IL VOLTO DELLA CROCE

SE NON VEDI IN UN ALBERO L’INTERA  FORESTA NON VEDI Né L’ALBERO

Né   LA FORESTA” (Raimon Panikkar)

Francisco Mele

SE NON VEDI IN UN UOMO L’INTERA UMANITà NON VEDI Né L’UOMO Nè L’UMANITà

Ciascuno di noi viene invitato a portare la sua croce, metafora diffusa nel popolo perché “portare la croce” significa assumere la sofferenza insita nella stessa vita.

Che cosa significa la croce di cui ciascuno deve assumersi il peso?

Se la croce è molto pesante, chi deve portarla ne rimane schiacciato, e quindi viene meno la metafora, perché una persona schiacciata a terra non è in grado di portare niente .

Nel Vangelo, Simone il Cireneo aiuta Cristo a portare la croce: ciascuno di noi ha bisogno che qualcuno lo aiuti a portare la sua croce, ma certi rifiutano l’aiuto.

Allo stesso modo dovremmo renderci conto della situazione in cui possiamo noi aiutare qualcuno oppure lasciarlo sprofondare.

Il valore della croce ha una forte valenza simbolica nella cultura di tradizione cristiana: in essa il piano verticale collega la dimensione del cielo con quella della terra, o la luce con le tenebre, la spiritualità con la carnalità;

il piano orizzontale rappresenta le braccia con cui l’uomo circonda il mondo.

IL QUADRIPODO ESISTENZIALE

Il corpo inteso come il tempio dello spirito e non la sua prigione.

Da anni sto lavorando, sia nell’ambito della psicoterapia che come docente, a sviluppare uno schema che ho definito il “quadripodo esistenziale”:  esso ha la forma di una croce, in cui il piano verticale e il piano orizzontale si incrociano a diversi livelli secondo la storia di ciascuno.

L’asse verticale riguarda il rapporto asimmetrico tra il soggetto in posizione di dominio e il soggetto in posizione inferiore: in Hegel è la dialettica rappresentata dal rapporto servo/padrone.

In sintesi, lo schema rappresenta il rapporto di una persona all’interno della gerarchia sia in posizione di subire il potere sia in posizione di comando.

L’asse orizzontale riguarda il rapporto intersoggettivo allo stesso livello tra fratelli, amici, colleghi, compagni di scuola o di giochi ecc.

Lo schema della croce viene presentato in tre figure che si sovrappongono senza annullarsi l’una con l’altra.

Nella prima figura la persona si confronta con sé stesso, con la sfera intima familiare, quella del mondo dell’amicizia o dell’inimicizia.

Nella seconda figura si ripercorre la sfera intima ma nella configurazione che riporta alle case, come il soggetto ha vissuto all’interno delle case dei genitori, quali sentimenti evocano; il rapporto con le proprie case; come ha vissuto in relazione alle case degli altri.

Nella terza figura si indaga sul rapporto del soggetto con le istituzioni, soprattutto quelle che sono intervenute nella costruzione della propria identità, come la scuola, l’università, il lavoro, la parrocchia o altro luogo di culto e di incontri giovanili.

Queste istituzioni possono essere definite come “fornitrici di identità”

Nello spazio delle istituzioni vengono evidenziate con più forza i luoghi del sé e i luoghi del non-sé.

Nei primi il sé realizza un proprio progetto nell’ambito di un progetto sociale istituzionale.

Nei secondi luoghi il soggetto viene invece sottomesso e talvolta ingiustamente penalizzato.

Questa  figura terza ripropone la triade dell’etica della personalità definita da Ricoeur come “la stima di sé, l’incontro con l’altro all’interno delle istituzioni giuste”.

 

Il quadripodo esistenziale comprende quattro quadranti.

Uno dei  due quadranti superiori – il destro – è riempito dalle persone che ci hanno aiutato a portare il peso della nostra croce: è una galleria di volti positivi della nostra storia.

L’altro dei due quadranti superiori – il sinistro – porta i volti delle persone che hanno cercato di rendere più pesante la nostra croce.

Dei due quadranti inferiori – il destro –  uno porta le persone con cui riusciamo a collaborare, stabilendo un rapporto di amicizia e di solidarietà.

Nel quadrante di sinistra stanno i volti delle persone con cui viviamo un rapporto conflittuale legato alla competizione, alla rivalità, allo sviluppo di sentimenti negativi di odio, rabbia, invidia, gelosia ecc.

In questo schema il soggetto si trova all’incrocio dei due assi in cui, in posizione geometrica, l’incrocio avviene a livelli diversi: più alto, più basso rispetto all’asse orizzontale, più a destra,  più a sinistra rispetto a quello verticale.

La diversa altezza degli assi dipende dall’atteggiamento delle persone che hanno aiutato o contrastato il nostro percorso, in numero maggiore o minore rispetto al positivo o al negativo.

Anche le istituzioni vanno considerate in questo quadripodo esistenziale, oltre alle persone.

Nelle istituzioni si verificano situazioni di ingiustizia che portano forti sofferenze, al punto che ci si ammala per le ingiustizie subìte.

Spesso dipende dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti rendere più pesante la croce che portiamo. Siamo noi stessi, a volte, a cercare persone della cui negatività siamo consapevoli, o entriamo in situazioni in cui ci imprigioniamo invece di liberarcene.

Il lavoro teorico-pratico consiste nell’assegnare dei volti alla croce.

Lo schema del quadripodo esistenziale ha un supporto teorico che parte dalla filosofia del riconoscimento/misconoscimento sviluppata soprattutto dalla scuola di Francoforte attraverso Jurgen Habermas e in particolare Axel Honneth, dagli apporti di Paul Ricoeur ed Emmanuel Lévinas per quanto riguarda le istituzioni e il tema del volto, e René Girard  per i temi della rivalità e della competizione.

Per la teoria dei sentimenti e dell’intelligenza emotiva faccio riferimento a Martha Nussbaum,

e per la teoria pulsionale e del desiderio tengo conto dei contributi di Jacques Lacan.

Ogni soggetto affronta la sfida tra asse verticale e asse orizzontale.

A livello spirituale l’asse verticale mette in contatto il divino con l’umano.

A livello psicologico l’asse verticale mette in contatto la sfera delle idee, dell’intelletto, dell’anima con la sfera istintuale o delle pulsioni.

L’asse orizzontale riguarda il rapporto tra il soggetto e gli altri.

Questi due assi – orizzontale e verticale – non possono essere disgiunti in quanto il rapporto con il divino, con il livello spirituale passa attraverso il rapporto con gli altri.

Lo schema che abbiamo presentato nel quadripodo esistenziale cerca di portare alla coscienza l’insieme delle dinamiche che si realizzano in ogni individuo in tutte le circostanze della sua esistenza.

Se predomina l’asse verticale, schiacciando quello orizzontale sul basso, il soggetto rischia di vivere in un mondo surreale, fantastico, illusorio.

Se invece l’asse verticale viene eliminato, la vita del soggetto diventa arida, intrascendente, incapace di immaginare un mondo diverso dal quale si trova sottomesso.

L’ASSE VERTICALE cerca di portare alla luce il rapporto con l’autorità – la dimensione gerarchica –  sia che il soggetto si trovi a vivere in posizione di sudditanza sia che sia lui a occupare la posizione di autorità. Il rapporto con il potere, la gerarchia, lo status costituiscono, secondo Martha Nussbaum, le variabili che condizionano le nostre instabilità emotive, la vulnerabilità dell’io e l’autostima.

INOLTRE L’asse verticale mette in contatto l’intelligenza etica che riguarda il rapporto del soggetto con le cose con gli altri e con se stesso.

L’intelligenza etica articola la relazione tra l’intelligenza cognitiva, quella relazionale e l’intelligenza emotiva.

Le patologie dell’intelligenza etica costituiscono un quadro clinico che ho definito il disturbo etico di personalità. Quando il soggetto è incapace di percepire la logica intellettuale ed emotiva dell’altro, l’importanza della cura dell’ambiente e la cura di sé: nei suoi aspetti psichici, fisici e spirituali.

L’intelligenza etica fa riferimento all’intelligenza spirituale sviluppata da un grande teologo come Henri de Lubac e gli apporti di Paul Ricoeur sulla logica della sovrabbondanza propria alla base dell’intelligenza spirituale.

Questa logica si presenta come una antilogica. Dio perdona il grande peccatore oppure nella espressione “dove c’è il peccato c’è la grazia”. Inoltre la troviamo alla base dell’amore incondizionato verso qualcuno che ci ha fatto del male, come nel caso dell’espressione “amare il nemico”.

La forza e l’intelligenza spirituale possono arginare l’angoscia provocata dalle vicissitudini negative sul piano fisico, psichico e relazionale.

L’intelligenza spirituale si avvicina al pensiero di Victor Frankl che ha dimostrato con la sua esperienza in campo di concentramento che il trovare senso alla vita costituisce la forza per superare condizioni di vita considerate disumane.

La stessa forza spirituale l’hanno avuta Emmanuel Lévinas e Paul Ricoeur che in un carcere tedesco durante la seconda guerra mondiale sono stati capaci di non cedere allo sconforto e di poter l’uno e l’altro scrivere, pensare e reagire.

L’intelligenza spirituale comprende le azioni e il pensiero di una persona che trova nell’arte o nella religione una via per poter esprimere e realizzare se stesso, oppure dare parola a coloro che non hanno possibilità di prendere la parola per esprimere la propria sofferenza.

Pierre Hadot definisce l’esercizio spirituale “come una pratica volontaria, personale, destinata a operare una trasformazione dell’individuo, una trasformazione di sé (… ) una preparazione alle difficoltà della vita molto in auge presso gli stoici. Per poter sopportare i colpi della sorte, la malattia, la l’povertà, l’esilio, bisogna prepararsi con il pensiero alla loro eventualità. SI SOPPORTA MEGLIO Ciò CHE CI SI ASPETTA”. Questo esercizio ricorda sempre Hadot era presente prima tra i greci in Anassagora e poi ripreso da Euripide. Nel Fedone Platone sostiene che “Filosofare è esercitarsi a morire”. (La filosofia come modo di vivere. Einaudi, To, 2008. pag. 119)

Sul quadrante destro superiore sono rappresentati i volti delle persone che in posizione di autorità hanno incoraggiato, sostenuto, riconosciuto il soggetto: i volti riconoscenti o rassicuranti.

Essere consapevoli che esistano persone di questo tipo significa riconoscere che la storia del soggetto non si crea autonomamente, ma fruisce del contributo di altre persone dalle quali ha attinto per la sua formazione. Ne consegue che si deve riconoscere di essere in debito con chi è venuto prima di noi o anche in parallelo con noi avendo la capacità di incidere sul percorso della nostra esistenza.

È inoltre importante che il soggetto sia consapevole degli effetti della propria azione quando occupa una posizione dominante nei confronti di altri: se è stato capace di indirizzare la vita di un altro verso la sua realizzazione, oppure ne è diventato un ostacolo, sbarrando un percorso di realizzazione personale o collettivo.

Sul quadrante sinistro superiore si collocano i volti delle persone che hanno assunto una posizione di impedimento per la nostra crescita: i volti misconoscenti.  Queste persone hanno inferto volontariamente o no al soggetto delle ferite che hanno condizionato la costruzione della sua identità suscitando in lui sentimenti di paura, rabbia, frustrazione, odio ecc.

La figura misconoscente genera umiliazione, mortificazione e affanno del sé.

Occorre valutare la percezione del soggetto nei confronti delle persone ritenute negative.

Il senso di giustizia ha un aspetto soggettivo per cui, se l’altro che io ritengo negativo, invece è giusto, può essere vissuto come una ferita narcisistica inflitta ingiustamente.

La vulnerabilità dell’io o l’autostima di sé non sempre rende il soggetto capace di valutare positivamente o negativamente l’altro. È quindi importante costruire un altro quadripodo esistenziale, ad esempio dopo un anno di terapia: perché, cambiando l’angolo di osservazione a causa di una maturazione e della capacità di analisi su di sé, quei volti possono essere spostati da un quadrante all’altro.

Un’analisi dell’asse orizzontale pone il soggetto nella condizione di rapportarsi con le figure che ha incontrato nella vita in posizione amichevole oppure vissute come nemiche. A questo livello si tiene conto di un rapporto interpersonale con figure che transitoriamente si trovano sullo stesso piano, ma che possono mantenere una posizione di transizione fra gerarchia asimmetrica        e posizione simmetrica. i rapporti di coppia, ad esempio, possono essere instabili quando uno dei membri della coppia pretende di sottomettere l’altro.

Rapporti interpersonali che si muovono sullo stesso piano sono mutevoli quando avvengono situazioni o in contesti variabili. Due amici quando devono affrontare un concorso possono diventare avversari o uno di loro passare a una posizione superiore o inferiore in una gerarchia che può essere temporanea o stabile. Oppure in un  rapporto di coppia che si presenta armoniosa finché non diventa triadica con la nascita di un figlio sbaragliando in questo modo il piano orizzontale per diventare instabile tra verticale  e orizzontale.

L’idea di essere coautori della propria storia e della storia degli altri permette al soggetto di osservare il suo modo di agire nel mondo.

Se analizziamo il quadrante destro inferiore – dove vengono inseriti i volti delle persone con cui si è stabilito un rapporto di collaborazione, di solidarietà e anche di amicizia –, secondo la quantità e l’importanza attribuita a questi volti si delinea nella personalità del soggetto una maggiore o minore capacità di intelligenza relazionale. Da tale analisi emerge se il soggetto agisce secondo la logica del calcolo, in cui l’altro diventa strumento e mezzo per realizzare i propri obbiettivi, oppure emerge se l’altro è visto come essere alla pari per realizzare un comune obbiettivo, o ancora se è un soggetto a cui prestiamo la nostra collaborazione per un suo obbiettivo.

Nel quadrante inferiore sinistro – il quadrante della conflittualità – dove vengono collocati i volti delle persone con cui il soggetto vive un rapporto di competizione, rivalità, scontro – predomina la logica del calcolo in forma reciproca: sono le figure che creano ostacoli sbarrando la strada a chi a sua volta la sbarra a loro: il soggetto si sente minacciato dall’altro e attiva strategie di combattimento per neutralizzare, ferire, annientare chi viene vissuto come nemico e che reciprocamente lo sente tale.

Un’attenta analisi permette al soggetto di comprendere i meccanismi di difesa e di attacco alla base di quello che ho definito la “polemologia quotidiana”.

La figura del nemico si pone come organizzatore esistenziale oppure come organizzatore emotivo, attivando quindi quelle energie che lo fanno sentire vivo. Avere un nemico o tanti nemici costituisce per il soggetto una ragione o uno stimolo esistenziale: serve a compattare il sé quando è in crisi e a giustificare i propri fallimenti quando si innescano i meccanismi di competizione all’estremo.

I sentimenti negativi predominanti in un soggetto si mostrano con più intensità in questo quadrante, soprattutto per quanto riguarda invidia, gelosia e rabbia.

L’invidia ha a che vedere con l’impulso a occupare un posto di privilegio tenuto da un rivale, oppure a impadronirsi dell’oggetto che l’altro possiede.

La gelosia rappresenta la paura che l’altro desideri di prendere il mio posto o di possedere qualcosa che mi appartiene.

La rabbia, considerata come un sentimento di reazione per un’offesa subìta, può innescare o accrescere il conflitto in rapporto sia con le figure di autorità, sia con quelle alla pari.

La figura della croce permette di sviluppare i sentimenti di gentilezza e di comprensione e soprattutto ha un valore positivo quando si tratta di raggiungere la posizione di dare o ricevere il perdono e di elaborarne il concetto per guarire dalle ferite subìte nei rapporti con gli altri, ristabilendo un processo di riconciliazione necessario a superare le tendenze  auto ed etero distruttive.

Verbalizzare il sentimento di rabbia contro un altro che ci ha offeso oppure pentirsi di aver recato danno a un altro è un primo passo per uscire dalla dinamica che “avvelena” i rapportI interpersonali.

I carnefici dei regimi totalitari non provano pentimento né chiedono perdono perché sono convinti che la vittima meriti l’offesa in quanto portatrice di pestilenze, guerre, disastri cosmici, e sia capace di distruggere la propria comunità. La disumanizzazione o degradazione della vittima consente al soggetto che reca danno a un altro di sentirsi a posto con la propria coscienza.

Nel pensiero ebraico e in quello cristiano l’offesa a un altro essere umano è un’offesa a Dio.

I sentimenti di rabbia e di perdono sono diversi se la rabbia o il perdono riguardano una persona o un’istituzione sul piano gerarchico o se sono legati a rapporti interpersonali simmetrici.

Martha Nussbaum differenzia i rapporti interpersonali della sfera intima da quelli della sfera di mezzo. I sentimenti legati alla sfera intima – come la rabbia, la gelosia, l’odio – hanno un effetto e una forma di manifestarsi diversa rispetto a quando tal sentimenti negativi vengono espressi nell’area di mezzo che riguarda i nostri rapporti con persone che non abbiamo scelto e con cui ci rapportiamo nel vivere quotidiano.

La sfera di mezzo corrisponde in parte al mio concetto relativo ai rapporti della sfera

dell’inter-anonimato. Ciascuno di noi vive nel quotidiano in ambiti istituzionali, in luoghi definiti anche non-luoghi da Foucault e successivamente da Marc Augé. In questi spazi possono manifestarsi delle tensioni, delle offese, delle aggressioni che scatenano dei sentimenti che inducono all’indignazione.

LA CASA DEL PADRE

Lo schema del quadripodo viene letto anche da un altro punto di vista che riporta il soggetto a confrontarsi  con i sentimenti che riguardano le case: la casa del padre, LA CASA DOVE SONO NATO, la nostra casa, la casa dei figli o degli amici, o dei nemici.

La casa domestica è stata oggetto di riflessione per Lévinas che ha elaborato il concetto di dimora.

La dimora rappresenta lo spazio in cui l’essere può uscire dal vivere quotidiano per raccogliere se stesso. È importante avere un luogo dove l’essere possa riposare, togliersi l’armatura indossata per affrontare il combattimento quotidiano, mettere quindi da parte le armi.

Se la dimora è un luogo insicuro, sopravvengono i mali dell’esistenza – l’insonnia, la nausea, la pigrizia – in quanto il soggetto si sente minacciato dall’esterno e dall’interno – la paura di essere sopraffatto dagli incubi che gli impediscono di dormire o la paura di non svegliarsi più.

Lo schema permette di dialogare con le case dove si è vissuto investendo in esse il proprio sé.

Lasciare una casa è un processo che implica tutti i sentimenti legati al lutto, simile in alcuni casi alla perdita di persone care, e alla conseguente perdita delle case fino ad allora frequentate.

Per un credente la casa del padre è rappresentata dal luogo dove prega o medita, soprattutto il luogo del culto.

Nel momento del silenzio della preghiera il soggetto si raccoglie su sé stesso e stabilisce un’unità con Dio.

Un rapporto con la propria casa significa essere stato in grado di governare l’esistenza scegliendo quel luogo particolare da dove partire e ritornare ogni giorno.

La casa è anche un luogo di rapporti interpersonali che se sono positivi e armoniosi creano un clima di dimora. Se diventano rapporti conflittuali, la casa si trasforma in una prigione.

La casa viene investita emotivamente: in termini psicanalitici l’investimento riguarda la libido o energia psichica.  È per questo che in essa si riflette la personalità dei componenti che vivono quella dimora. Ordine e disordine fanno emergere conflitti latenti o lotte esplicite.

Nella casa perfino i profumi rivelano l’anima che circola in uno spazio del vissuto.

I ricordi delle case sono anche legati agli odori che rimandano al tipo di cibo consumato, agli aromi delle essenze, degli alcoolici, delle piante, delle biancherie.

La presenza di animali un tempo vissuti nella casa è richiamata da qualche odore, o elemento usato per loro.

La casa vissuta è iscritta nella storia e nel romanzo familiare di ciascuno.

I ricordi della casa come dimora sono molto diversi rispetto a quelli legati a momenti di contrasti, battaglie verbali e fisiche che hanno spinto tanti a fuggire dalla propria abitazione cercando di trovare luoghi più sereni in cui andare a vivere.

Per alcuni la casa è diventata il bunker dove difendersi dalle minacce del mondo esterno.

In  questa condizione vivono i ragazzi definiti “Hikikomori” che letteralmente significa coloro che si mettono in disparte, e si isolano dal resto della società, rimanendo ancorati esclusivamente al computer e ad ogni sorta di utilizzo online.

Questi “monaci” del digitale non seguono la linea della ricerca spirituale, ma alimentano piuttosto i sentimenti di rancore, rabbia, paura verso gli altri.

IL RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI

Una terza dimensione dello schema comprende il rapporto con i luoghi in cui l’essere trova l’ambito necessario per la sua realizzazione oppure incontra l’ambito del suo annichilimento.

Il passaggio dall’io-famiglia all’io-istituzionale prevede una distanziazione che riguarda il terzo inteso come discorso giuridico che rende ogni individuo capace di assumere dei ruoli nell’asse dell’ordine gerarchico e nell’asse dell’ordine simmetrico.

Un bambino a scuola impara a situarsi nel ruolo di studente, allievo, scolaro oppure potrà in un tempo a posteriori diventare insegnante, maestro, professore, direttore ecc.

I siti dell’organizzazione del lavoro dove il sé scopre le dinamiche di un’interazione di contrasto o di collaborazione permettono al soggetto di sperimentare i sentimenti propri dell’essere comandato o i sentimenti che emergono in posizione di comando.

Nella triade dell’etica della personalità Ricoeur individua il luogo istituzionale come luogo privilegiato dell’incontro con l’altro, che ha un effetto di crescita o di declassamento del sé. (Martha Nussbaum).

La triade dell’etica della personalità definita come “il senso di autostima, l’incontro con l’altro, all’interno di istituzioni giuste” è all’interno delle istituzioni dove il soggetto incontra la giustizia e tutti i sentimenti derivanti da tale incontro.

Il soggetto si può ammalare di ingiustizia. Nel mondo del lavoro in senso classico, dove la persona passa più tempo con i colleghi che non ha scelto piuttosto che con amici o addirittura familiari, avvengono tutte le dinamiche che abbiamo descritto sia in senso verticale che orizzontale.

Queste dinamiche si verificano nella zona di mezzo – secondo la terminologia della Nussbaum – o nello spazio da me definito dell’inter-anonimato oppure i luoghi del non-sé.

Anni di interazione con colleghi, compagni di scuola, superiori ecc. non significa aver superato il limite che ognuno porta quando si trova in mezzo agli altri.

Il lavoro di indagine è cercare di capire il rapporto con le istituzioni in cui si è trovato a vivere.

L’istituzione è una fornitrice di identità quando questa occupa tutto lo spazio mentale e spirituale di un soggetto. In questo caso si corre il rischio della fusione simbiotica tra io e istituzione.

È allora il caso in cui l’istituzione si converte in un organizzatore esistenziale.

La dipendenza dall’istituzione ha un effetto addirittura sul proprio corpo.

                              AREA ETICO-SPIRITUALE

L’area etico-spirituale comprende l’articolazione tra le intelligenze costitutive del soggetto in relazione con gli altri, con le cose e con se stesso.

Lo schema prevede una percezione, da parte del soggetto che lo legge, di analizzare le diverse intelligenze che fanno parte dell’AREA etico-spirituale, che si esprime nell’attività del lavoro, dell’arte, della religione.

Le intelligenze sono:

l’intelligenza relazionale;    l’intelligenza emotiva;   l’intelligenza cognitiva;   l’intelligenza pratica e  l’intelligenza spirituale.

                    IL POLIEDRO DELLE INTELLIGENZE

 

SE NON VEDI IN UN UOMO L’INTERA UMANITA NON VEDO Né L’UOMO Nè L’UMANITà

 Il poliedro è una figura geometrica che permette di articolare le diverse intelligenze senza considerarne una superiore all’altra.

Nel nostro caso la figura pentagrammata articola l’intelligenza spirituale con quella cognitiva o teorica includendo implicitamente l’intelligenza pratica, relazionale ed emotiva.

Questa figura geometrica è stata usata da Papa Bergoglio per dimostrare la necessità delle differenti culture senza pensare al dominio di una di esse sulle altre.

Cominciare a descrivere l’intelligenza spirituale non significa privilegiarla.

L’intelligenza spirituale secondo il teologo Henri de Lubac è quella intelligenza che riesce a distinguere ad esempio tra lo spirito della legge e la legge presa alla lettera.

La legge intesa nella sua scrittura giuridica può diventare arida e ingiusta se non viene inserita in un contesto particolare dove si tiene conto della complessità delle forze presenti in campo.

Per essere considerata giusta o ingiusta, una legge deve essere confrontata con dei principi etici universali, come il principio di non uccidere, della libertà e della responsabilità.

Adeguare la legge ai principi universali e tener conto del contesto particolare implica nel nostro caso un’analisi che mette in moto l’intelligenza spirituale.

Lo spirito della legge deve attenersi alla scrittura della legge per non essere arbitraria.

L’intelligenza spirituale non è prerogativa di una o più religioni. Si può essere atei e non per questo essere privi di intelligenza spirituale. Esempi come quello di Hawking rimandano alla forza spirituale che ha permesso a questo scienziato di affrontare la sua malattia senza arrendersi.

Il concetto di resilienza risulta insufficiente per descrivere la forza spirituale.

Questa forza la troviamo anche in persone a cui è stata diagnosticata una morte imminente, e che hanno lottato superando la previsione vivendo molti anni in più.

Victor Frankl, psicoterapeuta fondatore della logoterapia, nel suo libro “Uno psicologo nel lager” riporta la sua esperienza in un contesto disumano e privo del tutto di libertà. Tale situazione costrittiva non ha soffocato lo spirito di Frankl. Egli racconta che lo ha salvato il senso della vita, una forza tale da consentirgli di affrontare la spaventosa situazione del lager sia per sopravvivere lui stesso, ma anche per infondere nei compagni quella stessa forza spirituale.

In sintesi,

 

l’intelligenza spirituale si esprime nella sfera simbolica che comprende i valori che sostengono , i principi dell’etica, della morale e della giustizia.

L’intelligenza spirituale rappresenta anche la capacità di una persona di uscire da sé e di vedere sé stesso dal di fuori secondo la logica dell’altro.

La risposta che ciascuno si da nei confronti della morte, del senso della vita e del passaggio del tempo.

Poter comprendere il rapporto del soggetto con l’altro, con le cose – mondo materiale – e il sé stesso creano il movimento e la forza che uniscono l’uno con il tutto.

In Jean-Luc Marion la coscienza spirituale è la capacità di distinguere il rapporto tra l’evento inteso come luogo in cui il soggetto è stato coinvolto in un’azione, la carne che riguarda la relazione tra le persone, l’idolo – che sarebbe l’oggetto pietrificato – e l’icona che riguarda la prospettiva e la distanza interattiva necessaria per non rimanere fuso nei rapporti precedenti.

Questi quattro aspetti, a Marion servono per spiegare un suo concetto molto complesso: il fenomeno saturo. Esso appartiene alla fenomenologia della percezione. Si tratta di un simbolo con un sovraccarico di significati.

Nella terminologia di Paul Ricoeur il concetto polisemico risulta chiarificatore per comprendere

lo schema del quadripodo esistenziale a forma di croce. Ciascuno di noi può dare diverse interpretazioni alla fenomenologia della croce; dipende dal tipo di ermeneutica propria di ogni soggetto che cerca di leggere il tracciato che riflette i luoghi dove il sé ha vissuto, si è coinvolto o è rimasto mero spettatore.

Nella sfera dell’intelligenza spirituale secondo una prospettiva ricoeuriana predomina una logica della sovrabbondanza, ovvero una specie di illogicità che fa sì che dove c’è il “peccato” ci sia la “grazia”. Questa logica la troviamo anche nell’amore incondizionato di una madre verso un figlio trasgressivo e delinquente, o nel perdono senza corrispettivi di una donna nei confronti di un marito violento.

L’intelligenza spirituale è quella che predomina ad esempio nel popolo ebraico verso il Dio che non gli ha risparmiato le sofferenze dalla schiavitù dell’Egitto all’Olocausto.

Come mai un popolo continua a credere in un Dio che sembra sia stato assente nei momenti di massima necessità? Altri possono essere gli esempi di cui qui ho fatto un cenno.

L’intelligenza spirituale non è misurabile né tematizzabile come il volto dell’altro nella terminologia di Lévinas. Lo strumento che ci permette di comprenderla è vicino al pensiero offerto da Marion che pone l’accento sulla topica del prisma: in esso la luce bianca non può essere vista se non attraverso la scomposizione dei colori che ne fanno parte. La luce bianca che noi non vediamo ci permette di vedere le cose che non hanno colore ma noi le vediamo grazie a quella luce che le illumina.

Per comprendere questa intelligenza si deve uscire dalla logica diadica e pensare secondo una prospettiva triadica dove tra l’osservatore e l’oggetto osservato deve esistere una distanza.

Secondo Marion la distanza è propria della figura iconica a differenza di quella idolatrica.

L’idolo presentifica l’assenza annullando la distanza. Una parola senza distanza rimane immanente e incapace di essere veicolo di comunicazione. L’icona è una costruzione dello spirito che porta alla luce l’invisibile senza sostituirlo come l’idolo.

In questo quadripodo il soggetto deve interrogarsi sugli idoli che ha adorato o ancora adora.

Le dipendenze alle sostanze o in-sostanze  – come le ho chiamate – , le dipendenze affettive e quelle tecnologiche sono alcuni degli idoli che cercano di riempire il vuoto che è il contrario della distanza.

L’intelligenza cognitiva, teorica, riguarda soprattutto la conoscenza scientifica, il pensiero matematico che rompe con l’illusione dell’immediatezza che inganna i sensi, ad esempio la rottura provocata dalla rivoluzione copernicana o da quella einsteniana. Essa permette al soggetto di comprendere le leggi che regolano il micro e il macro cosmo, la vita microscopica come quella dei grandi esseri viventi.

A livello psicanalitico Freud scopre le leggi dell’inconscio che governano la psiche dell’uomo contrastando la convinzione di una coscienza unica; queste leggi si possono riassumere nella frase “l’uomo non è padrone di sé stesso”.

L’intelligenza cognitiva comprende la capacità del soggetto di agire intendendo gli effetti della propria azione sulla natura del rapporto con l’altro e con sé stesso. Non si tratta qui di elaborare un’enciclopedia delle intelligenze, ma di delineare un tracciato che permetta – come abbiamo sopra indicato – di individuare i luoghi del sé, in cui cioè il sé è coinvolto in prima persona, come soggetto attivo o passivo.

Avere una sviluppata intelligenza teorica non significa essere capace di governare le proprie emozioni o stabilire rapporti efficaci con gli altri o con gli oggetti.

L’intelligenza pratica rappresenta la capacità di muoversi in un ambiente rendendosi conto delle forze in campo per poter stabilire una strategia di azione che serva a trovare la miglior soluzione a un problema.

L’eccesso di intelligenza pratica non indica uno sviluppo altrettanto morale o etico. La grande macchina da guerra del nazismo costituisce il miglior esempio di tale affermazione.

Si pongono anche altri problemi etici, ad esempio nell’azione terapeutica: si può essere un buon terapeuta tecnicamente efficiente ed essere anche una persona malvagia? Certo non è sufficiente essere una persona buona per essere un bravo medico o un terapeuta preparato.

Da parte di un soggetto, l’intelligenza relazionale è la capacità di mantenere una distanza ottimale dalla natura, dai rapporti con gli altri e con sé stesso.

Chi possiede un rapporto di vicinanza e di lontananza con le tre categorie prima elencate, dimostra di possedere la capacità di stabilire rapporti non fusionali, non di sottomissione, né la volontà imperiosa di sottomettere gli altri.

Allora il soggetto sa distinguere tra un agire strumentale in funzione di un obbiettivo come quello della ricerca da parte di uno scienziato e l’agire strumentale manipolativo che ha l’obbiettivo di manipolare a proprio vantaggio sia i rapporti con le cose che con le persone.

L’intelligenza emotiva si può riassumere come la capacità di governare le emozioni positive e negative. Le emozioni fanno parte del corredo di ogni soggetto. È impossibile immaginare una persona che non provi o non abbia mai provato certe emozioni, come l’invidia verso l’altro, l’odio o la gelosia patologica.

Questa tre emozioni sono censurate a livello sociale, per cui nessuno apertamente riconosce di essere invidioso di un altro, soprattutto di un rivale a cui si desidera che le cose vadano male oppure ci si rattrista quando gli riescono al meglio.

Le altre emozioni, come la paura, la rabbia, il rancore, il senso di inferiorità o di superiorità, fanno parte anch’esse della costituzione del soggetto.

Un’educazione sulle emozioni dovrebbe aiutare un individuo a riconoscere, differenziare e dare parola ad esse.

L’energia emotiva accompagna le nostre azioni, i nostri pensieri, l’immaginazione, per cui tutte le altre intelligenze devono tener conto della sua influenza e indispensabilità.

 

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