PAUL RICOEUR
Le identità della memoria

Ermeneutica del sé
Francisco Mele,

Pubblicato sulla rivista Igitur, numero 6 del 2005 ( a cura di Carla Solivetti)

e poi ripreso dalla “Rivista di religione” pubblicato nel 2006
2006

Ogni storia personale, secondo la terminologia di Paul Ricoeur, deve essere letta, compresa e interpretata secondo tre dimensioni: il Sé, il Prossimo e il Lontano. Questa triade in Ricoeur è intimamente collegata alla triade dell’etica della personalità: la stima di Sé, l’incontro con l’altro all’interno delle istituzioni giuste. In questa linea il concetto di memoria deve essere intesa non più come la memoria soltanto di un singolo, bensì un intreccio costruito con gli altri. Il logos è secondo me un tria-logos; in ogni logos individuale, quando un soggetto parla, ricorda, immagina, sono presenti l’altro e gli altri. Questi altri costituiscono l’umanità presente nel singolo; non esiste un individuo isolato, dal momento che pensa, patisce, agisce e parla, sono presenti gli altri logoi.
L’identità dipende dalla memoria; senza memoria un soggetto non saprebbe chi è quando dice “Io sono”. Ricoeur differenzia due tipi di identità: il medesimo come medesimezza, e l’ipse come ipseità.
L’identità come medesimo riguarda un aspetto immodificabile del soggetto che alcuni definiscono carattere; invece l’ipseità è l’aspetto narrativo che si modifica ogni volta che il soggetto costruisce un racconto di sé, anche se questo mutevole contiene a sua volta un aspetto costante.
A differenza del medesimo, in cui l’invariante è legato al passato, nella ipseità l’invariante guarda al futuro. L’invariante della ipseità è la promessa: la persona promette di mantenere la parola data; quindi un “vero uomo” è colui che mantiene la sua parola indipendentemente da quanto potrà accadergli, mettendolo in difficoltà circa la promessa formulata.

Secondo Ricoeur la memoria è fragile e soggetta a manipolazioni. Sia il soggetto a livello individuale, sia la comunità manipolano la memoria.
Uno dei tre principi fondamentali dell’etica, secondo Agnes Heller, è la responsabilità. Nell’affermazione: “Io sono responsabile”; o “Sono il responsabile” confluisce la molteplicità del Sé. I politici e i dirigenti delle istituzioni non si assumono spesso le proprie responsabilità: è pressoché impossibile sentire che un politico, ad esempio, dica: “Mi sono sbagliato”. Eppure, pur non ammettendo di essersi sbagliati, i politici vogliono cambiare tutto. Essi tentano in ogni occasione di aggiustare la situazione a proprio vantaggio. Lo si evince anche dalle recenti rivelazioni evidenziate dalle numerose intercettazioni telefoniche nelle quali appaiono comportamenti meschini, legati ad interessi personali di bassa lega, anziché eventuali preoccupazioni relative al bene comune o all’espletamento delle proprie mansioni di responsabili di fronte alla comunità.

La manipolazione della memoria pone il problema morale, che non è – come dice Ricoeur – rispondente alla domanda “Che cosa devo fare?”, bensì “Come vorrei condurre la mia vita?”. La manipolazione della memoria è molto vicina alla manipolazione dell’altro, come l’agire manipolativo di Habermas, molto lontano dall’agire comunicativo dello stesso Habermas.
Perché si manipola la memoria? Si tratta di evitare sensi di colpa per azioni commesse in passato, che la coscienza non sopporterebbe nella loro verità? Si manipola la memoria perché si ha paura di una punizione che viene dall’esterno?
Il concetto di tria-logos, a differenza del monologo o del dialogo fra due persone, permette di introdurre la terzeità, l’Altro, la dimensione spirituale, il concetto di umanità.
Nel monologo si rischia la divinizzazione del Sé, il Sé glorioso; in questo spazio del Sé non c’è spazio né per l’altro come tu, né per l’Altro come l’Altro assoluto.
Nello spazio del dialogo si confrontano l’Io e l’altro come tu. Se questo spazio diventa chiuso, senza riferimento all’Altro, uno dei poli della relazione diventa dio, idolo, onnipotente, tiranno e l’altro rischia di apparire come schiavo, assoggettato, impotente, succube. In questo luogo ridotto si può innescare la rivalità mimetica, in questa lotta nessuno vuol cedere; il successo dell’altro viene vissuto come una propria sconfitta. Siamo in presenza della dialettica del padrone/schiavo descritta da Hegel.

La tensione fra gli opposti riguarda il conflitto e la violenza che fanno parte del logos greco. Eraclito sosteneva che tutto è conflitto, quindi violenza. Nella dialettica di Hegel, attraverso la sintesi, si supererebbe il conflitto fra gli opposti, ma la sintesi diventa tesi e quindi di nuovo si ristabilisce la coppia degli opposti, venendosi a ricreare un ciclo di violenza.
Il terzo modello è il logos che René Girard trova nel Vangelo di San Giovanni, in cui al principio è il Verbo. In questa logica non si risponde alla violenza con la violenza, il nemico lo si ama e non lo si distrugge. Nello spazio del tria-logos, se non s’innesca la logica del tutti contro l’uno, è possibile rispettare i comandamenti riassunti nel “Non Uccidere”.
Nell’ottica del tria-logos il rapporto con l’altro è sempre, quindi, un rapporto triadico: Io (il Sé)-Altro-l’Umanità/o Altri. In un determinato rapporto, quando sono sollecito o violento con un altro, lo sono con tutta l’umanità. Il concetto di tria-logos implica l’etica dell’intersoggettività, il Sé, l’altro e l’umanità sono intimamente interconnessi.
In Lévinas – come in Lacan – si pone il primato dell’Altro. In Ricoeur non c’è né il primato dell’Altro, né il primato del Sé come sosteneva la vecchia filosofia dell’Io.
La costruzione dell’identità appartiene quindi all’intreccio fra il Sé, l’Altro e l’Umanità: quest’ultima non è rappresentata da tutti quanti appartengono alla contemporaneità e che sono vicini al soggetto che sta costruendosi, ma è tutta la Storia costruita con tutte quelle manipolazioni, abusi, ma anche con tutto il patrimonio culturale presente definito da Ricoeur l’archeologia del soggetto, e anche da tutta la storia che vive negli archivi, nei monumenti, nelle opere della letteratura, della musica e delle arti figurative.
L’etica dell’intersoggettività pone la questione della simmetria e disimmetria dei rapporti umani; c’è il comandamento morale perché nell’uomo si manifesta la violenza. Alle figure del male – scrive Ricoeur – si risponde con il no della morale.
Etica e morale, concetti sinonimi, in Ricoeur vengono differenziati: l’etica, definita come la ricerca del bene in Aristotele, rappresenta l’approccio teleologico – ci sarebbe cioè una tendenza spontanea dell’uomo verso il bene – ; la morale costituisce l’approccio deontologico ispirato a Kant, che è la morale dell’obbligazione. Etica e morale devono essere vagliate dalla giustizia. Il tragico della situazione – direi di ogni situazione in cui si deve fare una scelta – è che ci sia il rischio di scegliere di fare del male all’altro in quanto ognuno di noi viene spinto dal desiderio che tende al possesso, alla rivalità, e alla eliminazione – talvolta – dell’altro.
Il giudizio morale in situazione – nel senso che in ogni situazione devo scegliere un’azione o devo rispondere all’azione di un altro –, che viene definita come la phronesis ossia la saggezza pratica, significa che in ogni situazione devo mediare fra il principio universale e il particolare. Se sono rigidamente “purista” verso il principio universale, avrò tantissime difficoltà a vivere in società, perché il rischio è di diventare “fondamentalista”, incapace di mediare nei rapporti umani. Se si rinuncia al principio universale e si sceglie l’azione più conveniente al soggetto in quel momento, in realtà si rischia di seguire e di stare dietro agli eventi senza poter intervenire attivamente.
Le tre figure dell’alterità – sempre secondo Ricoeur – sono il corpo proprio, l’altra persona e la voce della coscienza che risuona come un altro in me stesso. Questa triade impedisce al soggetto di pensarsi come autosufficiente, chiuso in se stesso, capace di farsi da sé. L’etica dell’intersoggettività comprende il riconoscimento reciproco dei soggetti che si trovano in una situazione vis à vis – uno di fronte all’altro – o in situazioni lontane come avviene all’interno delle istituzioni. I rapporti all’interno delle istituzioni sono regolati dalla giustizia che impedisce la prevaricazione di uno sull’altro. Nel rapporto vis à vis prevale il concetto dell’amore o dell’amicizia, essa si può definire mutualità. Il concetto di giustizia pone altre questioni. Infatti Ricoeur discute con John Rawls che sostiene il concetto di giustizia come equità – dare a ciascuno quello che proporzionalmente gli spetta –, separando i concetti di bene e di giusto. In realtà si possono conciliare questi due concetti, perché in sintesi la giustizia come equità in Rawls si riduce alle procedure. Se la giustizia è la virtù delle istituzioni, intesa come una logica matematica dell’equità, è molto difficile concepire la giustizia all’interno della famiglia, in cui dovrebbe predominare la logica della sovrabbondanza, perché non si può misurare qui quello che si dà e quello che si riceve. Calcolare quel che un genitore ha dato al figlio o quel che i figli danno ai genitori non si può ridurre a calcoli matematici. La logica della sovrabbondanza, che, secondo Ricoeur, è alla base dell’amore cristiano, e si basa soprattutto sul perdonare il nemico o chi ci ha offeso, pone altri problemi. Fino a quando una madre deve perdonare il figlio che distrugge il patrimonio familiare, o una moglie sopportare la violenza del marito, o il marito la trascuratezza della moglie e così via? Questa logica ci permette di comprendere come persone che hanno vissuto insieme per tanti anni, nel momento che il rapporto si incrina, si dimenticano di tutto il bene che c’è stato tra loro, come se tutti gli anni vissuti insieme fossero stati annullati dagli ultimi comportamenti negativi.
Il lavoro dell’oblio diventa quello di cancellare le tracce di tutto il tempo intrecciato con l’altro che non c’è più: buttare le fotografie, i regali, i minimi oggetti del ricordo; esso è anche costituito dalla sottrazione all’altro di qualsiasi bene, la casa, i mobili, gli oggetti: tutto quello che possa recargli danno viene fatto. Il lungo lavoro dell’oblio nel rapporto incrinato si scontra con la presenza dei figli, che si trovano in un conflitto perenne, se dimenticare il genitore che se ne è andato o mantenerne la memoria che l’altro genitore vivrà come un dispetto: chi si sente ferito dal torto dell’altro, ogni momento che il figlio lo nomina, soffre come se il passato tornasse con tutto il suo peso.

Nella introduzione al numero di Igitur, Carla Solivetti scrive:

Dall’identità nazionale a quella individuale.

Il volume si chiude con l’a- nalisi di Francisco Mele che, anche sulla base della propria esperienza di psicanalista, sviluppa, analizza partendo da Ricoeur e da Freud, la dialetti- ca “patologica”memoria/oblio: come identità fissa o tramutabile, come per- dita della figura paterna nella società postnevrotica, come punto di partenza per una etica della personalità. Sviluppa così, collegandosi anche a René Girard, l’idea del pensiero triadico di Ricoeur sulle dimensioni di interpre- tazione di ogni storia personale. Se Ricoeur parla dell’“io”, dell’“Altro” e del lontano, e delle tre figure dell’alterità (il corpo proprio, l’altra persona, la voce della coscienza), Mele inserisce l’“Altro” come dimensione spiri- tuale nello spazio tra la prima e la seconda persona, arrivando così a privi- legiare “una logica della non violenza”, che superi la rivalità mimetica e il conflitto tra l’ “io” e il “tu” per una logica del perdono.

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