza, dettata dall’urgenza della caduta nella droga dei primi anni ’70, il percorso del CeIS attraverso la sua incidenza nell’attuale panorama delle richieste della nostra società è stato di notevole rilevanza29. Numerosi i personaggi che vi hanno influito. Va citato in particolare, per le sue capacità di psicanalista delle organizzazioni, Harold Bridger, e il fondatore delle comunità terapeutiche in campo psichiatrico, Maxwel Jones. Con forte capacità ideatrice e spirito propulsore rivolto a integrare nel CeIS le iniziative più avanzate a livello internazionale adeguandole alla struttura italiana, emerge Juan Corelli, vicepresidente del CeIS, che in tale struttura ha inserito progetti relativi al mondo del lavoro, dei giovani, della cultura e di varie specificità, sia a livello nazionale che a livello internazionale.
Nell’arco di trent’anni il CeIS ha sviluppato diverse tecniche di lavoro con le famiglie, dai gruppi di auto-aiuto, di consulenza familiare e terapia familiare, ai più noti gruppi unifamiliari; il gruppo multifamiliare è stato un’esperienza innovativa nel campo delle tossicodipendenze. All’interno della terapia familiare sono stati utilizzati strumenti come il genogramma, l’ecomappa, la scultura della famiglia, il disegno della famiglia; strumenti che si possono trovare in tutti i manuali di terapia familiare; riporto un’ analisi del gruppo multifamiliare.

a) Il gruppo multifamiliare 
All’interno del CeIS, nel decennio 1985-1995 si è sviluppata la tecnica degli incontri multifamiliari a partire degli insegnamenti e dalle consulenze della terapeuta della famiglia Pauline Kauffman.30
Il gruppo multifamiliare è costituito da quattro o cinque gruppi familiari, in ognuno dei quali è compreso il ragazzo tossicodipendente che partecipa ad uno dei programmi terapeutici. Il gruppo costituisce uno degli strumenti di lavoro dell’Istituto della Famiglia. Il gruppo multifamiliare è costituito da tre sottosistemi – l’individuo, la famiglia, il gruppo d’appartenenza di ciascuno – che tutti e tre si intrecciano all’interno di un contesto significativo, rappresentato dall’istituzione ospitante. Ogni soggetto ha un modo differente di rapportarsi all’interno di un gruppo di pari, all’interno della propria famiglia o in rapporto ad un’istituzione.
Nel gruppo multifamiliare si osservano le dinamiche che avvengono tra queste diverse istanze; in esso interagiscono allo stesso tempo persone che fanno parte di sottosistemi diversi, figli, fratelli, amici, genitori, operatori, ecc.
Per esempio, nell’ambito del sottosistema “amici”, il ragazzo Uno ha la possibilità di osservare il comportamento di Due all’interno della sua famiglia d’origine. L’immagine che Uno si era costruita del suo compagno Due all’interno del suo gruppo di appartenenza viene confrontata con l’attuale, che riguarda una situazione relativa a un padre un prepotente. Nel gruppo, Uno può confrontare l’immagine dei genitori di Due, da lui percepita avendoli presenti, con quella che Due aveva descritto nel gruppo naturale, e può valutare se vi sia una differenza tra le due immagini. Lo stesso accade con Due nei confronti di Uno, e da parte degli altri componenti del gruppo d’appartenenza, – i ragazzi frequentano il gruppo all’interno della CT e i genitori i gruppi di autoaiuto, in maniera reciproca. 
Questo procedimento serve a confrontare la famiglia introiettata, vissuta e idealizzata, con la famiglia reale, quella che vedono gli altri. Nel gruppo multifamiliare ogni singola famiglia che ne fa parte può osservare il comportamento delle altre famiglie e vedere come queste affrontano e risolvono problemi analoghi ai suoi.
L’obbiettivo perseguito lavorando con il gruppo multifamiliare varia a seconda del momento in cui lo si considera nell’arco del progetto terapeutico.
Una variante del gruppo multifamiliare è il gruppo di progettazione da me ideato e sperimentato. Un gruppo multifamiliare si scompone in sottogruppi, ciascuno dei quali è un gruppo familiare, cioè una famiglia singola, ma con la finalità – senza l’operatore presente – di svolgere un compito ben preciso, quello di concordare tra i componenti della famiglia stessa una serie di incombenze, come l’uso del denaro, le uscite e l’orario di rientro del figlio, l’ora della cena e così via. Si chiede che questi accordi siano scritti su di un foglio, in modo da risultare come documento dell’accordo pattuito. Questi accordi fatti in un territorio neutro nei confronti del territorio della famiglia servono a sviluppare la capacità di affrontare l’organizzazione, le decisioni su argomenti come il mangiare insieme o da soli, la fruizione della musica, l’organizzazione del mattino e quello della sera, che di solito non vengono mai concordati in un contesto di relativa calma, ma attraverso discussioni talvolta violente. Il gruppo di progettazione permette a ciascun sistema familiare di allenarsi alla negoziazione; il fatto che ci siano altri nuclei familiari elimina la prepotenza, gli elementi di violenza, di sottomissione, di ricatto ecc. che si verificano spesso quando una famiglia deve concordare questioni che riguardano il tempo e lo spazio di vita in comune.
Dopo circa un’ora di lavoro, le singole famiglie ricompongono il gruppo multifamiliare e, riunite, leggono quanto hanno scritto in ogni foglio, mentre un membro di ciascuna famiglia spiega come si sia arrivati a un accordo in merito ai temi trattati. Il gruppo multifamiliare si riunisce approssimativamente una volta al mese per la durata del programma terapeutico del ragazzo in cura, con il fine di verificare i risultati ottenuti nell’arco del tempo trascorso, le eventuali cadute e le difficoltà insorte. Merito precipuo del gruppo è di ristrutturare le regole all’interno della famiglia. La riunione che si tiene da parte del gruppo multifamiliare alla fine del programma terapeutico serve a elaborare in ogni famiglia il distacco dalla struttura terapeutica.

La terapia familiare secondo l’etica ricostruttiva

La famiglia è una struttura in cui si intrecciano delle storie individuali che si incontrano, entrano in conflitto e generano nuove storie che incidono sulla costruzione dell’identità del singolo. Concepire la famiglia secondo la prospettiva storica significa mantenersi nel registro della narrazione. Freud stesso aveva scritto intorno alle tematiche e agli intrecci che si sviluppano all’interno del romanzo familiare. 
Paul Ricoeur31 differenzia identità idem, il carattere permanente nell’identità e identità ipse, o identità narrativa, che costruisce l’identità come processo, nella quale la persona nel raccontarsi costruisce la propria identità che via via si modifica rispetto al carattere che permane. 
La narrazione – o identità narrativa -– sostiene Jean Marc Ferry – è invece uno degli aspetti dell’identità32, cioè non la esaurisce e viene espressa, oltre che dal livello della narrazione, da altri tre livelli.

I QUATTRO LIVELLI DELLA COMUNICAZIONE

la narrazione, l’argomentazione, l’interpretazione e la ricostruzione.

La narrazione costituisce il primo livello di comunicazione del racconto del soggetto, ma soprattutto rappresenta la storia dei vissuti. La narrazione di sé rappresenta un registro che non tiene sempre conto dell’intersoggettività, in quanto il soggetto può rimanere prigioniero di se stesso in un soliloquio che non dà spazio ad alcun interlocutore. La svolta linguistica è intimamente connessa con il passaggio da una filosofia del soggetto a una filosofia intersoggettiva. In terapia familiare si verifica il racconto, ma in un contesto intersoggettivo che non è più quello del privato, bensì quello di uno spazio pubblico. I terapeuti – o l’équipe terapeutica – rappresentano il sociale che interagisce con il privato. I soggetti allora non raccontano soltanto, ma devono argomentare le proprie posizioni nei confronti di un terzo-neutro, per quanto è possibile essere neutri in terapia. 
La narrazione è la forma più primitiva e immediata di rapporto comunicativo intersoggettivo; raccontare significa scambiare intersoggettivamente “degli eventi, dando forma a esperienze vissute, significative per sé e per gli altri”: dopo il racconto, i soggetti partecipanti alla narrazione non restano come prima, “ma si costruiscono o si ricostruiscono proprio nella comunicazione” .33 L’argomentazione riguarda il problema della verità.

L’argomentazione
Nella fase della narrazione non si pone il problema della differenza fra realtà e fantasia, fra realtà e finzione; invece, secondo il registro che riguarda l’argomentazione – in termini di Habermas essa corrisponde all’etica del discorso – il problema che si pone è quello della verità: ogni partecipante alla conversazione terapeutica deve giustificare la propria versione dei fatti, perché ci può essere un altro che gliela contesta. 
Il processo dell’interpretazione rappresenta il terzo livello del discorso, secondo Ferry; esso risulta a cavallo fra la narrazione e l’argomentazione. In una terapia familiare si mette in campo il conflitto di forze che rispondono a interpretazioni contrapposte.

L’interpretazione
Anche l’interpretazione dei terapeuti viene messa in discussione; questo perché l’osservatore non può rimanere fuori dal campo dell’osservazione, diventa un elemento integrante; da questo momento comincia una storia del sistema familiare in interazione con il sistema terapeutico e quindi inizia una nuova storia, in questa fase, definibile “terapeutica”.

La ricostruzione

Il quarto livello della comunicazione secondo Ferry riguarda la ricostruzione. Nella famiglia si verifica un vissuto di sofferenze che viene espresso, manipolato, negato. Ognuno si sente ferito dall’altro, e ciascuno cerca di giustificare la propria azione, non sempre rendendosi conto del male inflitto all’altro. La terapia familiare è un processo che dovrebbe portare a cancellare vecchi rancori, a elaborare torti subiti ristabilendo un piano di giustizia morale ; diventa così un obbiettivo il perdono di colpe commesse consapevolmente o senza averne coscienza. Questo processo di riparazione intersoggettiva costituisce il quarto livello segnalato da Ferry, quello cioè dell’etica ricostruttiva. Ferry si interroga su che cosa succeda nella relazione tra il locutore e l’allocoturio quando si racconta, si interpreta, argomenta, ricostruisce.

Nella narrazione si verifica il racconto da un lato e l’ascolto dall’altro; nell’interpretazione si mette in moto il metodo della spiegazione – quello scientifico – (costruzione , falsazione e verifica delle ipotesi) e quello della comprensione – il metodo fenomenologico per eccellenza, che include l’empatia, il porsi nel posto dell’altro- : la sua categoria è la ricerca del significato; nell’argomentazione, invece, si mette in moto il difendere o il giustificare da un lato, il contestare o problematizzare dall’altro, la sua categoria è la validità; analizzare e riconoscere costituiscono la base del processo di ricostruzione, la sua categoria è il riconoscimento.34
Su questa linea dell’etica ricostruttiva si dovrebbe arrivare a un momento di riconciliazione, che parte da una disposizione ad ascoltare “le richieste dell’altro e a riconoscere la sua sofferenza”; tale disposizione “diventa la base per una costruzione cooperativa delle norme che possono regolare la vita in comune”. 35
Tale etica ricostruttiva rappresenta secondo me uno dei poli della dialettica decostruzione/ricostruzione, che io collego mettendo insieme il metodo decostruttivista di Jacques Derrida e quello ricostruttivo di Ferry.
La dialettica misconoscimento/riconoscimento che io ho sviluppato nel primo volume, capitolo sulle tossicodipendenze36 prendendo in considerazione l’analisi della teoria del riconoscimento sviluppata da Honnet, può essere arricchita alla luce dell’etica ricostruttiva di Ferry.

Ricostruzione e riconciliazione

Ritengo che non si possa diventare genitori a pieno titolo se non ci si è riconciliati con i proprio genitori. Un rapporto di coppia non può considerarsi terminato – ad esempio, se si è operata una separazione -, se non si è anche arrivati ad una riconciliazione. Se si rimane prigionieri di sentimenti negativi, che impediscono la riconciliazione, ci si continua a muovere in funzione di tali sentimenti.
“La riconciliazione sostiene Graziano Lingua, prefatore del libro di Ferry – può essere possibile solo in quanto ciascuno dei due partners è disponibile a riconoscere i propri eventuali torti e ad ascoltare con empatia le recriminazioni dell’altro, ma questo si ottiene unicamente con il perdono” 37.
Scrive Ferry: “Il perdono è ricostruttivo, più che argomentativo perché domandare perdono non implica che si abbia avuto oggettivamente torto in un litigio (punto di vista stabilito grazie all’argomentazione), ma innanzitutto che si soffra del fatto che l’altro stia male per quanto abbiamo fatto, se non per il nostro sbaglio, e che si riconosca per se stessi una responsabilità nella sofferenza dell’altro”.38 Questo chiedere scusa va inteso come una immedesimazione nel pensiero, sia pure distorto, dell’altro, e non per sempre una reale situazione oggettiva.
La ricostruzione non comporta di considerare ciò che è successo, né di arrivare soltanto a interpretare i fatti, né a universalizzare le massime individuali rispetto a una intesa generale (argomentazione), ma significa “percorrere questo processo all’inverso sulle tracce di un riconoscimento mancato”. 39
Ferry propone due assi, dell’analisi e del riconoscimento. Il primo asse serve a descrivere il rapporto del soggetto con il passato; lo scopo non è soltanto di demistificare il passato, ma anche di farsi carico delle sofferenze che si sono accumulate nel corso degli anni. In questo processo si compie una rilettura del proprio racconto confrontandolo con il racconto degli altri; in tal modo si apre una possibilità di essere riconosciuti come “soggetti capaci di rispondere”. Per l’autore comunicare non significa soltanto trasmettere dei contenuti o delle informazioni, ma implica un coinvolgimento delle persone più profondo e un interesse nel comprendersi, quindi la ricerca di un legame.
Il passato che va ricostruito, dice Graziano Lingua, è sempre un passato di storie personali segnate dalla vulnerabilità dei soggetti, perché “ogni passato contiene dentro di sé una violenza subìta che impedisce la trasparenza della comunicazione”.40 La violenza è sempre in agguato anche nel registro – o livello – della narrazione. In un contesto conflittuale le persone tendono a giustificarsi o a chiudersi narcisisticamente, e quindi a rispondere con violenza anche quando apparentemente non c’è violenza esplicita. Nella terapia familiare arrivare al racconto di fatti conosciuti più o meno da tutti i membri della famiglia implica la costruzione di un contesto di condivisione dei vissuti. Questi vissuti hanno una storia impossibile da dimenticare e contengono un livello di violenza pronta a esplodere. Ogni forma di comunicazione è legata a intenzioni non espresse e a non detti che non hanno raggiunto il livello del linguaggio verbale.
Uno degli obiettivi dello spazio della ricostruzione è quello di raggiungere un momento di reciproco riconoscimento, che non implica il fatto di conservare o di rompere il legame affettivo. Riconoscersi significa superare le incomprensioni e i momenti di misconoscimento del passato, talvolta anche rendersi conto che forse ciascuno si è sentito offeso quando l’altro non aveva nessuna intenzione in tal senso. Nella comunicazione in un contesto regolato come quello della terapia familiare, è possibile confrontare l’aspetto soggettivo e quello oggettivo dell’offesa, dell’intenzione aggressiva. La giustizia presenta un aspetto razionale e oggettivo e un aspetto soggettivo, e il vissuto soggettivo di che cosa sia giusto o ingiusto varia da persona a persona secondo la storia di ciascuno e soprattutto secondo il livello di forza psichica di ogni individuo.

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