ISTITUTO SUPERIORE SANITA
Io diviso/io riunito

recensioni, commenti e segnalazioni

Anna De Santi e Giovanni Laviola
2002 Ann Sup. Sanità

IO DIVISO/IO RIUNITO. Per una psicoetica dell’operatore sociale. Autore Francisco Mele.
Milano: FrancoAngeli Editore; 2001. 262 p. ISBN 88-464-3047-6. Ä 20,66.

È raro incontrare il piacere di una “lettura di crescita” come quella che ci permette di fare Francisco Mele interrogandosi sul compito dell’operatore sociale che, con gli strumenti della filosofia, della psicoanalisi e della pedagogia, cerca di recuperare un metodo di riflessione e un modello di vita coerente per chi è solito prendersi cura dell’altro.
Di fronte alla caduta delle ideologie, alla frantumazione delle regole che ha ormai invaso globalmente il nostro mondo e ha portato alla frantumazione del sé, a colui che si trova ad agire come operatore psicosociale non resta che cercare di riunire l’io diviso, cercando di trovare un modo di ricostruirlo come soggetto capace di rapporto con l’altro senza perdere la propria individualità. Partendo dal presupposto che anche la cura di sé non vada trascurata, né debba essere eccessiva, per non perdere di vista la richiesta di aiuto dell’ altro, l’ autore ci offre un viaggio verso l’interiorità che aiuta gli educatori, gli operatori sociali, gli studenti all’uscita da un malessere sociale e da una attuale crisi di valori. Ma questa sorta di faticoso e individualistico percorso non può prescindere dall’avere come elementi fondanti i principi dell’etica, della morale e della giustizia, che nonostante la caduta delle ideologie e la frantumazione degli altri ideali politici, rimangono come insostituibili punti di riferimento dell’agire umano.
Questo testo si propone, tramite il ricorso alla filosofia, come un tentativo di recuperare un metodo di riflessione interdisciplinare rivolto a coloro che nelle istituzioni si
trovano ad agire come operatori psicosociali. Si intende riflettere sul cambiamento della persona in cura, ma anche sul cambiamento di colui che opera la cura. In particolare nella prima parte del libro, l’autore attraverso il filtro della propria esperienza trentennale di lavoro presso istituzioni psichiatriche, carcerarie, didattiche e di comunità terapeu- tiche affronta le responsabilità dell’operatore sociale nei confronti del disagio giovanile.
Attraverso un’analisi dei problemi associati alle varie dipendenze (tossicomania, anoressia-bulimia, gioco d’azzar- do, accentramento di potere) l’autore affronta quello che è poi il tema centrale della sua ricerca pluriennale, cioè il disagio giovanile. Si propone, riguardo la psicopatologia, un approccio non strettamente clinico, ma che riguarda la persona nel suo complesso. Il ruolo dell’operatore è quello di rimettere la parola in movimento: “Il luogo della terapia diventa il luogo dell’ascolto dove il soggetto in cura non è un soggetto in ostaggio ma un ospite ospitato da un altro ospite che cerca di creare le condizioni perché si realizzi il racconto”.
Quando il soggetto riprende l’uso della parola, diventa protagonista e quindi capace di lasciare tracce di sé. Attraverso l’azione dell’operatore (che “sa parlare e sa tacere quando è necessario”, secondo la formula di Socrate nel “Fedro”) la parola che è bloccata nel sintomo, viene rimessa in circolazione. Nell’ambito della società, tra quanti non hanno luogo e parola ci sono i tossicodipendenti. Questi si caratterizzano per la difficoltà, che subito manifestano, di mantenere la parola data. Come Socrate, l’operatore deve dare la parola a chi è incapace di mantenere quella stessa parola. Dare la parola, far parlare l’altro è una funzione che si sviluppa nel rituale senza tempo e senza luogo dello spazio terapeutico.
In una sorta poi di simposio platonico in cui è articolata la seconda parte del libro, trovano un luogo di discussione virtuale un certo numero di intellettuali che scavalcando schematismi di appartenenza e ciascuno per il proprio campo (economico, pedagogico, filosofico, sociologico, antropolo- gico, giuridico, medico e religioso) si adoperano a recuperare quell’ elemento dell’ agire “buono” che pare restringersi e nascondersi di fronte all’invadenza del successo esteriore, della logica del profitto, della trasgressione e della violenza come unici valori riconosciuti. Attraverso questo panorama di esperienze si delinea una visione della funzione dell’operatore psicosociale, e si mette in evidenza l’impor- tanza della triade dell’etica, della morale e della giustizia secondo una riflessione filosofico-terapeutica. In questo modo viene consentita un’ampia gamma di scelte in rela- zione alle situazioni in cui ci si trova ad agire. Secondo questo approccio, emerge la necessità di volgere lo sguardo nella maniera più vasta ed articolata possibile rispetto alle esigenze di rigenerazione laddove la funzione dell’operatore non è più sufficiente, e dove l’antico problema della droga si è mescolato ad altri drammi, intervenuti non solo come sua conseguenza ma anche come sintomi di una società in crisi. Appaiono quindi di varia natura per caratteristiche e finalità i modelli emersi in relazione alle nuove forme di disagio giovanile e al ruolo svolto dagli operatori psicosociali.
Per applicare la teoria all’agire quotidiano, ripresa da Ricoeur che crede nella validità della filosofia se capace di influenzare le azione umane, l’autore presenta, nella terza parte, una riflessione su due casi esperienziali che rendono il libro completo e capace di riportarlo, nella grande realtà della vita.

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