L’INFANTICIDIO RICHIAMA IL MATRICIDIO

La FRanzoni da un punto di vista psicanalitico: Francisco Mele
17/06/2008 (pubblicato sul sito, di Paola Bartolini’s point of view)

(fonte Adnkronos)

“A livello dell’immaginario collettivo il caso Franzoni tocca il tabù della grande Madre. Mette in crisi l’idea dell’istinto materno come se fosse una legge naturale e quindi, scritta nel cuore di tutte le mamme. Se crolla l’idea dell’istinto materno, vuol dire che qualsiasi madre potrebbe essere una potenziale assassina. In questi casi o non si accetta, addirittura risulta impensabile e vediamo come tanti hanno preso la difesa della Franzoni ad oltranza (perché una madre non può uccidere il suo bambino), o si sostiene la tesi della malata di mente. Nella mamma dovrebbe avvenire un passaggio da figlio biologico a figlio “giuridico”, al figlio come un altro da sé. Se non avviene questa differenziazione si può innescare un processo del tipo: lo posso far nascere, è mio, solo mio, quindi lo posso uccidere. Ma nell’uccidere il figlio uccide una parte di sé e uccide l’immagine stessa di madre. L’infanticidio richiama il matricidio.
Il fatto che la Franzoni non sia crollata è indice di una personalità “schizoaffettiva”, fredda, distante, ma questo non significa che sia un’assassina, è un modo di reagire. È possibile però che si sia disorganizzata davanti alle richieste del bambino, e quindi, senza perdere la ragione abbia reagito violentemente contro un altro, che non è un altro-altro, un estraneo, ma un altro-me. In realtà, l’uccisione di un bambino in una fase ancora di fusione in cui predomina la diade figlio-me accade perché non è avvenuta la differenziazione tra madre e figlio. In termini psicoanalitici non è stato iscritto in Nome del Padre. La legge del Padre proibisce alla madre di riprendersi la sua creatura, il figlio non è tuo, è il figlio della vita.
La difesa schizoaffettiva avrebbe inoltre aiutato Annamaria Franzoni ad evitare la depressione e il senso di colpa. In questa stessa ottica ricade il nuovo figlio, Gioele, che viene a suturare una mancanza della madre, e come riparazione cancella il delitto, diventa un farmaco, un antidepressivo; ma come qualsiasi farmaco ha una doppia valenza, è veleno ed è medicina. Gioele ricorda un delitto e sostituisce Samuele.
Un ulteriore particolare riguarda la scelta dei nomi dei figli, tutti tratti dall’Antico Testamento: Samuele, Davide e Gioele, nomi di profeti che provengono dall’Antico Testamento dove predominava la legge del Dio terribile, il Dio della vendetta, mentre nel Nuovo Testamento predomina il Dio della misericordia. Vi è quindi una componente teologica, di legge religiosa da non sottovalutare.
Una lettura secondo le categorie della cosmovisione religiosa fa riflettere sulla scelta dei nomi che non hanno seguito una logica del piano della coscienza, ma una logica interna dalla quale non sempre la persona o la famiglia che sceglie è consapevole. Samuele, nella Bibbia, è stato un bambino dato dalla propria famiglia al tempio, si compie un sacrificio o il sacro-ufficio secondo le Sacre Scritture, diventa sacerdote e poi giudice di Israele e finalmente inaugura la lista dei profeti del popolo di Israele. Invece il profeta Gioele è colui che collega l’invasione delle locuste alla volontà di Dio di punire Israele per i suoi peccati. Gioele porta gioia a sua madre, ma preannuncia la condanna per l’assassinio di Samuele. L’elemento tragico della storia è che se Gioele vive è dovuto al fatto che qualcun altro è morto. In questo gioco di vita e morte se consuma la sua storia.
Il piccolo re Davide dovrà affrontare il mondo, avrà il compito di proteggere Gioele. Come costruirà la sua storia se non è stato capace di salvare Samuele?
Riguardo, poi, alle ricadute che l’incarcerazione di Annamaria Franzoni avrà sulla vita futura dei suoi bambini, si può dire che tante donne madri sono carcerate e comunque possono vedere i propri bambini. Credo che vedere la madre dietro le sbarre avrà certo conseguenze psicologiche sui bambini, che comunque non saranno diverse da quelle di altre madri in carcere con figli. La cosa più inquietante è che non è da escludere che si possa ripetere la tensione aggressiva con gli altri figli. Forse sarebbe da pensare se il carcere di per sé guarisca la pulsione aggressiva ed omicida.
Dal lato degli altri bambini della Franzoni, come possono vedere la loro mamma-assassina di Samuele? Possono affidarsi a una madre che può uccidere? Forse, in questo caso, le sbarre possono costituire per loro una protezione.
Il problema che si pone, non è se la madre è in carcere o agli arresti domiciliari, ma come Davide e Gioele possono rispettivamente ricostruire e costruire la storia personale e familiare; dare senso alla vicenda senza sentirsi tutti vittime della malvagità della magistratura.
Noi non conosciamo il tipo di rapporto tra la Franzoni e suo marito, tra lei e i genitori, né il rapporto fra il marito della donna e i suoceri. Ignoriamo quindi le dinamiche avvenute all’interno di tutta la famiglia, se i figli sono stati desiderati, come accolti ecc.
E’ possibile invece conoscere ogni dettaglio relativo al delitto, attraverso minuziose e scientifiche ricostruzioni, analisi, deduzioni.
Questo confronto induce a ritenere che al più presto si debba far raggiungere alla giustizia analoghi risultati relativi agli sviluppi della psicologia nell’ambito della famiglia.
Si dovrebbero cioè usare le tecniche proprie degli approcci della psicoanalisi familiare e relazionale per capire un delitto di famiglia”.

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