IL RITIRO DEL PADRE

FRANCISCO MELE

giugno 2010

Il ritiro del padre

Tale ritiro non significa l’abbandono da parte del padre. Il padre si ritira per donare la sua parola, quindi la distanza è riempita da questa parola che, per avere il suo valore, deve essere accolta e riconosciuta dalla madre. Quando la distanza perde la dimensione temporale e spaziale della differenza, lo spazio della distanza viene riempito dagli idoli.

Il concetto di distanza è fondamentale per comprendere il rapporto fra il figlio e il padre, la madre e il figlio.
Tale concetto va articolato insieme ad altri concetti, come quelli di identità e di differenza: quest’ultima – secondo Derrida – ha due aspetti: differenza e dif-ferenza. La differenza riguarda l’aspetto spaziale; implica l’alterità e la distanziazione. La dif-ferenza corrisponde al differire, al “rimandare a più tardi” inteso come l’aspetto temporale.
La distanza appartiene al registro del padre; essa viene introdotta, secondo Jean-Luc Marion, dal ritiro del padre. Tale ritiro non significa l’abbandono da parte del padre. Il padre si ritira per donare la sua parola, quindi la distanza è riempita da questa parola che, per avere il suo valore, deve essere accolta e riconosciuta dalla madre. Quando la distanza perde la dimensione temporale e spaziale della differenza, lo spazio della distanza viene riempito dagli idoli. La differenza riguarda il registro materno, lo sforzo del bambino nel dover risolvere il processo di identificazione e differenziazione. L’immagine primaria (descritta come il punto unario) costituisce il punto mitico e iniziale del processo di identificazione; questo punto unario mette in moto il dispiegarsi della serie di immagini che precipitano nella costruzione dell’io ideale. La ricerca per far coincidere l’io ideale del bambino con l’imago idealizzata dalla madre soffre uno sfasamento grazie al quale avviene il processo di differenziazione nei due aspetti descritti in precedenza. L’introduzione del tempo e la separazione tra madre e figlio fa parte della funzione paterna. Il concetto di distanza tocca anche la madre perché il figlio è un altro individuo e non un suo prolungamento. La madre non è la creatrice assoluta del bambino, ma l’intermediaria attraverso cui la vita si sviluppa. Quando, nel registro materno, non si verifica la distanza tra madre simbolica e carne che genera, la simbiosi diventa l’ostacolo maggiore al processo di differenziazione del bambino. La distanza relativa al padre significa che lui dona la parola che appartiene a una Legge che lo precede. Anche il padre deve sottomettersi alla Legge che differenzia uomo e donna, vita e morte, giusto e ingiusto. Se invece il padre si crede la Legge, la sua azione diventa arbitraria, propria del padre terribile descritto da Lacan, figura persecutoria che, in sintonia con una madre onnipotente creatrice e distruttrice, contribuisce alla costruzione di un soggetto totalmente alienato.
Il padre terribile è una figura che occupa tutto lo spazio senza lasciare una minima distanza attraverso cui l’altro possa esistere.
Se al posto del ritiro del padre si verifica l’abbandono, la distanza viene occupata dagli idoli, dall’in-sostanza, dalle dipendenze che soffocano ogni tentativo di autonomia. La mancanza di questa distanza lascia spazio al deserto, in cui il soggetto vive in una prigione senza confini.
In queste figure – del padre terribile e della madre onnipotente – si trova la genesi che può portare alla psicosi nei casi più gravi. Il meccanismo che prevale qui è la forclusione del nome del padre. In questi casi la rottura con il principio di realtà è totale. Invece quando si instaura la struttura perversa, si mantiene il principio di realtà, ma il conflitto riguarda la consapevolezza che esiste la Legge. L’aspetto temporale della differenza come rinvìo rende possibile il passaggio dall’io ideale all’ideale dell’io. Affermare con convinzione “io sono quel bambino meraviglioso” e rimanere imprigionato in questa immagine porta alla lotta che si muove in una logica del tutto o niente: “O sono quell’immagine o non sono niente”. Questa affermazione sprigiona un crescendo di aggressività che può trovare la sua conclusione nell’omicidio o nel suicidio.

Jean-Luc Marion distingue tra icona e idolo. Nell’icona si mantiene la distanza tra l’uomo e Dio. Nell’idolo è l’uomo, cancellando la distanza, a occupare il posto di dio. Questo pensiero, che appartiene alla sfera della teologia, trasferito al campo della psicanalisi permette di spiegare che alla morte di dio, secondo Nietzsche, lo spazio non ha permesso all’uomo di diventare adulto, ma è stato riempito di idoli che si susseguono senza ordine, destinati a scomparire in breve tempo, continuamente sostituiti dalle mode e da richiami effimeri.
Quando la distanza viene annullata, si verifica il fallimento della metafora paterna. La Parola decade dal suo valore simbolico per dare luogo a parole senza senso. La scomparsa della distanza pone il soggetto davanti al dilemma di essere dio o di soccombere; impossibile, quindi, il dialogo tra il dio e l’uomo. Secondo Lévinas, quando la distanza è annullata, l’Altro viene oggettivato, tematizzato, controllato, diventa altro-oggetto: l’idolo. Questo processo porta al paradosso che il soggetto, nel voler controllare l’Altro, annulla se stesso, perché il suo status di soggetto dipende dall’esistenza dell’Altro.

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