Il senso di giustizia e il senso di colpa

Francisco Mele

John Rawls individua tre tipi di sensi di colpa.
Il primo riguarda la mancanza nei confronti dell’autorità che ha la sua origine nel rapporto genitore-figlio.
Il secondo sorge quando una persona manca a un dovere nei riguardi delle istituzioni, soprattutto nei confronti di colleghi; se qualcuno non ha fatto ciò che doveva fare, questo comportamento ha creato dei problemi per gli altri.
Il terzo è in rapporto ai principi. Questo è il vero senso di colpa.
Nei due primi la persona teme una punizione esterna, sia da parte dell’autorità che da parte del gruppo di appartenenza istituzionale.
Nel terzo caso l’individuo si sente in colpa davanti alla propria coscienza. Qui si delinea la differenza che Ricoeur fa tra la dimensione moralistica e la dimensione etica. La prima implica un comportamento corretto per paura; la seconda per convinzione.
Il senso di giustizia si evidenzia attraverso due sentimenti – secondo Rawls -: uno è il risentimento, quando l’ingiustizia viene fatta nei confronti di se stessi da parte di altri; l’indignazione è invece una nostra reazione alle offese inflitte ad altri da parte di terzi. Collera e fastidio sono invece sentimenti legati a reazione fisiche istintive,  non regolati da una norma sociale.

Il senso di giustizia si costruisce nel rapporto con l’altro “significativo”, cioè con la persona che ti insegna ad essere giusto, dandoti la capacità di differenziare un’azione giusta da una ingiusta.
Questo altro “significativo” non si configura in realtà come un individuo, una persona unica, ma può attingere a più individui, o a libri, o a personaggi relativi alla storia o alla scrittura letteraria o teatrale, o a ruoli di cui  certe persone siano investite. “Significativo” è questo “altro” perché ci consente di individuare il significato di un comportamento e ha senso in un insieme di azioni sensate.
Questo “altro significativo” costituisce una sorta di impalcatura articolata in punti fissi a cui ancorare il proprio discorso. E’ un “altro” che viene interiorizzato; prendendo spunto da Sant’Agostino; Ricoeur lo chiama “il maestro interiore”. Questo “maestro interiore” può avere diverse valenze; può portare verso scelte giuste oppure condurre a scelte negative, soprattutto nei confronti degli altri.
Delinquenti che agiscono secondo una loro propria morale hanno “un maestro interiore” negativo.
Non è questo il caso, però, di quelli che io definisco “ragazzi fuori dal tempo”. Essi agiscono senza aver operato una scelta deliberata, ma seguendo una sorta di istinto, che spesso chiamano “i miei sentimenti”; da questi sentimenti essi vengono trascinati ad agire di volta in volta in maniera discontinua, dettata da attrazioni eterogenee, e secondo una scala di valori spesso contradditoria, influendo sulla scelta l’umore, la compagnia, il tempo e così via. Più che agenti che intervengono nel corso delle cose, sembrano azionati da forze imprevedibili, che li portano a variare comportamento e stato d’animo in un breve intervallo di tempo.
Questo “altro significativo” interiorizzato, con cui dialoghiamo – è un dialogo tra me e me stesso mediato dal linguaggio – non ci dà delle indicazioni precise, e una volta per tutte, in relazione alle situazioni che ci troviamo a dover affrontare nella vita. In ogni situazione noi dobbiamo fare una scelta e mediare fra questi “principi primi” e l’azione concreta di fronte alla quale ci troviamo. Ogni situazione mette alla prova la nostra capacità di scegliere, di decidere e di fare. Quanto più capacità di scelta abbiamo, – ossia quanto più margine di libertà abbiamo -, tanto più sono responsabile della scelta che faccio; quanto più è ridotto tale margine, tanto più è ridotta la mia capacità di agire. La fuga dalla libertà, descritta da Erich Fromm, tiene conto di questa rinuncia da parte della massa della propria libertà, della propria autonomia, in favore del tiranno che prende da sé tutte le decisioni. Lo stesso meccanismo sussiste nelle bande giovanili, dove talvolta è solo il gruppo – come se avesse una mente – a prendere delle decisioni.

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