L’ATTACCO DI PANICO COME STRATEGIA DI SOPRAVVIVENZA

FRANCISCO MELE
marzo 2012

Al concetto dei meccanismi di difesa usato nella psicopatologia, io propongo di aggiungere lo studio dei meccanismi di attacco.
Io ritengo che si possa ribaltare il concetto di attacco e quello di difesa: davanti al “nemico” – reale o immaginario – il soggetto non solo utilizza meccanismi di difesa – ad esempio le fobie -, ma meccanismi di attacco: la fobia in questa linea può essere “letta” come un vero meccanismo di attacco: azione che serve a confondere il nemico, questi non saprebbe dove si nasconde il soggetto che soffre di fobia, quindi potrebbe agire come un cecchino.
Considero meccanismi di attacco altri comportamenti “bellici”, come il gioco d’azzardo, l’anoressia, la bulimia, l’alcoolismo, la tossicodipendenza, le nuove dipendenze tecnologiche.
L’attacco di panico entra a far parte di uno dei meccanismi di attacco usato da un soggetto per affrontare una situazione vissuta come pericolosa.

Uno dei fenomeni più frequenti di consultazione psicoterapeutica e psichiatrica insieme ai fenomeni di depressione è l’attacco di panico.
L’attacco di panico- secondo una definizione classica – è un’improvvisa ed intensa paura o una rapida escalation dell’ansia; viene accompagnato da sintomi come palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, nausea, paura di morire o di impazzire, ecc.: esiste un’ampia letteratura in proposito.

Il mio scopo è di fare una lettura del fenomeno che non trascuri tutte le altre letture, come gli approcci psicodinamici, psichiatrici o cognitivisti, e soprattutto quelli derivati dalle neuroscienze, che sono i più utilizzati ai fini di spiegare e curare l’attacco di panico. A queste letture propongo un’osservazione di tali attacchi di panico secondo una teoria in sviluppo, cioè la polemologia ( lo studio della guerra) giovanile.

Nelle teorie psicodinamiche si studiano i meccanismi di difesa e tutti i sintomi vengono considerati come differenti meccanismi di difesa davanti a pericoli che hanno la fonte all’esterno o che provengono dall’interno del paziente stesso. Ad esempio, l’insonnia può essere interpretata come la paura di avere incubi, di addormentarsi e non svegliarsi più, oppure di essere aggredito dall’esterno.
Le fobie sono anch’esse meccanismo di difesa, in quanto il soggetto evita la fonte di pericolo riducendo gradualmente il campo di azione per evitare tale pericolo, fino ad arrivare a chiudersi in casa e a non voler vedere nessuno.
Vari sono i meccanismi di difesa che il soggetto mette in atto per controllare l’ansia, l’angoscia e la paura.

I giovani vivono il conflitto esistenziale su tre dimensioni.
La prima riguarda la lotta per il riconoscimento, sia sul piano verticale – essere riconosciuto dal padre, dalle figure di autorità – , sia sul piano orizzontale – essere riconosciuto dai pari – .

Una seconda dimensione ha a che vedere con il processo di differenziazione dalla famiglia di origine per arrivare ad una forma di autonomia psicologica, emotiva, economica e sociale.

Terza dimensione, l’inserimento nel mondo del lavoro e dell’affermazione personale attraverso la capacità di collocarsi nella società con un proprio progetto di vita.

Negli ultimi anni l’aumento degli attacchi di panico da parte di giovani è legato al passaggio da una posizione quasi di sonnolenza nei confronti della realtà ad un risveglio che si verifica quando un soggetto si rende conto delle difficoltà dell’esistenza stessa, delle sfide che la società gli pone e soprattutto quando prende coscienza che è solo a dover fronteggiare le sfide che vive come pericoli.

Nell’antica Grecia i giovani venivano educati per affrontare la guerra; c’era sempre un maestro che accompagnava ogni giovane nella sua crescita. Ad esempio, Alessandro Magno doveva essere preparato per essere un generale, ed ha avuto come tutore Aristotele.
Quando la struttura familiare si trova in difficoltà ad educare i figli e ad accompagnarli nel processo di autonomizzazione, e le istituzioni sono anche carenti nell’accogliere e sostenere questi ragazzi, essi si trovano senza la possibilità di avere un sostegno per collocarsi in una propria posizione nella società.
Ciò che in sostanza è fondamentale che il giovane raggiunga è la”posizione”, come una percezione di sé come un punto a cui tornare quando si crea uno sbilanciamento.
Questa “posizione” corrisponde alla posizione che recupera il danzatore dopo che si è proteso a movimenti che lo portano a sbilanciarsi.
Quando il soggetto non raggiunge la posizione, crolla.
Deve essere un altro a correggerti per condurti a conquistare e a costruire la posizione.

La scena della crisi di panico

L’attacco di panico non è un fenomeno isolato; lo troviamo anche correlato ad altre manifestazioni cliniche. Esso attraversa i diversi livelli sociali, di potere e di cultura.
Risulta quasi buffo che soggetti che occupano posizioni di rango e responsabilità o capi di bande di criminali o intellettuali di alto livello soffrano di attacchi di panico e si sentano alla mercé della volontà di un altro, vissuto come un persecutore o come un essere capace di burlarsi nel vederlo umiliato e tremante.

Ventitre anni, un Ragazzo racconta dei suoi attacchi di panico che soffre quando prende un pullman e soprattutto la metro. Affronta tali attacchi bevendo un po’ di vino da una bottiglia che tiene a portata di mano in uno zainetto.
L’alcoolista davanti al nemico si bamboleggia, diventando un bersaglio mobile impossibile da colpire. Può arrivare a cadere, e a fare il morto.

In una situazione di crisi provocata da un fenomeno naturale come un terremoto, un’ alluvione, un’eruzione vulcanica, o da una guerra, subentra la paura di morire di fame, di sopravvivere e di non avere cibo.

L’anoressica è capace di affrontare la paura della fame prescindendo dal cibo; non ha bisogno di cibo, è allenata per affrontare la carestia. Inoltre, l’anoressia è anche una kamikaze, uccidendosi riesce a colpire più di un nemico, ad esempio i propri familiari.
Il bulimico accumula cibo in eccesso, al punto da dover buttare il cibo messo da parte perché scaduto.
Il giocatore d’azzardo davanti alla paura del futuro, attraverso il gioco domanda se la fortuna gli sarà favorevole o sfavorevole. Ma non si ferma in ognuno dei due casi, sia che trovi la situazione favorevole che sfavorevole deve continuamente proseguire a consultare l’oracolo.
Il cocainomane usa la sostanza per affrontare in forma onnipotente il pericolo, buttandosi nella mischia, sentendosi talvolta il dio vendicatore.
L’eroinomane si mette di lato con la sua siringa che sventola come la bandiera bianca della resa, pensando che il nemico avrà pietà di lui.

Il soggetto che soffre di attacchi di panico anche lui attraverso i sintomi disorganizzati crede di disarmare il nemico, che rimane bloccato senza possibilità di sferrare un attacco decisivo.

Pensare la psicopatologia secondo i meccanismi di attacco è recuperare la capacità di azione di scelta che ha ogni soggetto nei confronti del nemico, non è un soggetto passivo che subisce gli attacchi sferrati dall’altro, ma un soggetto attivo che utilizza delle armi che in tanti casi danno esiti positivi all’economia psichica del soggetto e visti da fuori sembrano delle sconfitte. Si tratta di aiutare il soggetto ad usare altri tipi di armi più adeguate alla fonte del pericolo. Di solito davanti ad un topo un soggetto usa un mitra, poi quando si trova davanti ad un leone gli rimane soltanto una fionda.

L’attacco di panico come strategia di sopravvivenza è l’estrema azione che può compiere il soggetto che si sente in posizione vulnerabile davanti ad un potere non chiaramente individuabile, senza un volto preciso.
Persone che soffrono di questi attacchi raccontano di immaginare delle scene in cui svengono, impazziscono o sentono di morire in quanto viene loro a mancare quello scudo di protezione, che può essere, nel caso di alcuni adolescenti il padre che li abbandona o che scoprono fragile e malato, il gruppo ristretto degli amici che si disperdono per scelte differenti o dai quali si sentono traditi, lo sport che era stato l’obbiettivo assoluto della propria affermazione e che delude per la sua stessa inconsistenza, o che non serve più come strumento di aggregazione fusionale sottostando ai criteri del tifo violento e della strumentalizzazione di mercato.

Nella attuale situazione di crisi economica non si riesce a individuare con precisione quali sono i nemici che stanno manipolando la nostra sicurezza presente e il nostro futuro incerto.
Da una parte esiste la volontà di aggregazione; lo testimonia la crescita esponenziale dei networks, ma ciò non basta a riempire quel vuoto e quella solitudine di ciascuno davanti a situazioni-limite, trattandosi di relazioni virtuali distanti e prive di quel collante affettivo che deriva dalla presenza reale.

Il soggetto crede che, attraverso gli attacchi di panico, può far impazzire il nemico, trascinarlo dalla sua parte e bloccarlo. Ciò può avvenire per via del processo mimetico – o di imitazione – che contagia l’altro, come quando l’attore interpreta un personaggio e lo spettatore si identifica in esso e lo vive come suo.
Il meccanismo mimetico è alla base della danza: qualcuno inizia a danzare e tutto il gruppo a sua volta comincia a danzare. Si tratta di un meccanismo contagioso.
Negli attacchi di panico esiste il rischio – dato che emerge la paura e l’ansia – di provocare l’effetto opposto: il nemico si accanisce con la persona debole, come lo fa il cane quando vede una possibile vittima preda della paura.
Il registro mimetico della mimesi resiste all’apparato critico della ragione, serve a poco voler tranquillizzare il soggetto in preda della crisi mediante la logica, la ragionevolezza. Alle tecniche usate con successo da parte degli esperti, la vicinanza di un altro significativo può rassicurare il soggetto in crisi, questa vicinanza non necessita il ricorso alle parole ma si avvale della capacità di mantenere da parte del “soccorritore” la propria posizione. Di solito, davanti una persona in preda dell’attacco di panico, lo spettatore si agita e temendo il peggio, agisce disordinatamente, venendo così ad complicare la scena critica. Superata questa fase si può iniziare un percorso di cercare di individuare le credenze, il blocco immaginario, il fantasma che si trova alla base di un comportamento apparentemente incomprensibile. Nessuno può ritenersi indenne di provare nella vita degli attacchi di panico, questo ci rende vicini a chi si trova in una situazione critica, in quanto siamo in grado di capire la sofferenza dell’altro.

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