LE DIPENDENZE RASSEGNA STAMPA

DIPENDENZE

Rassegna stampa
n ° 05 / 2007
novembre – dicembre
Comune di Bologna
Settore Coordinamento Sociali e Salute
U.I. Servizi per adulti
Servizio di informazione e documentazione interno

a cura di Cristina Bondi
La rassegna stampa vuole essere un contributo informativo e di documentazione al dibattito, i contenuti riportati non riflettono necessariamente le posizioni in materia del Settore servizi sociali del Comune di Bologna”
SOMMARIO

EDITORIALE
EDITORIALE/PRAGMATISMO SALVAVITA di Cristina Bondi pag. 4

IN PRIMO PIANO

MODELLI CONTROLLATI E INCONTROLLATI DI CONSUMO/OLTRE LE DIPENDENZE di Renato Bricolo
Sin da subito balza agli occhi l ’enorme differenza che esiste fra i mondi giovanili descritti dai primi due relatori, e il mondo che ha a che fare con i servizi per le tossicodipendenza, pubblici e privati. pag. 4

SCENARI/L’UOMO TRA GLOBALE E LOCALE E L’IDENTITÀ LIQUIDA di Casotti, Cipressi, De Stefani, Zelioli
La massiccia diffusione di cocaina è la punta dell’iceberg del forte cambiamento in atto nella nostra società che pone importanti interrogativi. pag. 7

AIDS/FERMATI GLI STUDI DEL VACCINO ANTI HIV/AIDS DELLA MERCK
“Non efficace”. Questa la ragione dell’interruzione dello studio STEP, che voleva verificare appunto l’efficacia del candidato vaccino della Merck su 3000 persone senza HIV. pag. 12

FUMO/VIETATO FUMARE NELLA STAZIONE
Al via in 82 terminal viaggiatori – quelli a maggior traffico (circa il 50% dei clienti) e distribuiti in 14 regioni – la prima fase del progetto “Stazioni senza fumo”. pag. 14

ALCOL/PROVETTE ANTI-DIVIETO PER BERE DOPO LE 2 di Annachiara Sacchi
Trucchi e cocktail segreti. La «tribù» dei trentenni si ribella: «Troppe proibizioni, meglio stare a casa» pag. 17

DISTURBI ALIMENTARI/”IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE NON DIMENTICHI ANORESSIA E BULIMIA”
Lo chiedono in un’interrogazione rivolta al ministro Turco i deputati Mellano, Poretti e Pellegrino. 3 milioni le persone colpite da queste malattie in Italia… pag. 18

APPROFONDIMENTI

OPINIONE/PREVENZIONE: CALIBRIAMOLA SUI CONSUMATORI di Renato Bricolo
L’opinione del coordinatore del gruppo di lavoro Prevenzione selettiva: giovani consumi e riduzione dei rischi della Consulta degli esperti e degli operatori sociali sulle tossicodipendenze pag. 20

DROGA/TRA INDIFFERENZA E INCERTEZZA di Francisco Mele
Come è cambiato l’approccio alle sostanze stupefacenti negli ultimi decenni e il ruolo che possono ancora giocare le comunità terapeutiche nel recupero. pag. 23

CULTURE GIOVANILI E “CONSUMI”/MITOLOGIA DEL RAVE PARTY di Pier Francesco Pagoda
L’aspirazione é ancora quella verso la “libertà assoluta”. Ma passa, questa volta, attraverso l’estetica della più raffinata archeologia industriale, come se l’edonismo fosse parte di una ridefinizione dell’architettura della città. pag. 24

EDITORIALE

EDITORIALE/PRAGMATISMO SALVAVITA

di Cristina Bondi

La quarta Conferenza Latina sulla riduzione dei danni correlati al consumo di droghe che si è conclusa a Milano lo scorso 1° dicembre in concomitanza con la Giornata mondiale contro l’Aids, ha rivolto alle istituzioni di molti paesi dell’America Latina, ma anche dell’Europa un invito al pragmatismo. In quella circostanza tutti i partecipanti si sono confrontate le esperienze di chi in diverse parti del mondo cerca un’alternativa alle politiche di stampo repressivo finora praticate con scarsi risultati. Una nuova e rivoluzionaria idea non considera le sostanze stupefacenti il nemico da debellare con qualsiasi mezzo, ma beni di consumo diffusi con cui bisogna imparare a convivere. Cercando di limitare il più possibile i rischi di chi ne fa uso e, in generale, per la società.
Le narcosale sono uno strumento che hanno dimostrato la loro efficacia ovunque siano state introdotte. Nel mondo esistono 64 strutture del genere (narcosalas, injection rooms, stanze del buco) e in tutti i luoghi dove si trovano, Germania, Spagna, Francia si è assistito a due fenomeni positivi: una riduzione del numero di siringhe abbandonate per le strade, perché l’assunzione di sostanze non avviene più all’aperto, e il calo della microcriminalità. Si sono quindi rivelate un vantaggio non solo per la salute dei consumatori, ma per l’intera società.
In Gran Bretagna queste “stanze del buco” sembrano aver ridotto la criminalità e l’uso di droga. Questi i primi risultati, non ancora ufficiali, dell’esperimento che ha preso il via due anni fa, sul modello dell’Olanda e della Svizzera.
Le cliniche sono state create per le persone che non sono riuscite a disintossicarsi con metodi convenzionali e che continuano a far uso delle sostanze stupefacenti.
Il 40% degli utenti non ha più nessun coinvolgimento con la strada, mentre il resto è passato da una frequenza quotidiana a quattro presenze al mese. Secondo gli esperti, il successo è dovuto al fatto che i pazienti conducono una vita più stabile e trascorrono più tempo con i propri cari, perchè essendo meno coinvolti nei crimini, non fanno più dentro e fuori dal carcere.
In Italia manca il coraggio politico di fare scelte pragmatiche e non ideologiche. Quando venti anni fa abbiamo intrapreso la strada della riduzione del danno siamo stati di esempio alla Spagna e alla Francia. Oggi invece la situazione è stagnante e nessuno osa invertire la rotta, anche se, a dire il vero, il ministro della salute Livia Turco dichiara di aver già sottoposto la questione delle narcosale ai competenti uffici tecnici del ministero per fare una prima valutazione finalizzata ad individuare i costi e i benefici che servono anche per adattare le metodologie adottate in queste esperienze alle caratteristiche specifiche del nostro paese.

IN PRIMO PIANO

MODELLI CONTROLLATI E INCONTROLLATI DI CONSUMO/OLTRE LE DIPENDENZE

di Renato Bricolo

Sin da subito balza agli occhi l ’enorme differenza che esiste fra i mondi giovanili descritti dai primi due relatori, e il mondo che ha a che fare con i servizi per le tossicodipendenza, pubblici e privati.
Ovviamente non può non essere enorme anche la differenza fra chi lavora negli eventi descritti, e che si prende cura di chi è stato in quegli eventi. Balza agli il limite di una concezione del rapporto con le droghe che si basi e si declini sulla tossicodipendenza da eroina, come di fatto ancora avviene nella grande maggioranza delle comunità terapeutiche e nei servizi per le tossicodipendenze.

Eppure quanto è stato utile in passato dialogare con chi organizzava quegli eventi, prima ancora che dialogare con chi in quei contesti faceva prevenzione. Il rifiuto ed il rigetto del mondo che spontaneamente si è organizzato attorno ai consumi nei luoghi e nelle occasioni di divertimento ha portato ad una rigidità interpretativa e ad un conservatorismo sbalorditivi. In effetti io credo che siano profondamente diverse le popolazioni che abitano i due mondi, e da qui dobbiamo partire: insensato sarebbe negare l’esistenza delle dipendenza, insensato è riportare ogni relazione con droghe a dipendenza, ed ancora più insensato è negare che i consumatori non corrano rischi di vario genere:stressare il concetto di pericolo e di patologia solo sulle dipendenze di fatto significa avallare i consumi, legittimarne l’uso.

E’ da queste prime e elementari considerazioni che bisogna partire con le ricerche per comprendere il nuovo che appare spontaneamente sulla scena dei consumi, ed adattare progressivamente, e tarare in continuazione gli interventi stessi. Pochi mondi sono in perenne cambiamento come il mondo degli adolescenti, e da ciò si comprende la necessità di frequentarlo per conoscerlo. Anche questa è ricerca, forse non pura, forse applicata, ma non per questo non necessaria.

Allo stato attuale abbiamo a disposizione approcci molto diversi ed utili per la comprensione del complesso rapporto che esiste fra sostanze che noi etichettiamo come droghe, lecite o no, e che le consuma, e gli effetti, e i sintomi quando ci sono, e la dipendenza c quando c ’ è e quando si è instaurata. Abbiamo lettura biologiche, sperimentali, di laboratorio, di osservazione sui casi clinici, ecc. Abbiamo approcci interpretativi psicologici, sociologici, e così via. Io non credo che uno solo di questi approcci sia in grado di spiegare l ’assunto del problema del rapporto fra l ’uomo e le sostanze psicoattive, credo che da tutti possiamo e dobbiamo trarre utili indicazioni per la comprensione del fenomeno, che resta in sé in conoscibile, come lo sono la maggior parte delle situazioni psicologiche e vitali.

Oggi nel nostro paese si è rafforzato uno schieramento che considera tutti i consumi allo stesso modo, da interpretare allo stesso modo, da affrontare allo stesso modo, da trattare allo stesso modo.
L’assunto di base è che non c’è differenza, che tutto è o quanto meno porta a dipendenza.

Io propongo invece delle distinzioni, che si basano sull’osservazione e sull’esperienza, e che evidenziando le differenze fra i diversi gruppi, permettano di evidenziare anche differenti approcci.
In altri termini, come detto in esordio, il quadro degli assuntori è così variegato. E a stadi così differenti, che appare illogico non tentare una differenziazione delle risposte adeguata alle differenti tipologie.

Un gruppo che chiede interventi adeguati è costituito da chi consuma più sostanze, senza una elettiva, da chi assume perché è affascinato dall’esperienza di essere e perdurare in uno stato modificato di coscienza, senza sentire la necessità del rientro in uno stato di coscienza per così dire normale. Molti dei giovani consumatori attraversano una fase delicatissima, dove i rischi sono sì quelli di una evoluzione verso una dipendenza, ma più ancora in incidenti di percorso gravi, non raramente mentali. La giovane età, e l ’attrazione che questi avvertono verso l’essere “fuori ” rende molto arduo anche il concetto di controllo sui consumi, concetto che richiede a mio giudizi personalità molto sviluppata, ampia coscienza di sé, ecc. livello psicologico al quale molti di questa categoria di consumatori non sono arrivati. Queste persone non si sentono tossicomani, mai andranno ad un servizio, o quasi. Sono difficilmente raggiungibili, e peraltro se parliamo di prevenzione selettiva, non vi è dubbio che dobbiamo partire da questa categoria di utenti, e pensare e organizzare stabilmente interventi di prossimità adeguati concettualmente anche ad un concetto di accompagnamento verso punti di aggancio che dovranno essere rivisti nella loro concezione ed
organizzazione.

Un altro gruppo che si impone all’evidenza è di chi consuma in modo per così dire più razionale, in genere stabilizzato su una sostanza, almeno prevalente, che più o meno conoscono bene, che padroneggiano con sufficiente sicurezza. Qui per lunghi periodi possono non esserci problemi, ed allora la questione non si pone per i servizi, secondo me; tutti però sappiamo come questi utilizza protratti ancorché controllati, più o meno, non siano scevri di pericoli, che vanno dall’evoluzione verso gli abusi, alle dipendenze, ad altre possibili complicazioni in itinere, con sintomi spesso attinenti ad altre competenze mediche, o psicologiche. Qui c’ è il rischio grave che il problema venga affrontato solo nel versante dei suoi effetti patologici (cardiologici, ad esempio ) e non anche nei suoi versanti di relazione con le assunzioni. Qui non è il caso di affondare la questione della causalità e della consequenzialità: poco importa che si slatentizzi una situazione clinica, oppure che l’assunzione induca completamente un quadro clinico, molto importa invece comprendere la possibile relazione, rendere cosciente il soggetto, aiutarlo a correggere le sua abitudini. Credo fra l’altro che questo sia il modo migliore per diffondere non solo attraverso slogan, che assumere sostanze può provocare problemi al di là delle dipendenze.

L’esemplificazione di questi due grandi categorie di utenti che si differenziano dalla categoria da quella dei dipendenti, suggerisce anche altre differenziazioni, che si possono discutere, ma a me interessa in questa occasione attivare un ragionamento poco sviluppato, e cominciare quindi a individuare degli scenari e contesti di intervento originali rispetto a quelli tradizionalmente presi in considerazione.
Per concludere, alcuni spunti operativi:
1 – Riorganizzazione dei pronto intervento, dei pronto soccorso, che devono cominciare a prendere in considerazioni anche causalità o relazioni fra quadri clinici e uso di sostanze.
2 – Riflettere sui come contattare ed entrare in rapporto con nuove categorie di utenti, tipo assuntori di cocaina, che vivono e lavorano regolarmente, che si controllano, ecc. ma spesso sono non coscienti dei rischi, spesso non attrezzati per affrontarli, e non trovano neanche un contesto in grado di aiutarli.
3 – Portare la prevenzione, ma anche elaborare ipotesi di aggancio e di presa in carico precoce nei più disparati luoghi di lavoro, con linguaggi, tecniche ecc. adeguati

Su questo, credo, si debba cominciare e continuare a discutere.
da “Cesda” di aprile 2007
(Fonte: http://www.cesda.net/)

SCENARI/L’UOMO TRA GLOBALE E LOCALE E L’IDENTITÀ LIQUIDA

di Casotti, Cipressi, De Stefani, Zelioli

La massiccia diffusione di cocaina è la punta dell’iceberg del forte cambiamento in atto nella nostra società che pone importanti interrogativi.

Molti studiosi delle discipline sociali, pedagogiche e anche psicologiche si stanno interessando su quali siano le caratteristiche peculiari e particolari di questa epoca. Un punto d’accordo sembra essere che la società dell’industralizzazione sia conclusa a favore di una società moderna. Per molti studiosi questo segna, da un punto di vista della formazione degl’individui, il passaggio dall’etica della Produzione (un lavoro per tutti e tutti preoccupati di costruire il benessere per la società), all’estetica del Consumo [1] ( tutti preoccupati a consumare ciò che ora viene prodotto spesso in altri luoghi, e consumarlo anche oltre al bisogno necessario).
Questa ovvia semplificazione, ancora non chiude gli approfondimenti sulla società contemporanea. Tutti noi stiamo vivendo sulla nostra pelle quanto l’utilizzo della tecnologia, la diffusione dei mezzi di comunicazione da una parte e l’aumento della flessibilità lavorativa e degli spostamenti dall’altra, sembra abbiano inferto una accelerazione ulteriore verso lo sviluppo di un nuovo tipo di società.
Il nome di questo sviluppo al momento resta ignoto e forse tra cento anni sarà trovato con maggior cognizione di causa e con maggiori elementi descrittivi, ancora non siamo in grado di leggere la complessità di questi eventi ma in modo embrionale riusciamo a vedere alcune delle modificazioni più significative di questo sviluppo.
A noi oggi serve cogliere alcuni elementi che possono esserci utili per la nostra attività quotidiana.
Per dirla con le parole di Riccardo Gatti: «Ovunque e in qualunque momento, chiunque “consuma” qualcosa. Non c’è da stupirsi: da tempo, almeno nei Paesi occidentali, viviamo nell’era del consumismo. Tuttavia, parlando di droga e di sostanze di possibile abuso, farmaci compresi, ciò significa anche che viviamo nell’era dell’additività».
Quindi si consuma sempre e ovunque in modo “additivo” ( estetico?).
(L’additivo “è un componente chimico di varia natura che si aggiunge a materiali diversi onde conferir loro o esaltare certe proprietà” ).

IDENTITÀ LIQUIDA

Se all’epoca del consumismo (che oramai sembra modificata nell’epoca della tecnologia) aggiungiamo l’identità liquida questa unione sembra favorire un uso massiccio e differenziato di sostanze più o meno legali che si trovano sul mercato.
Ma cosa s’intende per identità liquida?
La fase iniziale del “meticciamento delle culture [2]”, che stiamo vivendo in Italia ( dovuta ai flussi migratori: più consolidati quelli interni, agli albori quelli esterni e all’incrocio di culture), la venuta a meno o la modificazione dei vincoli familiari, lavorativi, territoriali e di genere, (che per molti anni sono stati i denominatori comuni per lo sviluppo di una identità che forse rispecchiandosi nella tranquilla lenta evoluzione sociale e soprattutto familiare), hanno dato origine all’idea dello sviluppo flessibile e dell’apertura dei progetti individuali dove la parola d’ordine sembra essere: tutto è possibile per tutti.
Siamo nell’epoca delle possibilità, del rapido movimento, della presenza continua nel mondo del virtuale e a volte lo si pensa anche per il mondo reale.
In questo contesto, è facile affermare la cultura “del piacere ad ogni costo” ed impera la formula “Io sono ciò che ho e ciò che consumo” per cui “se non ho nulla non sono niente”.
Allora l’idea che si ha di sé, in queste condizioni sembra espandersi al punto di diventare liquida.
Liquida senza forma ma con la possibilità di diventare molte forme, ogni contenitore in cui questa identità sarà messa o si collocherà, concorrerà a farci “sentire”.
Ma ancora di più, se abbiamo bisogno di aumentare le nostre tonalità emotive, non solo il contenitore ci può aiutare a dare forma a sentimenti ed emozioni, ma anche qualsiasi additivo può essere utile per colorare o render più brillante la nostra esistenza.
Per l’esperienza che stiamo portando avanti con il progetto “ No cocaine”, ci sembra di poter dire che oggi la cocaina tra i diversi “ additivi “ esistenti, sembra essere quello che si adatta meglio a questo tipo di esigenze.
Ma come altre sostanze stupefacenti, prima o poi anche la cocaina presenta “ il conto”.
A quel punto la “promessa del tutto è possibile” s’infrange, e in molte storie individuali emergono quelle fragilità e quelle “fratture interiori” che neppure l’uso continuativo di sostanze riesce a “curare” o a sedare.
Ancora una volta il lavoro con le persone in programma ci soccorre e ci suggerisce che è proprio in quella determinata fase di crisi, che scatta la necessità di avviare un percorso di affrancamento dalle sostanze, una ricerca che orienti i propri sforzi all’avvicinamento del “proprio centro” emotivo e di senso e non per ultimo, che favorisca il recupero di relazioni “vere”.

LA COCAINA

“La cocaina agisce globalmente sulle strutture cerebrali aumentando la quantità di neuromediatori, in particolare dopamina, ma anche serotonina e noradrenalina, nello spazio sinaptico. Aumenta, quindi, il tono e l’energia fisica e mentale, la lucidità mentale e la capacità percettiva, espandendo il potere di azione e di elaborazione del soggetto, dando la sensazione di resistere a tutti i bisogni corporei ( fatica, sonno, alimentazione) e producendo una acuta sensazione di euforia. C’è una amplificazione dell’Io e una focalizzazione sul Sé [3], che nello stesso tempo percepisce più nettamente la differenze rispetto al mondo e vuole colmare, gestendole più favorevolmente. Il soggetto si vede proiettato nel contesto di vita con forza e una padronanza straordinarie. La cocaina instaura uno stato di potere senza confini, di sicurezza e assertività vittoriosa nei confronti del mondo. Grazie all’attivazione di tutti i neuromediatori, offre al soggetto una sensazione di eccezionale potenza. Così il cocainomane raggiunge uno stato di benessere, di successo, di piacere” [4].
Ma è in questi effetti positivi che esistono anche i limiti e i pericoli dell’uso della cocaina.
Ciò che consente di raggiungere uno stato di potenza così pronunciato, ha il prezzo di ridurre o seppellire le forze e le capacità del soggetto ( inteso come Io).
In questa ipotesi si ricorre all’utilizzo della sostanza in situazioni limitate ed ad hoc ( fatto salvo che non si instauri un abuso o una dipendenza)
Ancora può succedere che alcuni dipendenti dalla cocaina abbiano un effetto paradossale: diventano calmi rilassati tendono all’isolamento.
Questo avviene solitamente con soggetti che allo stato privo di sostanze sono tesi, impulsivi, irritabili e molto scontenti di se.

LA TOLLERANZA

La cocaina mostra una tolleranza diversificata a seconda degli effetti.
Nell’eroina, la tolleranza agli effetti psicoattivi equivale generalmente alla tolleranza agli effetti tossici, per cui il tossico dipendente può assumere dosaggi molto più alti della dose letale. Il rischio di overdose però diminuisce con l’aumento del livello dell’intossicazione cronica.
Nella dipendenza da cocaina invece , il livello di intossicazione cronica influisce sulla rapidità con cui si instaurano i sintomi della intossicazione acuta e dell’overdose. Questo è il fenomeno molto importante determinato dalla tossicità cumulativa o sensibilizzazione: quando la sostanza è somministrata ripetutamente e con alta frequenza, alcuni effetti, in particolare quelli sul comportamento, si realizzano con dosaggi minori di quelli iniziali. E’ il fenomeno contrario alla normale tolleranza: infatti è definito come tolleranza inversa.
Con la cocaina poi è molto facile trovare forme di tolleranza incrociata grazie alla combinazione con altri tipi di sostanze.
Comunque sia tutto dipende da come il soggetto reagisce all’equilibrio di compatibilità che ha costruito con la cocaina.

L’ASTINENZA

La sindrome dell’astinenza esiste e s’identifica pressoché esclusivamente con gli effetti psichici importanti del down: depressione, disforia, ansia, stanchezza e desiderio di avere altra cocaina.
Nei consumatori moderati o occasionali, la sindrome d’astinenza appare non spiccata.
La grande differenza tra la sindrome astinenziale tra eroina e cocaina è che la prima si risolve somministrando di nuovo eroina, mentre la seconda si aggrava risomministrando cocaina..
In ogni caso, passato l’effetto della cocaina, la persona avrebbe un crash, caratterizzato soprattutto da disforia [5] depressiva di breve durata.

IL TIPO DI CONSUMO

Oggi assistiamo ad un uso di massa controllato della cocaina e solo una piccola percentuale delle persone che la utilizzano ne diventano dipendenti ( occorre dire che questo non è l’unico problema collegato all’uso della cocaina perchè come ben riportano le cronache quotidiane dei giornali, spesso la cocaina si lega ad eccessi di velocità, incidentistica stradale, aumento della violenza sociale).
L’uso della cocaina è estremamente personalizzato e cangiante.
Sembra che le persone ( fatto salvo chi ne rimane dipendente), riescono a stabilire un rapporto dinamico e fluttuante con la sostanza.
La cocaina si presta ad un abuso ciclico: un binge di 2-3 giorni alternati a periodi di astinenza.
Il limite dell’abuso ciclico può essere collegato alla tolleranza cumulativa: le ultime assunzioni non producono euforia ma disforia fino al punto in cui il soggetto non è più interessato ad assumere la sostanza.

LA SINTESI

È possibile pensare che il rapporto con la cocaina sia più variabile nel tempo e più controllabile che il rapporto con l’eroina.
I rischi a confronto tra eroina e cocaina.
· L’overdose sembra uguale
· La tossicodipendenza sembra maggiore nell’eroina iniettata, minore nella cocaina sniffata, ma uguale alla cocaina iniettata.
· I disturbi mentali sono al massimo nell’uso di cocaina
· L’intossicazione cronica è alta nella cocaina anche e si sviluppa una dipendenza in modo inferiore.

LE EVIDENZE DEI TRATTAMENTI IN USO

Nel periodo 2003/2006 nel mondo sono stati effettuati 39 studi ( secondo i criteri della Topic list del gruppo Chocrane drugs and alcohol group) su differenti tipi di trattamento dei cocainismi. Dai farmaci tradizionali ai nuovi farmaci; ai trattamenti degl’alcolisti anonimi alla terapia cognitivo comportamentale, dal salario per le persone in trattamento ai buoni per gli acquisti premio.
In Italia con lo stesso sistema di valutazione ad oggi sono stati indagati 4 tipi di trattamento:
· Carbamazepina [6] per la dipendenza da cocaina.
· Antidepressivi per la dipendenza da cocaina.
· Agonisti della dopamina per la dipendenza da cocaina.
· Agopuntura auricolare per la dipendenza da cocaina.
Le conclusioni di tutti questi studi lasciano aperte molte prospettive per il futuro, ancora ad oggi non si è trovato un intervento d’eccellenza, sembra che i trattamenti combinati siano la soluzione più soddisfacente.
La terapia cognitivo comportamentale e il lavoro degli alcolisti anonimi, sembrano avere le evidenze di maggior successo.

LE PREVISIONI DI CONSUMO PER I PROSSIMI TRE ANNI

Per affrontare questo tema ci facciamo aiutare dalle previsioni elaborate da Prevo.lab [7] (traduzione teorico-operativa di un Osservatorio Previsionale dell’azienda sanitaria di Milano di cui è direttore il Dott. Riccardo Gatti) che grazie ad uno studio delle tendenze di consumo e di altre variabili che di seguito sono illustrate, sono in grado di ipotizzare gli scenari evolutivi del fenomeno relativo alla diffusione di sostanze illegali nella popolazione nazionale e regionale.
Queste previsioni dovrebbero permettere ai servizi una tempestiva programmazione delle azioni di contrasto con particolare riferimento ai settori dell’intervento socio-sanitario.
L’impianto metodologico di prevo.lab è così strutturato: la ricerca suddivisa in 5 aree( reperimento e raccolta dati, quadro storico, interviste a testimoni privilegiati, ricerche sul mercato, analisi notizie e comunicazione).condotta dai ricercatori, che hanno il compito di reperire il maggior numero possibile delle informazioni oggetto dello studio e di sottoporle al processo seguente di elaborazione;
· l’elaborazione e l’applicazione di specifici strumenti di indagine;
· Il confronto ricercatori-analisti, quale occasione di individuazione di nuovi input per la ricerca;
· l’analisi, attraverso cui le informazioni e i dati raccolti, sono studiati ed elaborati dagli analisti, individuati fra gli esperti di spiccata competenza nei settori della ricerca, dell’economia, dell’organizzazione, del marketing, dell’analisi dei dati e della costruzione di modelli matematici, del contrasto al narcotraffico, dell’organizzazione dei servizi socio-sanitari e dell’analisi dei sistemi complessi;
· Il laboratorio previsionale semestrale in cui è formulata o riformulata la previsione, alla luce degli elementi raccolti, attraverso le altri fasi di ricerca e studio.

Il risultato della prima previsione sulla Cocaina dice che possiamo attenderci una tendenza di incremento uso fra il 20% e il 30% (questa previsione è stata confermata dal bollettino intermedio 2007 del 26-27 Maggio 2007)

MODALITA’ DI COMMERCIALIZZAZIONE

· Poli distribuzione: stesso distributore mercato contiguo della cannabis; poli distribuzione e poli consumo stanno divenendo la regola.
· Prezzo: sul mercato vi sono microdosi da 20mg di cocaina suddivisa in sei strisce, questo può far prevedere un abbassamento del prezzo crescita del consumo.
· Mass market: sviluppo di mercato che segue le regole dei prodotti di massa, fruibile da molti.
· Marketing diffusione: merchandising (cannule, schede da taglio, annusatori).
(I prezzi in Provincia di Reggio sembrano variare dai 60 ai 100 euro per cocaina di qualità)

CONCENTRAZIONE DEL PRINCIPIO ATTIVO

Tendenza al ribasso, ipotizzabili due mercati paralleli:
il primo soft per consumatori iniziali,
l’altro hard per consumatori storici.

ACCETTABILITA’ SOCIALE (AVVIO NORMALIZZAZIONE DEL CONSUMO)

Uso normale della sostanza, facilità di inglobamento della cocaina nella vita normale
con basso contrasto sociale, fenomeno sdoganato dal punto di vista di pericolosità socio-culturale.

INTERROGATIVI AI LETTORI

Allora se così fosse dobbiamo farci alcune domande:
ma l’uso massiccio di sostanze è solo una questione tecnica?
È legata solo alla sofferenza dell’uomo?
Ma come l’identità, anche il processo di dipendenza è flessibile?
Come si può fare per riscoprire tonalità emotive vere e non surrogate?
Che valore ha oggi l’idea di progetto di Vita?
Se il nostro futuro oggi è nel presente, quale approccio educativo vogliamo utilizzare per riscoprire e l’idea del futuro?

da “Progetto Uomo” del 13 ottobre 2007

(Fonte: http://www.progettouomo.net/content.asp?contentid=1820)

AIDS/FERMATI GLI STUDI DEL VACCINO ANTI HIV/AIDS DELLA MERCK

“Non efficace”. Questa la ragione dell’interruzione dello studio STEP, che voleva verificare appunto l’efficacia del candidato vaccino della Merck su 3000 persone senza HIV. Come conseguenza, anche l’interruzione di un altro studio di fase II (chiamato Phambili) e due studi di fase I con lo stesso candidato vaccino.

Il candidato vaccino della Merck è un misto di 3 componenti, ognuno dei quali era fatto da una versione indebolita del virus “adenovirus 5” che serviva come portatore o vettore di 3 geni di HIV, ossia gag, pol, nef.
Le analisi preliminari dello studio STEP sulla metà del campione (1500 persone), per le quali addirittura ci si attendeva una risposta migliore in quanto avevano bassi livelli pre-esistenti di “adenovirus 5”, ha portato a 24 casi di infezione tra i 741 volontari che hanno ricevuto il vaccino contro 21 casi di infezione tra i 762 volontari che hanno ricevuto il placebo. Simili numeri e proporzioni anche se si analizzano le persone che hanno ricevuto più immunizzazioni. Quindi, l’obiettivo di prevenzione dell’infezione non è stato raggiunto. Anche il secondo “obiettivo”, ossia quello di riduzione della carica virale ematica nei soggetti vaccinati rispetto ai placebo, in coloro che si sono infettati, non è stato raggiunto: stessi valori di viremia.
COMMENTO
Purtroppo non si riesce ad essere più delicati:”un fallimento totale su tutti i fronti”. Ovviamente forte è il dispiacere tra la comunità di persone con HIV/AIDS, tra le persone coinvolte dal problema e nel mondo scientifico. Notizie così forti sono tristi e lasciano sempre molta amarezza, non solamente tra il gruppo dei ricercatori della Merck, ma anche tra tutta la comunità scientifica internazionale.
Un momento di riflessione però è d’obbligo. In questa sede, appare quanto mai appropriato riproporre un articolo scritto da Simone Marcotullio sul numero 36 di Delta, bimestrale di informazione sull’HIV edito da Nadir Onlus.
VACCINO PER L’HIV/AIDS: IL CONTO ALLA ROVESCIA NON PARTE…
10 anni dopo che l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton aveva previsto l’arrivo di un vaccino per l’AIDS, non ci resta che dire:”nulla di fatto!”. Le perplessità a riguardo sono sempre più forti. Raggiungeremo mai questo obiettivo? Perché è così difficile? Forse… qualcuno dice… è impossibile!
Un paragone abbastanza simile all’avventura di trovare un composto vaccinale che, se iniettato preventivamente, possa impedire all’infezione da HIV di fare danni devastanti al sistema immunitario, o inibendone completamente la proliferazione e l’integrazione nel corpo, o “modulandone” l’infezione in modo tale che l’aggressione virale sia più controllabile, potrebbe essere quello di quando, nel luglio del 1969, l’uomo atterrò sulla luna. Si passarono tutti gli anni ’70 a immaginare città sul nostro satellite e il raggiungimento di altre mete più ambiziose come marte; gli autori di fantascienza proliferarono come funghi, quasi che la fantascienza venisse a coincidere con la “storia predittiva”. Sta di fatto che, dopo quasi trent’anni, non solo non ci sono città sulla luna, ma di andare a vivere su marte non interessa più a nessuno.
Perché è così difficile?
Tanti errori, alcuni ingenui, altri no. Che le varianti genetiche individuali della singola persona infetta con HIV siano tantissime è un dato che lo sappiamo sin dall’inizio. Così come l’esistenza dei vari ceppi di HIV. L’idea di cercare un “minimo comune denominatore protettivo, anche parzialmente” è molto complessa: chi si è concentrato sulle proteine esterne del virus, chi su quelle interne, chi su quelle regolatorie, ossia prodotte durante le fasi di replicazione. Se sono ammissibili errori di “direzione scientifica di ricerca” per un certo periodo, tuttavia tali errori vengono ancora percorsi. L’ingenuità dell’errore iniziale è perdonabile, vista la difficoltà della materia, tuttavia l’investimento della quantità di risorse economiche che ancora permane su strade “dubbie” è un fatto allarmante e sospetto. Ancora oggi infatti potenti lobby economico-finanziarie investono in strade di ricerca che si sono dimostrate improprie. Ma dove sono finiti gli attivisti? Quelli che scesero nelle strade per ottenere i farmaci? Il fallimento della capacità critica dell’attivismo di contribuire concretamente alla spartizione equa delle risorse per le differenti strategie scientifiche è un dato incontestabile. E nel frattempo le persone continuano contagiarsi.
Come non interessa più a nessuno di andare a vivere su marte, così anche all’attivismo non interessa più di contribuire in modo forte ed energico a “convogliare le risorse verso strade nuove ed innovative”. Gli Stati Uniti, in questo, sono maestri. Continuano ad “errare nell’errore”, pur consapevoli “dell’errore nell’errare”. E la coscienza critica della società, l’attivismo appunto, sembra completamente assente o addirittura spettatore consapevole di tutto ciò o, peggio, alleato di quello o quell’altro macro-consorzio di ricerca in modo “non critico”. Assistiamo al paradosso che alcune strategie impiegano anni a fare piccoli studi di fase I in quanto “sotto-finanziate”, mentre altre di oltre oceano, fallimentari in fase di esordio, sono “iperfinanziate”. E nel frattempo si costruiscono “alleanze globali fasulle”, dipinte ad opera d’arte come “neutre e scientifiche”, per continuare, per altri 10 anni, questa assurdità.
Che cos’è il ‘vaccino terapeutico’?
E’ quanto di più ideologicamente ingegnoso è stato concepito nel settore HIV/AIDS. La ricerca di un composto che, agendo in qualche modo sul sistema immunitario della persona con HIV/AIDS, consenta un rallentamento della progressione della malattia attraverso il controllo della replicazione virale e/o il potenziamento del sistema immunitario. L’idea di poter sospendere con sicurezza l’assunzione di farmaci antiretrovirali è allettante, ma, anche in questo campo, l’avanzamento della scienza, in particolare dell’immunologia, è a ritmi imbarazzanti, simile alla costruzione delle grandi opere in Italia. Sono oltre una ventina le strategie sperimentate in fase precoce, talvolta simili a quelle dei composti preventivi. Alcuni sonori fallimenti hanno rallentato l’entusiasmo, tuttavia numerosi esperti ritengono che sarà più facile ottenere questo tipo di composto che quello preventivo.
Conclusioni: un pessimismo “crepuscolare”
Come i poeti crepuscolari evitano la proiezione verso il futuro e non intendono magnificare le forze del mondo, ma elevano a materia della loro poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, cercando solamente tranquillità e rifugio, così le persone con HIV/AIDS, come quelle che vivono in contesti in cui la cultura della prevenzione del virus è difficile a realizzarsi, hanno bisogno di poche, ma certe, speranze.

da “Nadironlus” del 22 settembre 2007

(Fonte: http://www.nadironlus.org/modules.php?name=News&file=article&sid=1244)

FUMO/VIETATO FUMARE NELLA STAZIONE
Al via in 82 terminal viaggiatori – quelli a maggior traffico (circa il 50% dei clienti) e distribuiti in 14 regioni – la prima fase del progetto “Stazioni senza fumo”.
L’iniziativa, che rientra nella campagna “Guadagnare salute” promossa dal Ministero della Salute, propone un nuovo modo per vivere le stazioni: una convivenza più piacevole salvaguardando, al contempo, la salute e la libertà di tutti.
Il 27 settembre a Roma Termini, il Ministro della Salute Livia Turco e l’Amministratore delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, hanno siglato un protocollo d’intesa per migliorare la vivibilità nelle stazioni e tutelare i viaggiatori dall’esposizione al fumo.
La firma rappresenta il corollario della “Giornata Mondiale Senza Tabacco”, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Scopo dichiarato di “Stazioni senza fumo” – terza tappa del più ampio progetto “Obiettivo stazioni pulite”, che nel marzo scorso ha visto la partenza degli interventi di pulizia radicale in oltre 2.300 impianti ferroviari e l’avvio della raccolta differenziata in 82 stazioni – è la tutela della salute dei cittadini. Per migliorare la vivibilità delle stazioni sarà esteso ad ulteriori zone il divieto di fumo, già in vigore dal 1975 nelle sale d’attesa e dal gennaio 2005 all’interno di altre aree accessibili ai viaggiatori.
Dal 27 settembre sarà consentito fumare solamente sulle banchine dei binari, considerate “free smoking”: qui sono stati collocati appositi posacenere, per contribuire a mantenere il decoro della stazione. Saranno complessivamente 5.400 i portacenere posizionati agli ingressi delle stazioni e nelle aree appositamente individuate e segnalate da oltre 3.000 cartelli bilingue.
L’iniziativa “Guadagnare salute” vedrà impegnati anche tutti i lavoratori delle Ferrovie, che saranno chiamati in prima persona ad assumere un ruolo attivo nella campagna di sensibilizzazione e della salvaguardia del bene pubblico – le stazioni – secondo i principi del Codice Etico di Gruppo. Infatti, saranno incrementati i controlli e applicate con rigore le sanzioni per i trasgressori.
I progetti del Ministero per la dissuasione dal fumo
La diffusione dell’abitudine al fumo è ancora troppo alta, soprattutto tra i giovani: nel 2006, nella fascia d’età 20-24 anni, i fumatori sono il 28,8% (33,81% maschi e 23,5% femmine). Nel 2006 il Centro Nazionale Prevenzione e Controllo Malattie (CCM) ha, pertanto, promosso un progetto nazionale, coordinato dalla regione Emilia-Romagna per l’implementazione della “Strategia CCM per la riduzione dei danni del fumo”, finalizzato ad attivare a livello locale specifici interventi di prevenzione e cura del tabagismo, nonché attività trasversali di ricerca, monitoraggio e valutazione, nell’ambito della tutela dal fumo passivo, della prevenzione fra i giovani e del sostegno alla disassuefazione.
I dati ISTAT (rilevazione anno 1999) indicano che il 27,5% delle madri italiane di bambini di età compresa tra 0 e 5 anni fumava prima della gravidanza. Di queste il 62% ha sospeso il consumo durante la gravidanza, ma circa il 70 % ha ripreso a fumare dopo il parto.
Sono, dunque, ancora troppe le donne che fumano, specie in gravidanza, con conseguente rischio per la salute anche del nascituro. L’abolizione del fumo rappresenta un obiettivo fondamentale anche per la protezione della salute della donna. Nel 2006 è stato attivato dal CCM un programma nazionale di formazione del personale ostetrico delle Aziende Sanitarie per favorire e sviluppare programmi educativi rivolti alle donne in età fertile ed in gravidanza con l’obiettivo di ottenere che il 90% delle donne in gravidanza smetta di fumare e il 50% resti astinente ad un anno dall’intervento e di coinvolgere la coppia genitoriale che si prepara ad accogliere in casa un bambino (coordinamento Regione Veneto).
“Vietato fumare nella stazione”
Il Ministro della Salute Livia Turco e l’Amministratore Delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti hanno siglato oggi nell’ambito dell’iniziativa “Stazioni senza fumo” un Protocollo di Intesa che definisce l’estensione del divieto di fumo nelle stazioni italiane e l’implementazione dei sistemi di comunicazione dello stesso divieto. L’iniziativa, che rientra nella campagna “Guadagnare salute” promossa dal Ministero della Salute, propone un nuovo modo per vivere le stazioni: una convivenza più piacevole salvaguardando, al contempo, la salute e la libertà di tutti. Per migliorare la vivibilità nelle stazioni sarà esteso ad ulteriori zone il divieto di fumo, già in vigore dal 1975 nelle sale d’attesa e dal gennaio 2005 all’interno di altre aree accessibili ai viaggiatori. Da oggi nelle 82 stazioni ferroviarie oggetto dell’Accordo sarà consentito fumare solamente sulle banchine dei binari, considerate “free smoking: qui sono stati collocati portacenere, per contribuire a mantenere il decoro della stazione. Saranno complessivamente 5.400 i posacenere posizionati agli ingressi delle stazioni e nelle aree appositamente individuate e segnalate da oltre 3.000 cartelli bilingue. Il fumo di tabacco rappresenta per l’Italia un problema di sanità pubblica nei cui confronti è stata adottata una specifica politica sanitaria per ridurre l’incidenza e la prevalenza dei fumatori e delle patologie fumo correlate. In particolare, per quanto attiene la tutela della salute dei non fumatori, l’Italia (con la Legge 3/2003, art. 51 “Tutela della salute dei non fumatori” entrata in vigore il 10 gennaio 2005) è stata uno dei primi paesi dell’Unione Europea a regolamentare il fumo in tutti i locali chiusi pubblici e privati, compresi tutti i luoghi di lavoro e le strutture del settore dell’ospitalità. La legge, che consente la possibilità di riservare ai fumatori appositi locali adeguatamente ventilati, si è rivelata un importante strumento di tutela della salute pubblica ed ha prodotto positivi effetti sia sui non fumatori che sui fumatori. Il Ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e con altre Istituzioni ha svolto fin dalla entrata in vigore della legge (10 gennaio 2005) una costante attività di monitoraggio della sua applicazione e di valutazione degli obiettivi conseguiti. Di seguito i principali risultati ottenuti.
Diminuzione della prevalenza dei fumatori
A due anni dalla entrata in vigore della legge, gli ultimi dati ISTAT mostrano una riduzione della prevalenza dei fumatori passata dal 23, 9% nel 2003 (maschi 31.0% femmine 17.4%) al 22.7% nel 2006 (maschi 28.8% femmine 17.0%).
Riduzione dei consumi
Dopo un anno di applicazione della legge si è osservata una impressionante diminuzione delle vendite dei prodotti del tabacco (circa il 6% in meno rispetto al 2004); sebbene nel 2006 si sia verificata una ripresa delle vendite rispetto al 2005, si è mantenuto l’andamento in diminuzione delle vendite (verificatosi a partire dal 2000), con un calo annuale medio di circa il 2%, confermato anche dai dati parziali del 2007.

Rispetto della legge sulla tutela della salute dei non fumatori
Su mandato del Ministro della Salute è stato avviato nel 2007 da parte dei Carabinieri per la Sanità – NAS un ciclo di controlli a campione in tutto il territorio nazionale, nei luoghi in cui si applica il divieto di fumo. Tale attività ha portato (fino ad agosto 2007) alla effettuazione di oltre 2800 ispezioni in luoghi di lavoro pubblici e privati, tra cui scuole, università, treni, bar delle stazioni, ecc. che hanno evidenziato un sostanziale rispetto della legge essendo state riscontrate solo 189 infrazioni al divieto di fumo (pari al 6.7% dei controlli).
I dati preliminari di un progetto promosso dal Ministero della Salute – CCM ed affidato alla Regione Veneto per il monitoraggio e la promozione dell’applicazione della legge nei luoghi di lavoro pubblici e privati, che ha coinvolto numerose Regioni, nell’ottica della prevenzione attiva, in mostrano anche in questo caso un elevato livello di rispetto della legge.
Effetti sulla salute (riduzione dei ricoveri per infarto miocardico acuto) I dati di uno studio in 4 regioni italiane (Piemonte, Friuli VG, Lazio e Campania) mostrano un calo superiore al 7% dei ricoveri per infarto acuto del miocardio, andamento confermato anche da un analogo studio portato a termine per la regione Piemonte.
La legge italiana è stata presa a modello da altri paesi europei che intendono adottare misure a tutela dal fumo passivo. Anche se prima di noi l’Irlanda e Malta hanno proibito il fumo in molti luoghi, l’Italia è stata il primo grande paese d’Europa ad aver esteso il divieto di fumare a tutti i locali chiusi. L’Italia è stata più volte invitata in consessi internazionali a presentare il percorso che ha condotto alla legge ed i risultati conseguiti. In particolare nel corso del Convegno internazionale che ha avuto luogo ad Edimburgo il nostro paese ha ricevuto un importante riconoscimento dalla “Global Smokefree Partneship”, organizzazione mondiale che raccoglie numerosi Enti ed associazioni attive nel campo della prevenzione del tabagismo, per l’ottimo lavoro svolto come “sistema paese” per l’approvazione, l’applicazione ed il monitoraggio della legge antifumo.
da “Do.Ri.D” del 27 settembre 2007

(Fonte: http://www.dorid.it/index.php?pg=cms&ext=p&cms_codsec=1&cms_codcms=2174)

ALCOL/PROVETTE ANTI-DIVIETO PER BERE DOPO LE 2
di Annachiara Sacchi
Trucchi e cocktail segreti. La «tribù» dei trentenni si ribella: «Troppe proibizioni, meglio stare a casa»
MILANO — «E questa? Cosa ci faccio?». La barista del «Gasoline» risponde con tono da maestrina alla ragazza con piercing, capello ossigenato e canottiera mozzafiato: «Questa è un’ampollina in plastica da 50 cc. Costa cinque euro. Noi adesso te la riempiamo di vodka, gin o rum. Tu te la tieni in tasca e dopo le due vieni a chiederci acqua tonica o Coca Cola. Il cocktail te lo fai da sola. All’ora che vuoi». Nel pieno rispetto della legge. Riedizione «ambrosiana» della Chicago Anni Venti. Dove aggirare i divieti — il decreto sulla sicurezza stradale che proibisce ai locali notturni di vendere alcolici dopo le due di notte — è solo questione di ingegno. I risultati: gilet pieni di «mignonette» (o, dove si trovano, delle boccette già chiamate «sexy drink»), ordinazioni in massa all’una e cinquanta, corsa al baracchino abusivo per fare rifornimento, bottiglie ovunque. E i gestori che dichiarano un meno 40 per cento di fatturato. Ecco la movida nella capitale della moda.
Weekend milanese. Aperitivo, ristorante, un cocktail in centro. All’una di notte, in discoteca, non si vede ancora nessuno. Qualcuno nemmeno ci va. «Che senso ha — dice Luca, avvocato trentenne “dalle abitudini sobrie” — entrare in un locale dove non si può fumare e, adesso, nemmeno bere?». E sono tanti i trenta- quarantenni che rinunciano ai soliti «quattro salti in compagnia, senza sballare» per rinchiudersi nelle case degli amici. Altra tribù: i ventenni. «Si riempiono di alcol in fretta e male», denuncia Marco Fornaci, direttore del Nepentha, discoteca storica della città. Qualcuno stiva la birra nel bagagliaio dell’auto. «Con il risultato — spiega Roberto Cominardi, proprietario di un altro locale cult, l’Old Fashion café — che arrivano da noi fuori di testa». Aggiunge Roberto Contaldo, titolare del Gasoline: «Il pericolo è la droga: risparmiando sui cocktail, possono permettersi di spendere venti euro in pastiglie». Ecstasy, Lsd, «chicche», «fragoline».
Le discoteche semivuote, le strade piene di ragazzi con le bottiglie in mano, spesso ubriachi. Fotografia della città che negli ultimi anni ha totalizzato lo zero per cento di vittime nelle stragi del sabato sera. «Noi siamo per l’uso consapevole», dicono i proprietari dei 120 club cittadini che si dichiarano «disperati, colpiti da un decreto che non aiuta nessuno». Seimila euro in meno a serata, il 70 per cento di tagli sulla seconda consumazione, la concorrenza degli ambulanti che davanti ai locali fanno affari d’oro. Ce n’è da disperarsi. «Ma tutti rispettiamo la legge ». Anche perché si rischia grosso: chi viene scoperto a vendere cocktail dopo le 2 può essere punito con la chiusura dai 7 ai 30 giorni.
Correre ai ripari. Ci sta provando Lino Stoppani, presidente nazionale della Federazione italiana pubblici esercizi. Che sbotta: «Difficile capire perché mentre l’Inghilterra abolisce qualsiasi veto sugli orari di somministrazione di alcolici noi lo introduciamo. Contiamo di ridiscutere il decreto con il governo». La paura, perdere l’indotto del turismo: «E chi lo dice ai russi, quando atterrano a Milano per la settimana della moda, che non possono bere più niente?». Ancora: «E ad Halloween? E a Capodanno?». Non è prevista nessuna deroga. Sabato, la notte degli impiccati. In corso Como, la strada della notte milanese, davanti alle vetrine dei locali pendono cinque manichini con il cappio al collo. «Siamo a rischio chiusura», denunciano i proprietari, promettendo di andare avanti con la protesta «alla Cattelan» per tutta la settimana. «Siamo in pieno proibizionismo», avvertono. Poco lontano, davanti al Limelight, un cingalese vende sangria affondando il mestolo in un bidone «pericolosamente simile a un cesto della spazzatura». Ma di vino, dopo dieci minuti, non ce n’è più.
Le due. Il deejay ha appena finito di sgolarsi: «Ragazzi, forza, vi è rimasto poco tempo per carburare!». I più previdenti hanno fatto il pieno di ampolline. I ritardatari, invece, si fanno stampare sul dorso della mano il timbro del locale, escono, raggiungono il baracchino più vicino e rientrano. Al Nepentha, dove la clientela è più adulta e il denaro non sembra un problema, basta ordinare una bottiglia di champagne al tavolo poco prima dello scoccare del divieto. Ma qualcuno preferisce andare a dormire: «Forse è vero — sorride Gabriele, commercialista — che con questa legge si va a letto prima». Più poliziotti sulle strade, meno divieti nei locali. E mezzi pubblici tutta la notte. È questa la richiesta dei commercianti. Rudy Citterio, presidente dei locali da ballo di Milano, fa qualche esempio: «In Italia i controlli sono 300 mila all’anno, in Francia 3 milioni, in Germania 7, in Inghilterra 10». Le tre passate. Davanti al Plastic, altro pezzo di storia di Milano (ai tempi frequentato da Keith Haring), la coda non vuole diminuire. Drag queen e popolo della notte giurano che «qui si sta bene per l’ambiente, mica per gli alcolici». Ma il proprietario del baracchino vicino conta soddisfatto l’incasso della serata.
da “Corriere.it” di ottobre 2007

(Fonte: http://www.radicalparty.org/coraold/?q=node/306)

DISTURBI ALIMENTARI/”IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE NON DIMENTICHI ANORESSIA E BULIMIA”

Lo chiedono in un’interrogazione rivolta al ministro Turco i deputati Mellano, Poretti (Rosa nel pugno) e Pellegrino (Verdi). 3 milioni le persone colpite da queste malattie in Italia: né gli ospedali né le Asl assicurano i servizi e le cure necessarie

ROMA – La “Buona Sanità” riguarda anche le persone affette da anoressia e bulimia? L’interrogativo è legittimo se si legge l’interrogazione rivolta al ministro della Salute Livia Turco, da Bruno Mellano e Donatella Poretti, della Rosa nel pugno, con Tommaso Pellegrino dei Verdi.
I tre esponenti della maggioranza, nell’atto, fanno rilevare che tre milioni di persone in Italia affette da anoressia e bulimia, si sentono espulse dal Sistema sanitario nazionale. Gli ospedali, disponendo di un personale non formato – spiegano i deputati – rifiutano il ricovero, mentre le Asl non firmano le delibere per il ricovero nelle comunità specializzate.
Dall’esperienza di associazioni come l’ABA (Associazione per lo studio e la ricerca sull’Anoressia, la Bulimia e i disordini alimentari) inoltre – si legge ancora nell’interrogazione – si apprende che non si riesce a contare il numero di donne ammalate di anoressia e bulimia che non trovano una collocazione all’interno del Servizio sanitario nazionale, anche quando arrivano al pronto soccorso in stato di morte imminente.
I parlamentari ricordano quindi che nei giorni scorsi a Palazzo Chigi è stata presentata una campagna del Ministero della Salute per la “Buona Sanità” curata dal fotografo Oliviero Toscani. La campagna giunge alla vigilia dei primi trenta anni del Servizio sanitario nazionale. Tutto questo, sostengono, avviene mentre 3 milioni di persone affette da anoressia e bulimia vengono dimenticate dallo stesso Servizio sanitario nazionale. I deputati chiedono quindi quali iniziative il governo intenda intraprendere al fine di risolvere le “gravissime carenze del Servizio sanitario nazionale, a partire dai ricoveri negati, nei confronti di malattie purtroppo sempre più diffuse come l’anoressia e la bulimia, anche in occasione dei trenta anni dalla nascita del Ssn” e per rendere accessibili terapie che “se somministrate in modo adeguato, sono in grado di restituire una vita normale a donne, e qualche volta a uomini, spesso neanche più in grado di camminare”. (dp)

Di seguito il testo dell’interrogazione:
MELLANO, PELLEGRINO e PORETTI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
il 23 dicembre del 1978 con una legge votata dall’85 per cento del Parlamento (legge 833/78), nacque in Italia il Servizio sanitario nazionale pubblico basato sull’universalità dell’assistenza sanitaria, sulla solidarietà del finanziamento attraverso la fiscalità generale e sull’equità di accesso alle prestazioni;
durante una conferenza stampa svoltasi presso la sala stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi è stata presentata una campagna del Ministero della salute per la «Buona Sanità» curata dal fotografo Oliviero Toscani. La campagna giunge alla vigilia dei primi trenta anni del Servizio sanitario nazionale;
il «Viso Sano» del Ssn fotografato da Toscani per la campagna del Ministero della salute giunge come una beffa dopo il recentissimo manifesto pubblicitario rappresentante una modella affetta da una forma di anoressia in stadio avanzato, firmato sempre Toscani;
ben tre milioni di italiani risultano «dimenticati» dal Sistema sanitario nazionale, ovvero quelli alle prese con disturbi alimentari – anoressia e bulimia in testa – che non trovano alcun tipo di sostegno nelle strutture sanitarie pubbliche del Paese;
dall’esperienza di associazioni come l’ABA (Associazione per lo studio e la ricerca sull’Anoressia, la Bulimia e i disordini alimentari) si apprende che non si riesce a contare il numero di donne ammalate di anoressia e bulimia che non trovano una collocazione all’interno del Servizio sanitario nazionale, anche quando arrivano al pronto soccorso in stato di morte imminente;
gli ospedali, disponendo di un personale non formato, rifiutano il ricovero di queste persone. Le Asl non firmano le delibere per il ricovero nelle comunità specializzate, nonostante le prescrizioni allarmate dello psichiatra o del medico curante, se non dopo l’intervento delle associazioni dedicate a queste patologie;
a trenta anni dalla nascita del Ssn, dobbiamo denunciare di cure ancora inaccessibili per la stragrande maggioranza di queste persone; terapie che se somministrate in modo adeguato, sono in grado di restituire una vita normale a donne (e qualche volta a uomini) spesso neanche più in grado di camminare -:
quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di risolvere le gravissime carenze del Servizio sanitario nazionale, a partire dai ricoveri negati, nei confronti di malattie purtroppo sempre più diffuse come l’anoressia e la bulimia, anche in occasione dei trenta anni dalla nascita del Ssn.

da “SuperAbile” del 17 ottobre 2007

(Fonte: http://www.superabile.it/CANALI_TEMATICI/Superabilex/Salute/info-1451107118.html)

APPROFONDIMENTI

OPINIONE/PREVENZIONE: CALIBRIAMOLA SUI CONSUMATORI

di Renato Bricolo

L’opinione del coordinatore del gruppo di lavoro Prevenzione selettiva: giovani consumi e riduzione dei rischi della Consulta degli esperti e degli operatori sociali sulle tossicodipendenze

Al di là, infatti, di ogni affermazione contraria, non vi è dubbio che il mondo degli interventi terapeutici, siano essi pubblici o privati, ha una sua posizione nei confronti dei consumi di droghe che assimila questi consumi alle dipendenze, e i consumatori, di fatto, a tossicodipendenti, o quanto meno a potenziali tossicodipendenti. Tutti quelli che hanno esperienze di interventi diversi, invece, hanno una lettura dei consumi e dei consumatori che nulla o poco ha a che fare con la dipendenza.
In altri termini, può essere che una persona che consuma sia tossicodipendente, ovviamente, ma non è detto che tutti quelli che consumano lo siano, né lo diventino: ed il fatto che lo possano diventare stimola ad interventi precoci, piuttosto che ad una serena attesa della sgradevole conclusione, interventi che sono e debbono essere diversi da quelli che per l appunto vengono posti in essere per tossicodipendenti. In questa ottica, che continua a non essere compresa, il rischio legato all’assunzione di sostanze non è più legato alla tossicodipendenza ( che molto spesso non è presente per tempi anche lunghi della vita di consumatori ), ma agli effetti delle sostanze, effetti che non sempre restano tali, perché possono diventare sintomi di patologie fisiche o psichiche anche molto importanti.

Paradossalmente, proprio noi che siamo vissuti come negatori della pericolosità dei consumi di droghe per il solo fatto che restringiamo la diagnosi di dipendenza solo ai casi nei quali essa è presente, siamo anche i sostenitori della possibilità che l assunzione di droghe possa produrre patologie oltre alla dipendenza: questo passaggio elementare continua a non essere compreso.
Con il termine dipendenza non si intende l uso, il consumo di una sostanza tabellata come stupefacente: tossicodipendenza è una diagnosi che attiene alla psichiatria : si vedano, al proposito, i manuali diagnostici internazionali di uso corrente. Questi manuali prevedono altre diagnosi che riguardano il rapporto che può intercorrere fra un assunzione ed un quadro clinico, quando si presenta: si parla di intossicazione, di abuso, e poi anche di dipendenza, divise sia per livelli di compromissione, che per tipologia di sostanze. Resta un mistero come di tutto questo nel gergo e nell’organizzazione dei servizi del nostro paese abbia preso il sopravvento il termine-diagnosi tossicodipendenza , e coma questo termine sia passato ad indicare ogni e qualsivoglia tipo e modalità di assunzione e di relazione con stupefacenti. Anche se questa non è l occasione per affrontare l epistemologia ( teoria della conoscenza ) dei rapporti fra uomini e donne e droghe, lecite e no, bisogna pur tuttavia cominciare a ragionare sulla questione, pena errori a cascata ed incomprensioni molto gravi.
Il rapporto con sostanze che storicamente sono state di volta in volta etichettate come stupefacenti e proibite ha da sempre contaminato l uomo e la donna, che a vario titolo sono stati affascinati dalla modificazione dello stato di coscienza che queste sostanze provocano. Storicamente, una parte dell umanità ha cercato nella lucidità della mente la modalità elettiva per vivere ed affrontare le tematiche della vita, cercando nella razionalità la forza ed i mezzi per comprendere e progredire.

Altri, invece, hanno in non cale, come si usava dire una volta, il razionale, e preferiscono ampiamente altri mezzi di conoscenza, basati sull irrazionale, sulle intuizioni, percezioni, ecc. e queste oasi- rifugio diventano il mezzo, mi verrebbe di dire, con il quale molte persone vivono: non raramente chi appartiene a questo gruppo ha una particolare predilezione per le sostanze psicoattive. Ai saggi non sfugge la pericolosità della estremizzazione dell’uno e dell’altro approccio: ovviamente, chi ha bisogno grandemente della caduta nell’irrazionale per vivere (oltre alle usuali occasioni che tutti abbiamo e coltiviamo, come i sogni fatti nel sonno, ad occhi aperti, le fantasie, ecc.) corre i rischi che questa prassi comporta. La tossicodipendenza è uno dei rischi, ma non il solo, ovviamente, né l unico. Anche altre conseguenze sgradevoli possono inverarsi, e quindi anche di queste dobbiamo occuparci. Anche chi si rifugia nel razionale, e lo privilegia grandemente corre non pochi rischi, sul piano dell’equilibrio (appunto) personale, ma di questo qui non ci occupiamo Da questi pochi accenni credo si possa comprendere anche l estrema delicatezza della questione, e la grande sensibilità che secondo noi occorre nell’entrare in relazione con le persone che hanno questa propensione, questa tendenza, questa caratteristica di personalità (e non voglio fare accenni ad aspetti biologici o psicologici, che ci porterebbero molto lontano). Quante volte questa sensibilità, questa attenzione, è stata interpretata e vissuta come connivenza! Quante volte ci si è sentiti offesi nell’anima dalla volgarità con la quale politici, preti, medici, psichiatri educatori, ex tossicodipendenti hanno affrontato questioni così delicate. Quante volte l etica invocata, è stata invocata a sproposito perché qui l etica non ci sta, viene dopo, nella evoluzione e nella maturazione della persona: qui siamo in una situazione eminentemente personale e psicologica, e da qui bisogna partire per comprendere. E ovvio che il tutto deve avvenire all’interno dell’accettazione delle leggi vigenti, e che se queste prevedono come illeciti alcuni comportamenti, illeciti vanno considerati, ma non al fuori della comprensione dei possibili perché.

Queste brevi premesse per illustrare la lettura e l interpretazione che noi diamo, e per illustrare come noi concepiamo l approccio ai consumatori. Come credo sia noto, il coordinatore della consulta dottor Leopoldo Grosso, ha proposto una suddivisione dei membri del consulta in sette gruppi: uno di questi (il secondo, per la precisione, che io coordino) si deve occupare di prevenzione selettiva dei consumi e dei consumatori. A me pare assolutamente importante l aver introdotto questo tema nel nostro paese, perché questa scelta permette finalmente di distinguere alcuni campi che tradizionalmente venivano confusi, e permette altresì di illuminare altri settori (l’organizzazione dei servizi, ad esempio, e quello dei trattamenti in particolare). Cominciamo a distinguere, infatti, la prevenzione totale, da quella da realizzare con i consumatori. La prevenzione totale deve mettere in campo gli strumenti atti ad evitare i consumi,con tutte le strategie complessive che questo richiede. Ma distinguiamo anche questi interventi da quelli della riduzione del danno, non già per accordarci al coro indecente di chi continua a non vedere la opportunità e la necessità di questo approccio, quanto per differenziare filosofie ed approcci diversi, essendo appunto questo campo aperto al mondo dei consumi, anche e soprattutto di quelli iniziali e sporadici: ambito che richiede prassi e metodologie specifiche.

Interventi quindi che devono essere pensati per categorie di cittadini, giovani e adulti (oramai è errato continuare a vivere gli assuntori solo come adolescenti) diversi da chi non consuma e da chi è tossicodipendente, categoria per la quale oramai sono consolidate prassi di presa in carico e terapeutiche validate dall’esperienza e dal tempo (anche se forse qualche revisione in corso d opera non sarebbe male). E qui viene il bello: lo sforzo, il tentativo di differenziare gruppi con caratteristiche omogenee per i quali cominciare a strutturare interventi, che devono essere diversi. Noi non abbiamo la pretesa di organizzare una nosografia originale, tentiamo solo di evidenziare delle differenze alle quali ispirarsi per organizzare servizi. Facciamo l inverso della tradizionale standardizzazione con la quale grande parte dei servizi operano verso i dipendenti da sostanze. Non presento qui i lavori del gruppo che coordino, che sono in fieri, ed in prima approssimazione pubblicati sul sito della consulta, ma accenno solo ad alcune categorie che secondo me è opportuno cominciare a prendere in considerazione in modo diversificato.
Innanzitutto, pensiamo a consumatori alle loro prime esperienze con non importa quale sostanza, compreso l alcol. E chiaro che questa categoria è prioritaria nei nostri interventi, almeno in astratto. Qui abbiamo giovani, giovanissimi, ma non solo. E impressione che anche fasce alte di età possano incominciare ad utilizzare. Tutto questo mondo è solo nella sua avventura, non ha punti di riferimento, nulla. Kit, cani, analisi urinarie ed altro hanno occupato la scena: ma come mediare, come aiutare a comprendere, e a comprendersi? Come affrontare le angosce, quando ci sono, gli effetti sgradevoli, i sintomi quando insorgono? Tutte le ricerche fatte sul campo (Valtellina, Firenze, Roma, sono quelle a mia conoscenza) evidenziano che non pochi consumatori accusano difficoltà varie da consumo: quasi nessuno si è rivolto a servizi pubblici o privati, sanitari od altro che siano. Gli amici sono i referenti principali, e i familiari, dopo: qui, forse, una riflessione si impone, ed una iniziale ricerca di nuove ipotesi di approccio e relazione. Qui si impone una riflessione su come sia sensato, se lo è, continuare approcci che fanno fuggire e disertare i servizi da parte di che ne potrebbe avere bisogno. Ovviamente, ci si rivolge a chi fa domande: per chi non ne fa, è difficile immaginare offerte: anche se non è eluso che la comparsa di approcci diversi, magari più tecnici, più di accompagnamento, più accettanti, forse potrebbero avvicinare anche consumatori curiosi di conoscere e conoscersi.

Credo che dobbiamo poi pensare al grande gruppo di chi consuma in modo totalmente acritico, a che effettivamente non pensa minimamente a che cosa prende, agli effetti, ai mix, ecc. qui abbiamo situazioni potenzialmente a rischio di grandi, a volte irreversibili danni. Persone spesso totalmente inconsce di sé, che cercano disperatamente, direi, stati modificati dio coscienza incuranti del livello raggiunto, e della difficoltà al rientro. Qui si impongono prassi di prossimità, operatori in grado di contattarli, di dialogare, recuperarli, insegnare loro che cosa stanno prendendo (e qui dovremmo affrontare il problema delle analisi delle sostanze, che però non affronto per brevità), aiutarli a comprendersi. Qui si impongono prassi di accompagnamento verso centri, luoghi che non pretendano la sospensione, perché questi consumatori non sono in grado, al momento del contatto, di assumere la decisione di interruzione dell’esperienza, ma curino se necessario e se possibile, e tentino di tessere relazioni che potranno diventare terapeutiche.

Ancora, dobbiamo cominciare a pensare a tutta una grande categoria di consumatori che riesce a controllare per tempi più o meno lunghi la loro esperienza con droghe, ma cominciano a sentire problemi correlati all’uso, psichici o fisici, o che stanno lentamente slittando verso la dipendenza. Molti dei nuovi consumatori di cocaina e non solo stanno in questa categoria. Dobbiamo prevedere luoghi ad hoc per incontri riservati, con la garanzia reale di anonimato, nei quali possano avvenire i primi contatti, premessa popi per latri interventi. Molti consumatori non accettano l’idea di finire ai servizi pubblici, o alle comunità: esigono rispetto, prima di tutto: quanta strada c è da fare verso di loro. E qui bisogna attivare (e non solo per loro) pronto soccorso, 118, altre specialità mediche, dalla psichiatria alla cardiologia: ripetiamo, le droghe possono non fare danni, possono farne e allora bisogna poterli e sapere riconoscerli e curali, e possono dare dipendenza, ed anche questa andrà riconosciuta e curata, se c è e quando c è.
Altro grande problema, che solo accenno: quale intervento sugli effetti, negli assuntori che compiono lavori particolarmente delicati (guidatori, piloto, personale sanitario, amministratori, militari)? Come rapportarsi? E sufficiente una traccia nelle orine per escludere lavoratori dal loro lavoro? E se no, come io credo, con quali criteri si dovrà procedere?
Ecco lo scenario attuale, per come io lo vedo, ecco le sfide da affrontare, ecco il terreno sul quale meditare e rimeditare i nostri interventi, l’organizzazione dei servizi e gli stessi trattamenti.

da “Cesda” di luglio 2007

(Fonte: http://www.cesda.net/downloads/cnca_luglio_2007.pdf)

DROGA/TRA INDIFFERENZA E INCERTEZZE

di Francisco Mele

Come è cambiato l’approccio alle sostanze stupefacenti negli ultimi decenni e il ruolo che possono ancora giocare le comunità terapeutiche nel recupero.

Al periodo di forte politicizzazione che parte dagli anni sessanta, intorno agli anni novanta è subentrato un periodo di depoliticizzazione progressiva della società; si è quindi profilata una fase di disincanto – concetto weberiano quanto mai pertinente –, dovuta ai cambiamenti sociali, specialmente al crollo dei partiti, delle ideologie e soprattutto alla sfiducia dei giovani in quelle forze progressiste che sembrava loro avessero perso gli obbiettivi di fronte alle tendenze dirompenti della globalizzazione.
I tossicodipendenti di questo periodo presentano caratteristiche differenti da quelli di venti/trent’anni prima: non sono disillusi dalla politica in quanto non hanno fatto scelte in questo campo; si drogano per noia, per emulazione, soprattutto nell’ambiente circoscritto alle discoteche, alle palestre, ai campi sportivi, alle playstation dove non si discute sulle finalità della società e sul proprio ruolo in essa, a cui pure questi giovani appartengono e di cui dovranno in futuro assumersi le responsabilità.
A differenza degli anni precedenti, oggi i genitori di questi giovani hanno sovente un passato di familiarità con le droghe e non avvertono di conseguenza quel dramma della rivelazione di un figlio tossico che aveva pervaso le famiglie di allora. Anche in chi non ha vissuto questo passato si manifesta una sorta di indifferenza rispetto al fenomeno considerato comune alla maggioranza dei giovani, quindi avvertito più come una inevitabile condizione che come problema da risolvere. Ci sono addirittura dei genitori che iniziano i figli all’uso delle droghe: ne vengono usate di nuove, più chimiche, adatte a sballi da divertimento per week end, legate all’evasione e non alla sofferenza dell’esistenza, pur trattandosi di una più inconsapevole mancanza di voglia di vivere.
Il paradosso drammatico di queste “nuove droghe” consiste nel fatto che chi le usa non crede di drogarsi, pensa di servirsi soltanto di una sostanza che gli renda più piacevole un momento di divertimento; non emerge la cultura del buco con gli inevitabili pericoli di infezioni, non c’è più la paura dell’ago, né le ansie del contagio all’emergere dell’aids; è svanita quella comunanza di gruppo che si creava intorno al farsi come una connivenza fra emarginati facendo dell’esclusione l’elemento di unione; non entra più nel gioco la criminalità degli spacciatori dell’eroina e della cocaina, perché oggi si tratta di pastiglie che si reperiscono con facilità.
Di fronte a questo nuovo quadro “le comunità formatesi per recuperare i tossicodipendenti hanno vacillato circa le funzioni e soprattutto i programmi da adottare; hanno cercato di adattarsi aggiornando i programmi, e trovando difficoltà a reperire dei residenti, perché i nuovi tossicodipendenti rifiutano la comunità, tranne che non vi siano costretti dal giudice come alternativa al carcere, ma in questi casi si tratta quasi sempre di tossici di vecchio tipo” (1).
In definitiva, questi giovani che non aspirano ad uscire davvero dalla dipendenza – e che sovente di dipendenze ne hanno altre, oltre alla droga, come il gioco, internet, l’alcol – costituiscono per la società delle sacche di individui non recuperabili nel suo contesto; essi vengono considerati un peso dal forte costo sociale; con il moltiplicarsi dei fenomeni della doppia diagnosi risultano “irrecuperabili” e superflui in un mondo che valuta la persona secondo criteri di calcolo. La mancanza di ideali non induce alla trasformazione del Sé, né d’altra parte i terapeutica possiedono delle motivazioni ideali tali da proporre progetti di vita che vadano aldilà di una sopravvivenza priva di pericolosità, e in sostanza soltanto tollerata. In una società avviata a questo genere di trasformazione, la rassegnazione più che la lotta per la guarigione è l’obbiettivo.
Ma, come accade spesso in situazioni dall’apparenza disperante, l’impegno di operatori che contrastino questo andamento a prezzo di sacrifici personali e di una strenua lotta contro le forze negative di società rivolta essenzialmente all’efficienza, può offrire insperate vie d’uscita.

(1) Cfr. Il libro di Maricla Boggio, Raffaella Bortino , Francisco Mele, “Il disincanto. Le patologie dell’abbondanza in una comunità terapeutica di doppia diagnosi”, Armando editore, Roma 2006.

Francisco Mele è dottore in psicologia clinica, psicoterapeuta, docente di Sociologia della Famiglia presso l’Istituto “Progetto Uomo”, responsabile dell’Istituto della famiglia del CeIS di Roma

da “Progetto Uomo” del 14 aprile 2007

(Fonte: http://www.progettouomo.net/content.asp?contentid=1613)

CULTURE GIOVANILI E “CONSUMI”/MITOLOGIA DEL RAVE PARTY

di Pier Francesco Pagoda

L’aspirazione é ancora quella verso la “libertà assoluta”. Ma passa, questa volta, attraverso l’estetica della più raffinata archeologia industriale, come se l’edonismo fosse parte di una ridefinizione dell’architettura della città.
La metropoli diventa così lo scenario per un eccitante “gioco di ruolo”, nel quale ‘costruire’ la nostra nuova identità ed entrare, per una notte, in un universo dove il piacere é la conseguenza di una avventura che ha il gusto della patina e dei lustrini di una dimensione “fantasy”. Benvenuti nel nu rave, fatto di luci fluorescenti e “do it yourself”, di successive modificazioni dello stile e di rumori metallici, come se il cuore “perduto” delle città potesse esprimere “gioia e liberazione”.
A Manchester, in pieno centro, il Warehouse club, non é soltanto un omaggio, ad iniziare dal nome, all’epoca leggendaria delle origini della house music, dei ribelli gay e dei quartieri del lato sbagliato di Chicago, ma é anche la celebrazione di un desiderio.
Quello di filtrare la vita attraverso una lente acida, capace di fare delle periferie un luminoso quartiere del ritmo e della danza. Aperto ogni sabato, questo capannone abbandonato,un ricordo della civiltà industriale in una città che per secoli si é identificata con la forza produttiva delle macchine, é divenuto per pochi mesi (arriverà presto infatti, la demolizione) il luogo dell’hip hop delle radici nel Bronx e della dance generata dalle innumerevoli estati dell’amore, consumate tra i club del sud di Londra e le discoteche di Ibiza, della techno del futuro di Detroit e delle partiture improvvisate del drum ’n’bass.
Qui é andata in scena una rilettura approfondita della “cultura del rave”, pensata per le nuove generazioni che hanno scoperto il fascino inarrivabile, il gusto perverso del peccato che si cela, sempre, dietro le ‘secret locations’. E che si muove per le strade delle zone più alla moda, il nord di Londra, ad esempio, intorno ad Old Street, alla ricerca degli ultimi frammenti di desolazione e poesia della metropoli.

Come era successo a New York con l’electro sound trasportato dai sobborghi di Brooklyn (il distretto di Williamsburg, dove secondo gli antropologi dell’underground é nato l’electroclash),, nei club di Berlino, Parigi e poi Manhattan.
Il rave, insomma, scrive percorsi inediti delle culture underground, obbligando il centro ad amare le vertigini e la frenesia eccitante della periferia, e ci invita a provare l’esperienza di un viaggio alla ricerca di margini, confini, che, sempre di più si allontanano, si nascondono.
Anche quando basta abbandonare di pochi metri il proprio mondo. Qui vivono bands come Klaxons, Simian, Disco Mobile, DataRock, e fanno musica attraversata da
riverberi e beat tra il punk e la disco music, dedicati al suono più innovativo della New York degli anni ‘80, di Blondie e ESG, Ramones e Talking Heads, delle notti passate nelle stanze spoglie ed infinite del CBGB ’Ssulla Lower East Side, chitarre distorte e ritmo della “trasformazione”.
Rave é il luogo della modificazione di stati della coscienza, come ha scritto l’antropologo francese George Lapassade, nel suo saggio “Stati Modficati e Transe”. Perché é qui, ancora, che avviene la “transizione’, che l’Oceano di Suoni” ci avvolge seducendo i nostri sensi con le tentazioni lisergiche, dimostrando che é possibile varcare la soglia di quella astronave costruita in pieno flower power dai Jefferson Starship.

E che continua, come gli Autobus Magici che partivano, da Amsterdam destinazione l’India, ad offrire suggestioni che un giorno, naturalmente, ci ritroveremo nel supermercato sotto casa.
E proprio questa é la cifra stilistica, immediatamente riconoscibile del “rave” venduto alle ultime generazioni. Una esaltazione pop e glamour della retorica delle “secret locations”.
Che molti anni prima il poeta beat William Burroughs aveva sintetizzato nell’espressione ‘Accenditi, sintonizzati, scompari ’. Vivere l’intensità dell’esperienza edonistica qui e ora, come fosse un frammento emotivo irripetibile, che marchia il nostro corpo, sorta di tatuaggio della mente.
Oggi il rave é avventura esotica, voglia di provare, in un asettico e patinato scenario quelli straordinari “segnali di accelerazione” che avevano caratterizzato la “stagione acida inglese”, primi anni ‘90, quando sembrava, complici le rotte che portavano nuovamente a Ibiza, che fosse finalmente il momento di una nuova, visionaria “Summer of Love”.
Così le colline del Galles, la foresta a ridosso delle spiagge infinte di Bali, persino una città sotto assedio (ci ricorda il meraviglioso “Rave for Bosnia ”,che andò in scena il 31 dicembre a Sarajevo, sotto il fuoco dei tiratori scelti, con un enorme, sound system portato li dalla “techno tribù inglese dei Desert Storm”.

Quell’idea di rave, che era semplicemente la necessità di coniugare edonismo e consapevolezza, combattuta persino da una legge (l’Inghilterra é l’unica nazione al mondo nella quale una legge penale contiene la descrizione della musica techno), batteva il tempo di un ritorno sulla strada, della riscoperta di un nomadismo che arrivava dall’epoca colorata dei “free festival ” e delle comunità hippie.
Adesso, al ‘Rave for Bosnia ’, é stato attaccato il marchio di una griffe, un paio di pantaloni streatwear o di sneakers ultimo modello, che la lungimirante industria di abbigliamento vende esaltando proprio la natura “libertaria” del rave, sicura che felpe e pantaloni, uniti alla house music, alla techno o al drum ’n’bass definiscano un codice, linguistico che farà arrivare le ribellioni giovanili lì sugli scaffali dei supermercati.
Ted Polhemus, l’antropologo inglese che studia e classifica con maniacale perfezione le cosiddette “Style Tribes”, le tribù dello stile (cc aveva magnificamente catalogato nell’essenziale “Street Style”),, ha teorizzato di recente il superamento di quella organizzazione per generi.
Perché, dice, oggi la società nella quale viviamo é un enorme “supermarket dello stile”, dove ci muoviamo mettendo in continua, velocissima connessione radici e futuro, tecnologia e tradizione, diverse geografie e sensazioni, assemblandole, filtrandole attraverso un nostro ‘mixer interiore’, che le restituisce non più definite, dai contorni instabili, sottoposte ai flussi di trasformazione della metropoli. Così quando pensiamo al rave, il nostro immaginario si affolla di sensi diversi. Le “secret locations”, i grandi magazzini
abbandonati in qualche periferia industriale, i non luoghi oppure i luoghi perfetti, perché sponsorizzati da una griffe, che del “rave” originale mantengono quel gusto inafferrabile, misterico, lisergico sicuramente, che spingeva (spinge) migliaia di ragazzi ogni fine settimana a tornare sulla strada per sentirsi parte di una esperienza che mette insieme l’edonismo, scampoli di cultura freak, bisogno di scambio e di relazione e percezione “fisica” di una liberà, di una “ribellione senza una causa che un giornale inglese, The Face, definì, negli anni ‘90, una “rivolta nello stile”.

da “Sestante n. 27 ” di settembre 2007

(Fonte: http://www.regione.emilia-romagna.it/wcm/dipendenze/pagine/pub_sestante27/sestante27.pdf)

LIBRI & NON SOLO

RIVISTA/“I GIOVANI E LE SOSTANZE STUPEFACENTI”

Una pubblicazione del Centro “Il Delfino” di Cosenza.
Il volume “I giovani e le sostanze stupefacenti” raccoglie i risultati di una ricerca condotta dall’Ufficio Studi del Centro di Solidarietà “Il Delfino” di Cosenza nell’ambito del Progetto “Giovani, qualità della vita, consumo di stupefacenti” realizzato in convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità (conv. ti 5PRE5/1 del 13-06-2005). Il Progetto è stato finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Nazionale Lotta alla Droga. La rilevazione dei dati è stata effettuata nel periodo maggio-luglio 2005 dal Laboratorio CATI “G. Colasanti” del Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica dell’Università della Calabria (direttore Prof. Pietro Fantozzi, coordinatore dott. S. Fiorelli). Responsabile scientifico per l’Istituto Superiore di Sanità: dott.ssa Teodora Macchia. Responsabile scientifico per il Centro di Solidarietà IL DELFINO: dott. Francesco Gaudio Ha curato la stesura del Rapporto: F. Gaudio. Staff di ricerca: F. Gaudio (direttore): G Fabbricatore, F. De Angelis (Ufficio Studi -‘Il Delfino”) W. Greco (Università della Calabria – Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica): A Faramondi (Istat)
Il Centro di Solidarietà “Il Delfino” di Cosenza è una Cooperativa Sociale che dal 1986 opera nel campo dei servizi alle persone, con particolare riferimento al recupero ed al reinserimento sociale nel campo della tossicodipendenza. E’ un ente accreditato dalla Regione Calabria e fa parte della FICT (Federazione Italiana Comunità Terapeutiche). Nel corso degli anni il campo di azione si è diversificato in più direzioni, sviluppando, tra le altre cose, un ‘ampia attività di progettazione e di ricerca nel campo delle politiche sociali.
(Fonte: http://www.progettouomo.net/content.asp?contentid=1781)

Rassegna Stampa Comune Bologna

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