LA DROGA CAPTAGON: IL DISATTIVATORE DI COSCIENZA

Francisco Mele

1° dicembre 2015

Per il giornale online L’INDRO mi sono state fatte alcune domande dalla giornalista Léa Vettorato, poi pubblicate in un articolo del 1° dicembre, che mi hanno dato lo spunto per esprimere alcuni concetti da me elaborati su temi attuali.
La droga dei jihadisti è un nuovo sistema per affrontare i rischi e le sfide delle guerre, come in tempi passati lo sono stati l’alcol, la morfina, la cocaina, l’eroina e le anfetamine.
Il captagon è un derivato anfetaminico di notevole potenza, assai più in grado di esaltare e sconvolgere la mente di chi lo usa che le sostanze precedenti.
La sua potenza è analoga come livello alle armi belliche ora in uso, di alta portata tecnica, capaci di uccidere in maniera allargata e immediata una enorme quantità di persone e di distruggere a largo raggio, assai più che l’apparato militare, già fortemente micidiale, di pochi anni fa.
Lo sviluppo arsenale bellico va quindi di pari passo con lo sviluppo dell’arsenale farmacologico.
Questa droga non è usata soltanto in campo bellico, ma anche come uso quotidiano di quei giovani che non trovano un loro riconoscimento all’interno dell’attuale sistema sociale. Di qui si può capire come tanti ragazzi del mondo occidentale, addirittura nati e viventi in paesi culturalmente vicini a noi, abbiano ascoltato il richiamo di chi li invitava a entrare nelle file jihadiste.
Assistiamo a processi di disidentificazione, quindi di perdita di identità che spingono tanti giovani ad entrare in strutture che forniscono identità. I fornitori di identità sono delle istituzioni che danno un senso a una vita che ha perso un itinerario esistenziale.
In sintesi, passiamo da spazi che ho definito “dell’interanonimato” a spazi in cui i soggetti indossano una maschera identitaria apparentemente chiara, ma che sconvolge ad esempio amici e familiari di quei ragazzi che sembravano muoversi tranquillamente nel loro contesto di appartenenza.
La funzione del kamikaze nella nostra società rappresenta uno dei meccanismi di attacco più efficaci, perché il corpo diventa l’arma più potente per colpire gli altri senza essere colpito da questi, ma da se stesso. Ovvero, toglie all’altro – il nemico – la possibilità del contrattacco.
Le diverse patologie come l’anoressia, la depressione, il suicidio, entrano a far parte di una sorta di meccanismo simile al kamikaze: questi, colpendo se stesso, colpisce parenti, amici, l’intera società di cui faceva parte. Ogni suicida è anche un omicida.
Ma il kamikaze che si illude di realizzare un’azione indicata dal dio, è incoraggiato di solito anche dalla famiglia e dal gruppo, in quanto il sacrificio della sua vita può riscattare tutti dalle ingiustizie subìte, e viene ritenuto degno del premio di un aldilà glorioso.
In forma dialogica, ho cercato di rendere semplici tali concetti.

Chi fornisce queste droghe ai combattenti?

I trafficanti di droghe, come i trafficanti di armi, hanno sistemi sofisticati per vendere i loro prodotti. Talvolta sono ancora più attrezzati delle stesse forze dell’ordine di tanti paesi e soprattutto nelle guerre attuali, in Siria o in Irak, dove le frontiere sono praticamente state cancellate, sapere chi fornisce la droga è un compito del servizio di intelligence.

Perché questi terroristi fanno un uso di droghe andando contro i principi della stessa loro religione?

La maggior parte dei combattenti jihadisti che hanno scatenato gli attentati nei Paesi europei sono stati formati secondo i principi del mondo occidentale.
La crisi di identità che tanti di loro hanno vissuto è dovuta alle difficoltà di conciliare un pensiero totalitario con i principi etici che riguardano il comandamento biblico di non uccidere, con il principio di libertà e, diffusi dalla Francia fin dalla rivoluzione, si devono aggiungere con forza quelli di fraternità e uguaglianza.
La droga, per loro, serve a rinsaldare una scissione a livello dell’identità morale, politica e culturale.
La sostanza – o meglio, l’insostanza, in quanto incapace di sostenere alcunché – ha la stessa funzione del nemico: serve a compattare un’identità a rischio, a giustificare i fallimenti e a impedire di vedere il precipizio. Questo precipizio si presenta come il campo di battaglia della guerra finale con un significato apocalittico, di fine del mondo in cui il combattimento fra il bene e il male appare nelle configurazioni dell’Angelo Sterminatore che decide di imporre la giustizia attraverso la spada, il coltello fino all’uso delle armi più moderne.
Queste idee di fine del mondo si pongono come una forza che dà senso al loro operato, come è accaduto con altre figure nefaste che hanno insanguinato l’Europa in nome della superiorità razziale o in nome di un dio, di una ideologia o del proletariato.

Perché si sostengono con le droghe per fare cose che non sarebbero in grado di fare senza di esse?

Non sono solo questi combattenti jihadisti a far uso di droghe per poter superare la paura di morire. Purtroppo nelle nostre società non solo si assume droga, alcool, o si gioca per poter sostenere la propria esistenza, che si vede minacciata dall’insicurezza del vivere. Esiste una paura di morire, ma esiste anche una paura di affrontare la vita. Non basta la droga nelle guerre per poter combattere, è necessario disattivare la coscienza morale individuale in funzione del gruppo di appartenenza che riesce in questo modo a neutralizzare i sensi di colpa.
Quindi la droga ha una funzione disattivante per agire come ponte verso un’identità gruppale che compatta ed indirizza il comportamento dei suoi singoli componenti.
Il disagio sociale che vivono migliaia di giovani non giustifica un comportamento così terrificante, ma nella polemologia quotidiana tanti giovani fanno uso di sostanze e rinunciano a un progetto di vita a cui accedere, anche perseguito in mezzo alle difficoltà di una società violenta e competitiva all’eccesso.

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