Psicopolitica del sovrano

PSICOPOLITICA: LA RIVALITA SOVRANISTA

Articolo sviluppato presso la CGIL di Bologna il 6 giugno 2019

 di Francisco Mele

Il pensiero triadico 

 Passare dal pensiero diadico a quello triadico significa introdurre la figura del terzo o il luogo della terzietà, intesa come un’istanza che permette la distanziazione dall’immediatezza e distinguere l’urgenza dalla riflessione, ovvero non rispondere in forma immediata e quindi dare spazio a un’attenta considerazione a livello del pensiero astratto.

La prospettiva triadica dà spazio a raccogliere altri punti di vista e quindi a ridimensionare la visione di un io-tu solipsista.

Il padre occupando il luogo della terzietà si pone nella funzione distanziatrice necessaria per introdurre in questo caso nell’ambito della famiglia la Legge che supera l’arbitrarietà della regola imposta dal capriccio di ogni individuo o integrante dell’organizzazione familiare.

Il padre deve rinunciare all’idea di essere lui la Legge e accettare di essere anche lui sottoposto a tale Legge.

La prospettiva del terzo come terzietà dà la possibilità di capire a chi si trova ad esempio su di un treno fermo in una stazione di rendersi con di chi è che si muove quando il treno sta partendo. C’è un istante in cui il viaggiatore non riesce ad avere la cognizione di quale treno si è messo in moto.

È necessario spostare lo sguardo su di un punto terzo come ad esempio un lampione che dà la possibilità di trovare la posizione e di capire chi parte e verso quale direzione.

La Legge e la libertà, come l’ossigeno, quando mancano, ci se ne rende conto.

Secondo Hobbes, per paura, il soggetto cede una quota di libertà al sovrano, tutto per avere un po’ di sicurezza.

Il sovrano, secondo Foucault, ha la facoltà di decidere della vita e della morte dei suoi sudditi nella concezione bio-politica, sempre secondo Foucault, il sovrano ha il potere di lasciar vivere o di lasciar morire, come può accadere oggi di lasciar morire i naufraghi in mare senza intervenire.

Il sovrano ha la facoltà di disporre del corpo dei sudditi.

Nello stato di eccezione, Giorgio Agamben[1], il sovrano può sospendere la validità dell’ordinamento giuridico, citando Karl Schmitt sostiene che il sovrano sta al di fuori dell’ordinamento giuridico, e tuttavia appartiene a esso, “perché spetta a lui decidere se la Costituzione in toto possa essere sospesa”. Nella dinamica del double bind o del doppio messaggio si presenta cosi danti tutti “Io, il sovrano, che sono fuori legge, dichiaro che non c’è un fuori legge”. Volendo dare un volto alla legge si ripresenta come “Io sono la Legge. Non ci sarebbe sopra di me nessuna legge”. Si è visto come tanti capi dopo di essere scelti dal popolo tentano di ammaestrare e modificare la Costituzione a immagine e somiglianza di Se stessi.

Un’altra forma dell’aporìa del potere si manifesta nel doppio messaggio “Devi vivere, ma non ti do gli strumenti per vivere con dignità”.

Lo psicoanalista argentino Miguel Banesayag, forse prendendo spunti dal giurista spagnolo Eduard Punset,  si domanda c’è una vita prima della morte?   L’autore, che è stato rinchiuso nelle carceri argentine nel periodo dei colonnelli, fa riferimento alle tante persone che vivono in maniera critica, dolorosa, disumana la loro esistenza, essendo malati, privi di mezzi, o in situazioni politicamente costrittive. Si tratta cioè di una vita-non-vita. Non entreremo qui nel tema del suicidio o dell’eutanasia di Stato.

Giorgio Agamben individua nell’homo sacer il soggetto che può essere ucciso senza conseguenze per l’assassino. L’homo sacer non può essere sacrificato secondo il rito riservato ai cittadini, avendo lo status del santo o del maledetto. Questa figura ha la funzione del pharmakon nella duplice valenza di essere medicina o veleno. In questa linea si può inserire il concetto di legittima difesa. L’homo sacer sarebbe quindi il delinquente. Nessuno pensa che debba essere difeso, è un nemico sociale, chi lo uccide per difendersi o per difendere la sua proprietà non verrà condannato.

“Uomo sacro è, però, colui che il popolo ha giudicato per un delitto; e non è lecito sacrificarlo, ma chi lo uccide, non sarà condannato per omicidio;  <<se qualcuno ucciderà colui che per plebiscito è sacro, non sarà considerato omicida>>. Di qui viene che un uomo malvagio o impuro suole essere chiamato sacro”. A partire del XVIII secolo si formula l’idea che il crimine non sia semplicemente una colpa (danno a un altro) ma un’azione che nuoce la società. Il delinquente diventa nemico sociale da cui la società deve difendersi con tutti i mezzi a disposizione.

Agamben traccia il limite tra la nuda vita in quanto ne vengono sottratte tutte le qualità proprie della persona, e il cittadino con tutti i suoi diritti. In questo spazio inteso come “limes” la Legge viene sospesa per dare spazio a una legge privatista, di parte e soprattutto una legge che dipende dallo stato d’animo del sovrano.

La differenza fra la nuda vita e la struttura giuridica si rifà alla differenza fra zoe e bios degli antichi greci, fra la vita in generale e il modo di vivere bios, la vita è sacra. Dovendo uscire dallo stato di profano attraverso dei riti della città la vita diventa sacra. Questi due universi descritti da Emile Benveniste riportano alla Città di Dio di sant’Agostino.

“Nella città terrena, come in quella divina, / ci sono uomini ai posti di comando. Ma chi detiene/ il potere nella città terrena impone agli altri / la propria volontà. Chi invece governa nella città / di Dio offre ai cittadini i suoi consigli, e loro / li osservano, in uno scambio di aiuto nell’amore. / La città terrena ama la propria forza, si esalta / di questa forza attraverso i suoi capi. La città / di Dio ama Dio, e Dio è la sua forza. Due città, / e due amori. Uno riguarda il bene della comunità; / è un amore «sociale». L’altro riguarda l’individuo / è un bene che si vuole escludendone gli altri; / è un amore «privato».”[2]

Nello stato di eccezione il delinquente e il sovrano occupano il luogo fuori dalla Legge. Il Sovrano si trova sopra la Legge e la bestia sotto la Legge.

Derrida nei suoi libri “La bestia e il Sovrano” e “La pena di morte” affronta il tema mettendo in primo piano un’apparente contraddizione della legge divina, che in un comandamento dice “Non uccidere”: “Chi colpisce un uomo e quello muore, sarà messo a morte… e chi colpisce suo padre o sua madre sarà messo a morte”. ”Esodo” 21, 22, 23.

Questa interpretazione della Bibbia può giustificare la pena di morte in paesi su cui la democrazia si presenta come il migliore dei governi, e quindi considerata giusta e legittimata dal voto popolare.

Ma i testi sacri possono giustificare le politiche contrarie . Nella Genesi Dio parla chiaro: Nessuno tocchi Caino. L’assassino di suo fratello non può essere condannato a morte.

La scomparsa nel luogo della terzietà comporta la neutralizzazione delle istanze critiche, come il Parlamento e il sistema giudiziario e – soprattutto, grazie alle nuove tecnologie, twitter, faceboock – sostituiscono la stampa.

Il Sovrano in questo modo si rivolge in ogni momento al suo popolo indicando a turno il nemico – interno o esterno, reale o immaginario – necessario per incanalare le tensioni violente che minacciano la consistenza dello stesso suo popolo.

In linea con la teoria del capro espiatorio di René Girard,  Roberto Esposito scrive

“L’identificazione della vittima con il proprio persecutore segna il vertice di un meccanismo sacrificale originariamente messo in moto dal desiderio mimetico e successivamente istituzionalizzato nello scambio politico tra protezione e obbedienza….E’ l’intera comunità che il sacrificio protegge dalla sua stessa violenza, è l’intera comunità che esso volge verso vittime a lei esterne, la comunità sopravvive se sposta il conflitto sulla vittima sacrificale.” [3]

In questo meccanismo della scelta della vittima si unisce popolo e leader che si sente di interpretare la sua volontà. Il leader scelto teme poi di essere anche lui travolto dalla violenza sacrificale. Questa è la ragione per cui tanti capi carismatici temono questa violenza, entrando in una fase paranoide in cui non riescono più a fidarsi neanche de suoi propri amici intimi e familiari. La storia di dittatori che hanno fatto uccidere i parenti più stretti la troviamo in tutte le epoche e culture.

La differenza fra il sovrano legittimato da Dio come re di un popolo – quindi doveva temere soltanto l’ira del Dio e a questo proposito doveva calmare quest’ira con la vittima sacrificale-  e il sovrano attuale, attiene al fatto che il sovrano attuale viene legittimato direttamente dal suo popolo, che può cambiare facilmente le sue scelte.

Per tale motivo, volendo mantenere la sua sovranità, il sovrano attuale cerca un ulteriore motivo di legittimazione attraverso simboli e rituali religiosi. I primi rituali erano ricavati da antiche saghe pagane, mentre nel tempo essi vengono sostituiti da forme che appartengono in maniera più globale all’intero popolo.  Di fronte ai simboli e ai rituali viene a mancare l’istanza critica, che il sovrano riesce a eliminare anche utilizzando quelle nuove tecnologie, soprattutto di tipo televisivo – che dovrebbero sostanzialmente mantenerla, ma che vengono utilizzate soltanto nella forma esterna come dialogo o intervista o dibattito, ma si convertono subdolamente, attraverso domande prive di valore critico, in monologhi rivolti a rinsaldare nei confronti del popolo-ascoltatore una conferma.

Articolo sviluppato all’interno del Convegno del 6 giugno 2019 alla CGIL di Bologna

CGIL_ER_BO_SILP_6_giugno_2019

[1]Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 2005.

[2]Maricla Boggio, “Il tempo di Agostino”. Edizioni Bulzoni, Roma 2015

[3]Roberto Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, edizioni Einaudi, 2006, Torino.

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